| Dal burqa al governo: ora Kabul si tinga 
              di rosa di Barbara Mennitti
 
 L'Alleanza del Nord è entrata a Kabul. I talebani sono fuggiti 
              verso Sud senza neanche provare davvero a resistere, come spesso 
              succede a chi è ormai troppo abituato a dettare legge. I cittadini 
              della capitale hanno festeggiato la liberazione, gli uomini si 
              sono sbarbati e le donne hanno gettato il burqa. Via radio è 
              arrivato l'annuncio della vittoria e, grande sorpresa, la voce che 
              si diffondeva nell'etere afghano era una voce di donna. Una di 
              quelle voci che fino al giorno prima, sotto il regime talebano, 
              non poteva essere udita in nessun luogo, perché ispirava la 
              corruzione negli uomini. Un forte segno di rottura con il regime 
              precedente, una voce che sapeva davvero di liberazione. E poi 
              basta. In tutte le sedi diplomatiche uomini con barbe di svariate 
              lunghezze o del tutto rasati conducono animati negoziati per il 
              nuovo governo afghano, discutendo delle rappresentanze delle 
              diverse etnie e dell'egida dell'Onu. Sempre uomini, però; donne 
              non ne abbiamo più viste. E dire che sono state proprio loro a 
              pagare il prezzo di gran lunga più alto di cinque anni di regime 
              talebano e proprio loro sono state le grandi artefici della più 
              dura opposizione non violenta al governo del terrore, pagando 
              spesso con la vita il prezzo del proprio coraggio.
 
 La pensa così anche Emma Bonino che nel lontano 1997, quando era 
              commissario europeo, si recò nella capitale afgana per portare la 
              solidarietà delle sonnacchiose istituzioni europee alle donne di 
              Kabul. Ascoltò i loro racconti e si fece fotografare con alcune di 
              loro e per questo fu anche imprigionata nelle carceri degli 
              studenti del Corano, chiaramente poco ferrati in materia di 
              maniere diplomatiche. Da allora l'attivissimo enfant terrible 
              radicale non ha mai smesso di combattere al fianco delle donne 
              afghane e il 14 novembre, nell'ultima sessione plenaria del 
              Parlamento europeo a Strasburgo, ha lanciato un appello: "Vogliamo 
              che le donne afghane assumano una responsabilità politica visibile 
              nel loro paese e nella costituzione del governo provvisorio".
 
 Sarebbe una grande garanzia di democraticità e di rottura per il 
              governo di un paese da troppo tempo instabile e troppo incline a 
              farsi sedurre dal fanatismo di una religione misogina. Anche 
              perché, come ha ricordato la Bonino nell'intervento che 
              pubblichiamo integralmente, proprio le donne gestivano il paese 
              prima dell'arrivo dei talebani: "Erano il 40 per cento del corpo 
              medico, il 50 per cento del corpo insegnante, il 70 per cento 
              dell'amministrazione, mentre gli uomini si facevano la guerra". 
              L'appello dell'ex commissario ha avuto l'approvazione di molti 
              europarlamentari intervenuti e il sostegno della presidente in 
              carica del Consiglio europeo, il ministro dei Trasporti belga, 
              Isabelle Durant. Ma i radicali sono convinti che servirà una forte 
              mobilitazione dell'opinione pubblica di tutto il mondo e lanciano 
              una nuova iniziativa non violenta: un Satyagrha mondiale di una 
              giornata, il 24 novembre, per chiedere la presenza delle donne 
              afgane nel futuro governo di Kabul.
 
 16 novembre 2001
 
 bamennitti@ideazione.com
  
              
              
 
 
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