Punto militare. La guerra continua, oltre
l’Afghanistan
La strategia americana è ora chiara: guerra al terrorismo
significa smantellare le reti eversive, colpire i capi delle
organizzazioni, abbattere i governi che offrono protezione e
sostegno. Nulla di più: al massimo vigilare affinché i governi che
sostituiscono quelli compromessi con il terrore non permettano
alla rete di riformarsi all’interno degli stati liberati. Ma gli
Usa non hanno alcuna intenzione di occupare militarmente gli stati
liberati, di governarne i processi di transizione verso nuove
realtà politiche, di affrontare difficili e costose operazioni di
peacekeeping. Questo, se lo riterrà opportuno, sarà compito
dell’Onu, meglio attrezzata rispetto agli Stati Uniti ad
affrontare le crisi diplomatiche.
Ecco dunque che nei giorni scorsi è emerso il primo screzio tra
l’amministrazione Bush e il gabinetto Blair. I seimila soldati
inglesi (paracadutisti e fucilieri della Marina) pronti a partire
per l’Afghanistan restano dove sono. Così come restano al palo i
soldati francesi che avrebbero dovuto interporsi nella zona di
Mazar-e-Sharif e i Carabinieri italiani annunciati dal ministro
Ruggiero. Se e quando ci sarà bisogno di soldati di pace, sarà
l’Onu a deciderlo. E, vista l’ostilità dell’Alleanza del Nord alla
presenza di truppe occidentali sul territorio, è probabile che i
caschi blu saranno reclutati tra gli eserciti di stati islamici.
Gli Stati Uniti, invece, concentrano al momento tutte le loro
forze su un unico obiettivo, la cattura di bin Laden e del mullah
Omar, secondo fonti militari nascosti nelle grotte sui monti
attorno a Kandahar. Ecco perché l’assedio attorno alla capitale
dei talebani - negli ultimi giorni pesantemente bombardata dagli
aerei americani - è il momento decisivo e finale della guerra in
Afghanistan. Ancor più dell’assedio all’enclave nel Nord, Kunduz,
per il quale talebani e mujaheddin sono da giorni sul punto di
concludere una resa non cruenta. Conquistata Kandahar, caduto il
bastione più resistente dei talebani, sarebbe impossibile per i
due ricercati eccellenti nascondersi a lungo. Sul terreno operano
già da settimane commandos dei Marines e altri nuclei stanno
arrivando con l’unico obiettivo di stanare bin Laden. La taglia di
25 milioni di dollari messa sul capo di Al-Qaeda aiuterà
certamente la soluzione di questa vicenda. Nel frattempo, con
discrezione, il segretario alla Difesa Rumsfeld ha fatto sapere
che gli Stati Uniti preferirebbero trovare Osama bin Laden morto.
E lui, attraverso una videocassetta, ha in pratica fatto sapere
che li aiuterà: è pronto al suicidio.
La cattura dei due ricercati chiuderà una guerra che era stata
preannunciata lunga e difficile? Neppure per idea. A smorzare
l’ottimismo che da una settimana pervade l’opinione pubblica
internazionale ci hanno pensato il presidente americano Geroge
Bush e il capo del Comando centrale Usa in Afghanistan, generale
Tommy Franks. Entrambi hanno detto che la sconfitta dei talebani è
solo un primo passo e che tanto resta ancora da fare per
raggiungere la vittoria finale. Sia in Afghanistan che nel resto
del mondo. Il pensiero corre subito all’Irak, anche perché il
presidente ha fatto chiaramente intendere che Saddam Hussein ha
approfittato delle difficoltà dei controlli per sviluppare di
nuovo armi batteriologiche e chimiche. Forti restano i sospetti di
un appoggio iracheno alla rete terroristica di Al-Qaeda e
l’intelligence americana sta lavorando per raccogliere prove
sufficienti. Che lo scenario bellico non dovesse limitarsi
all’Afghanistan era chiaro a quanti hanno preso sul serio la
guerra al terrorismo scattata dopo gli attentati dell’11
settembre. “Il peggio deve ancora arrivare” ha detto Bush alla
vigilia del Thanksgivingday. Insomma, la guerra continua.
23 novembre 2001
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