| La caduta della capitale: ritorno all'immagine di Paola Liberace
 
 Anche se sembra dissacrante in occasione di un tale evento, alla 
              notizia della caduta di Kabul la prima cosa che ci è venuta in 
              mente è stato un verso di una canzone di Massimo Ranieri: "E 
              adesso, andate via". Andate via ai reporter di Al Jazeera che 
              hanno centellinato la verità diffondendo proclami; andate via 
              all'arroganza dei talebani che hanno permesso ai giornalisti arabi 
              di farsi unici depositari delle notizie; andate via ai 
              responsabili dei "ministeri" che nella capitale afgana si 
              preoccupavano che nulla fuoriuscisse, eccetto le loro 
              dichiarazioni, e che hanno curato diligentemente la morte della 
              comunicazione in voce e in video, per anni. Fino a ieri, quando le 
              note della radio sono risuonate, finalmente, per le strade di 
              Kabul.
 
 E insieme alla radio sono tornati i primi servizi trasmessi, di 
              nuovo, dagli inviati delle televisioni occidentali - scampati fino 
              all'ultimo agli agguati e agli eccidi - che hanno mostrato ieri le 
              scene della città liberata. Scene nette, elementari nel loro 
              valore di cronaca; immagini ingenue, colte dall'obiettivo con una 
              sorta di stupore, fatte di luce, di oggetti, di uomini; riprese in 
              maniera da restituirle tutte, crude ma non crudeli, senza sforzi e 
              senza reticenze. Niente trionfalismi né falsi pudori; non si 
              avverte la fretta di incastonare tutto in una spiegazione, in una 
              tonalità, in una presentazione "istituzionale". Le inquadrature 
              sono poco chiassose; semplici e ricche, presentano una realtà che 
              si mostra con franchezza, schivando persino lo sguardo 
              dell'operatore.
 
 Davanti ai nostri occhi sfilano volti di uomini dal barbiere, 
              primi piani, folle di ragazzini esultanti, campi lunghi, 
              carrellate sulla gente che si sparge sulle strade, crocicchi di 
              uomini attorno ai superstiti talebani, incatenati. Uniche assenti, 
              ancora, le donne - ma non si poteva pensare che questa sarebbe già 
              stata per loro la vera rivoluzione. Tutto appare naturalmente, 
              dalle vecchie alle nuove vittime, dai liberatori ai liberati; la 
              presenza umana torna a sostanziare le immagini, dopo tanti scorci 
              notturni in cui si intravedeva solo la luce dei missili. La presa 
              di Kabul è per la televisione un ritorno dell'immagine, la ripresa 
              del racconto da dove era stato interrotto - per fare posto a 
              interminabili discussioni nei salotti televisivi, a dichiarazioni 
              sinistre dei terroristi, a chiassosi reportage dei giornalisti. 
              Adesso, fa piacere tanto silenzio, tante parole sussurrate, appena 
              pronunciate; fanno piacere le grida stridule dei bambini, che 
              parlano finalmente al posto degli adulti, del loro monotono 
              proclama di un terrore che comincia a vacillare.
 
 16 novembre 2001
 
 pliberace@hotmail.com
  
              
              
 
 
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