New York, la sfida dell’uomo che viene
dai media
di Federico Vasoli
“La città sarà in buone mani” è stato il commento del mitico
Rudolph Giuliani, sindaco uscente di New York. All’inizio della
campagna elettorale, lo scorso giugno, nessuno avrebbe scommesso
su una vittoria dei repubblicani, ma, alla fine, Michael
Bloomberg, sponsorizzato da Giuliani, ha trionfato per circa
50.000 voti di scarto su Mark Green, candidato democratico che
lavorava su New York da ben undici anni. Michael Bloomberg
carezzava da tempo l’idea di occupare Gracie Mansion (la residenza
del primo cittadino), tanto che, negli anni Novanta, si era messo
in contatto con quelli che ieri sono stati i suoi avversari: i
democratici. Deluso da quel partito, decise di concentrarsi sulla
propria attività imprenditoriale, in attesa di tempi migliori. E,
in effetti, Michael Bloomberg non è un politico. Bloomberg è un
imprenditore, un uomo d’azione, che, licenziato nel 1981 dalla
Salomon Brothers, fonda l’impresa che da lui prende il nome e,
mentre Dow Jones & Co. e Reuters restano al palo, rivoluziona
l’informazione finanziaria americana. Appassionato di nuove
tecnologie e conscio del fatto che chi aveva a che fare con la
finanza negli anni Ottanta doveva ancora scartabellare tra
archivi, faldoni e giornali, solo per scoprire quanto valeva un
titolo il mese precedente, decide di fornire un nuovo,
efficientissimo servizio di informazione e raccolta dati che corre
sui computer.
Corre veloce Michael Bloomberg: a soli trent’anni, nel 1972,
diventa partner della Salomon Brothers. Nel 1982, ad un solo anno
di distanza dalla fondazione della società che porta il suo nome,
vende a Merril Lynch venti abbonamenti ai propri servizi di
informazione; oggi, il suo gruppo dà lavoro a circa settemila
persone e il suo leader, un novellino della politica, ha rotto le
uova nel paniere alla formazione democratica, che da mesi
assaporava la vittoria nella Grande Mela. L’approccio alla
politica non poteva, dunque, che essere di tipo imprenditoriale.
Sul suo sito (www.mikeformayor.org), sono presenti ben tredici,
dettagliatissimi progetti, dalla ricostruzione di New York
all’educazione, dai gay alla riforma elettorale, progetti che, per
la loro qualità, farebbero invidia anche al migliore dei
business-planner.
Bloomberg, uomo d’azione che ha persino salvato la vita ad un
amico sciatore travolto da una valanga, non è un politico nemmeno
nel suo stile comunicativo. Alcuni lo tacciano di arroganza e
acidità (“Come si motivano le persone? – avrebbe detto – semplice:
sentono o no il bisogno di tre pasti al giorno?”). Ma, più
semplicemente, si limita a non considerarsi portatore di supreme
verità per cui il proprio partito si batte. Nel suo primo discorso
come candidato, dichiarò apertamente di “non vergognarsi di dire
‘non lo so’, o ‘la tua idea è migliore della mia’”, dal momento
che il suo lavoro è di trovare e realizzare le soluzioni migliori
per una città che era già economicamente in crisi prima dell’11
settembre e il cui deficit continua a salire inesorabilmente. Ma
Bloomberg, che raccoglie l’onerosa eredità di Giuliani, ha già in
mente un piano. Inutile dire che ha pagato di tasca propria la sua
campagna elettorale, la più onerosa della storia di New York. E,
da imprenditore di successo qual è, ha vinto.
9 novembre
2001
federico_vasoli@hotmail.com
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