Punto diplomatico. Il puzzle del nuovo
Afghanistan
Di ora in ora la conquista dell'Afghanistan da parte delle milizie
dell'Alleanza del Nord si fa sempre più netta e definitiva. E la
diplomazia, spiazzata dalla previsione di una guerra che avrebbe
dovuto travalicare l'inverno, si trova a dover rincorrere gli
eventi. Come ha sottolineato il ministro degli Esteri italiano
Ruggiero "il ritardo è gravissimo rispetto all'evolversi del
quadro politico". Ora si tenta di correre ai ripari. E gli
Alleati, Stati Uniti e Gran Bretagna in testa, lanciano la palla
all'Onu. Adesso può intervenire, dicono i due leader Bush e Blair.
Ora la questione diventa politica.
E il tentativo dell'Onu segue un duplice obiettivo. Da un lato
arrivare in tempi stretti alla creazione di un governo di ampia
coalizione, composto dai rappresentanti di tutti i gruppi etnici,
che dovrà gestire un periodo di transizione di due anni e
preparare libere elezioni. Dall'altro organizzare un contingente
militare di pace per garantire la sicurezza, composto da soldati
musulmani e guidato dalla Turchia. Si pensa espressamente a forze
appartenenti ai paesi dell'Organizzazione della conferenza
islamica e hanno già dato la loro disponibilità Turchia, Indonesia
e Bangladesh. Ma nel frattempo appare molto più immediato l'arrivo
di truppe di paesi non musulmani, come l'Italia. Sempre secondo il
ministro Ruggiero "è ormai imminente l'invio di truppe italiane
sul terreno, in particolare dei carabinieri che avranno il compito
di garantire la sicurezza a Mazar-i-Sharif e Kabul, in modo che vi
sia un totale rispetto dei diritti umani e si prevengano violenze
e saccheggi". Cambiamenti, rispetto alla strategia di una
settimana fa, che conferma anche il ministro Martino: "Ora ci sono
altre necessità ed è anche probabile che gli aerei non servano
più".
Colto di sorpresa, Kofi Annan prova a declinare le priorità
dell'intervento Onu: affrontare l'emergenza umanitaria, evitare un
vuoto di potere, favorire la nascita di un nuovo Afghanistan,
stabile e in pace con i paesi vicini. La strada della diplomazia
resta però in salita. Le conquiste sul piano militare rischiano
sempre di diventare definitive. E chi s'è fatto cogliere di
sorpresa rischia di pagare amaramente la propria distrazione. E'
il caso del Pakistan, alleato chiave ma infido in queste settimane
di guerra, vecchio sponsor dei talebani, che teme la totale presa
del potere da parte dell'Alleanza. E punta a un reinserimento
dell'etnia pashtun nel puzzle del nuovo Afghanistan, provando a
sfruttare la sollevazione popolare delle provincie del Sud
(Kandahar e Jalalabad) che avrebbero favorito la rapida
conclusione del conflitto: "Deve essere formato democraticamente
un governo che rappresenti tutti i gruppi etnici, inclusi i
pashtun", ha detto il presidente Musharraf. La lunga partita a
scacchi è, però, solo agli inizi e al momento le pedine migliori
le hanno Russia e Iran, sponsor principali delle etnie vincenti. E
tuttavia, per nascere e rafforzarsi, il nuovo governo avrà bisogno
di un accordo di ferro fra i paesi che compongono il cosiddetto
gruppo dei "Sei più Due": Uzbekistan, Tagikistan, Iran, Pakistan,
Cina, Turkmenistan (i paesi confinanti) più Stati Uniti e Russia.
Nel frattempo la Santa Alleanza Usa-Russia si riflette anche in
trattative bilaterali come quelle sul disarmo strategico. Bush ha
annunciato la decisione unilaterale di ridurre da 7mila a
1700-2100 il numero delle testate nucleari entro dieci anni. E' un
grande gesto di apertura alla Russia che ha bisogno della
riduzione numerica per esigenze economiche. E ha creato le
condizioni ottimali per lo svolgimento del vertice a due, tenutosi
nel ranch texano di Crawford. (p. men.)
16 novembre 2001
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