| “Il nostro esercito è all’altezza, la politica abbia più coraggio”
 intervista ad Alessandro Politi di Pierpaolo La Rosa
 
 Le navi sono partite ma si continua a discutere della 
              partecipazione militare italiana a “Libertà duratura”, 
              l’operazione volta a rovesciare il regime dei talebani e a 
              catturare Osama bin Laden. Il coinvolgimento del nostro paese 
              nella guerra al terrorismo ha suscitato nell’opinione pubblica 
              sentimenti opposti di soddisfazione e perplessità: i nostri 
              militari sono davvero all’altezza della situazione? E l’Italia, 
              che ruolo ricopre nella vasta coalizione internazionale contro lo 
              sceicco del terrore? Interrogativi che abbiamo girato ad 
              Alessandro Politi, analista strategico tra i più apprezzati, già 
              consulente del ministero della Difesa.
 
 Che tipo di contributo è in grado di fornire 
              il nostro contingente?
  
              
              Un contributo qualificato praticamente su tutta la gamma delle 
              richieste che potrebbero venire fuori dal conflitto in 
              Afghanistan. Qualificato non vuol dire naturalmente grande, ma 
              adeguato a quella che è una media potenza. L’efficacia 
              dell’intervento italiano dipenderà comunque da due fattori: 
              volontà politica e capacità logistica, elemento quest’ultimo 
              decisivo. Nulla vieterebbe, in linea di principio, un impegno più 
              accelerato delle nostre truppe, anche se resta da decidere dove. 
              D’altra parte, la situazione è molto fluida e persino nelle zone 
              sotto il controllo dell’Alleanza del Nord bisognerebbe mettere in 
              conto delle perdite, quanto meno a causa delle mine. Non 
              dimentichiamo i pericoli legati ai possibili assalti di gruppi di 
              briganti, cosa normalissima nelle guerre di tutti i secoli. A 
              nostro vantaggio, c’è comunque una notevole sensibilità operativa 
              nel capire immediatamente quali sono le nervature delle famiglie 
              locali e nel trovare così un primo accordo che permetta una 
              presenza efficace, senza urti o frizioni. 
 Quali saranno i compiti affidati alle truppe 
              italiane?
  
              
              Quelle prospettate sono soprattutto mansioni di sostegno 
              all’offensiva aerea, di pattugliamento del Mar Arabico - dove però 
              mancano dati sull’effettiva utilità di un simile lavoro - e di 
              “peacekeeping”. Per quanto mi riguarda, avrei preferito una 
              partecipazione terrestre forse più ridotta, ma concentrata nelle 
              prime fasi della guerra. C’è da fare un’ulteriore considerazione: 
              a parte i britannici, molto rapidi nella risposta politica e in un 
              certo senso fortunati ad avere truppe già presenti in Oman per una 
              grande esercitazione tradizionale, tutti gli altri contingenti 
              europei (incluso quello francese) ci stanno mettendo del tempo per 
              arrivare sui luoghi del conflitto.
 I nostri soldati saranno capaci di sostenere 
              un banco di prova così impegnativo?
  
              
              Vorrei sfatare gli stereotipi del “Mandolino del capitano Corelli” 
              (la pellicola sulla strage di Cefalonia, ndr), stereotipi che 
              peraltro noi italiani abbiamo mantenuto per decenni con un 
              masochismo tipico. I nostri soldati hanno una tradizione di grande 
              valore, e qualche volta hanno dovuto perfino rimediare alle 
              incompetenze dei loro generali. La situazione è cambiata dopo la 
              catastrofe della seconda guerra mondiale: il fatto di far parte di 
              un’alleanza come la Nato ci ha permesso infatti di uscire da una 
              certa autarchia e di misurarci con altre realtà. Certamente i 
              militari italiani potrebbero essere più preparati, ma sappiamo 
              anche che le spese di addestramento, insieme a quelle di 
              investimento, sono le prime a venire compresse quando il bilancio 
              è scarso.
 Ci sono punti di forza nel pacchetto di 
              aiuti militari proposto dal governo Berlusconi?
  
              
              I Tornado sono delle ottime macchine. La nostra Marina, poi, offre 
              la sua ammiraglia “Garibaldi” che - ricordiamolo - è nata quando 
              non si voleva nemmeno sentire parlare di una portaerei nazionale. 
              Il contingente terrestre possiede buone capacità di controllo di 
              una determinata porzione di territorio, oltre a quelle di supporto 
              e di sminamento. E non dimentichiamo, infine, i carabinieri del 
              reggimento Tuscania. Insomma, c’è una rappresentazione abbastanza 
              equilibrata delle quattro forze armate.
 Ma non si corre il rischio di accreditare, 
              come lei ha scritto, l’immagine di “italiani bravi peacekeepers”?
  
              
              Da almeno un ventennio ci siamo conquistati i galloni sul campo in 
              materia di “peacekeeping”. Ritengo che insistere solo su questo 
              tasto cominci a non essere conforme al peso che potremmo avere 
              sulla scena internazionale. Ciò non significa fare l’elogio della 
              guerra; significa però capire che se si vuole far parte di un 
              certo plotone di testa, non si può soltanto arrivare a cose fatte 
              quando i compiti sono sicuramente rischiosi e difficili, ma la 
              loro ricaduta in termini politici può risultare inferiore. 
 Lei ha parlato anche di una certa timidezza 
              nelle nostre ambizioni strategiche. In che senso?
  
              
              Trovo che sia giusto parlare di timidezza, perché avremmo potuto 
              proporre pubblicamente il nostro contributo molto prima. Abbiamo 
              offerto una disponibilità immediata attraverso i canali 
              diplomatici, ma non siamo stati capaci di cogliere un’occasione 
              legittima per schierarci al fianco degli Stati Uniti. In questo 
              senso i tedeschi - che pure hanno fornito un contingente 
              imponente, ma tutto di logistica - sono stati a livello di 
              relazioni pubbliche veramente bravi: hanno fatto parlare i 
              giornali internazionali delle loro forze speciali, quando le 
              nostre sono ben più addestrate e ben più provate al fuoco reale, 
              come dimostra il caso della Somalia. Ho l’impressione che anche i 
              fatti del G8 di Genova abbiano influito nel determinare questa 
              prudenza, che non è adeguata al ruolo svolto dall’Italia negli 
              ultimi dieci anni.
 29 novembre 2001
 
 pplarosa@hotmail.com
  
              
              
 
 
 
 
 
 
 
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