| Reportage. Cartoline ungheresi di Alessandro Napoli
 
 Budapest. Márta ha superato da qualche mese gli ottant’anni. 
              Nell’anno in cui nacque, il suo paese non aveva ancora 
              sottoscritto il trattato di pace con le potenze vincitrici 
              dell’Intesa, le scuole le fece sotto la Reggenza, durante la 
              seconda guerra mondiale mangiò soprattutto cipolle e patate, alle 
              elezioni pluripartiche che si svolsero mentre l’Armata Rossa era 
              nella capitale votò per i cattolici, nel 1956 si chiuse in casa e 
              nel 1989 diceva alle sue amiche e ai nipoti che il cambiamento in 
              atto sarebbe presto finito nel nulla. Oggi vive della pensione di 
              maestra e ogni mattina trascina il carrellino della spesa in un 
              supermercato pieno di ogni ben di dio, dove si ferma a ogni 
              scaffale per esaminare con attenzione maniacale prodotti e prezzi. 
              Poi fa la coda (quando c’è la coda) davanti alla cassa dove c’è 
              meno coda e poi si ferma a parlare con la cassiera. Le rivolge 
              quella domanda che ha sempre in testa e che non può rivolgere agli 
              economisti o ai politici: “Ma quando entreremo a far parte 
              dell’Unione Europea le patate costeranno di più o di meno?”
 
 János invece ha ventotto-ventinove anni, una casa a due piani con 
              giardino e vasca jacuzzi, di mestiere fa l’importatore di 
              giocattoli, parla un inglese impeccabile, ha una bella moglie e un 
              figlio di due anni vestito sempre con giacche a vento 
              coloratissime. Anche János va al supermercato, ma solo di sabato 
              sera perchè nel resto della settimana lavora come un folle, di 
              immersioni nella vasca jacuzzi neanche a parlarne. Quando arriva 
              alla cassa per pagare, il suo carrello rigurgita di pasta 
              italiana, sughi cinesi liofilizzati, birre irlandesi, delikatessen 
              americane surgelate pronte per il forno a microonde. Non ha né 
              tempo né voglia di parlare con la cassiera: tira fuori dalla tasca 
              interna del cappotto una carta di credito e aspetta che la 
              cassiera gli dia la memoria di spesa da firmare. Certe volte il 
              Pos va più lento del solito, e allora non può fare a meno di 
              inserirsi nel dialogo fra la cassiera e la signora Márta di turno. 
              “Che c’entrano le patate?” è la sua espressione tipica, e il 
              seguito è tutta una puntuale illustrazione dei vantaggi economici 
              che deriveranno dall’ingresso nell’Unione Europea. Dei vantaggi 
              che ne verranno ai consumatori, ai commercianti, ai produttori, e 
              a lui. A János interessa poco se al governo ci stia la destra o la 
              sinistra. E’ convinto che sia l’una che l’altra non possano che 
              seguire la stessa politica economica perché questa è la prima 
              regola del mondo globalizzato e di un’Europa post-comunista in 
              lista d’attesa per l’ingresso nell’Unione.
 
 In questo paese lo spartiacque essenziale passa fra chi ha meno e 
              chi più di 35-40 anni: per i primi buone prospettive di successo e 
              gratificazione sociale, per i secondi, in genere, un faticoso 
              accomodarsi al mondo nuovo, che per esempio comprende ore passate 
              a imparare l’inglese e a constatare quanto sia stato inutile 
              imparare il russo. Poi ci sono le ali estreme. Per esempio i 
              preadolescenti nati o cresciuti dopo il 1989 e internet-addicted, 
              ai quali se chiedi in che cosa si sentono diversi dai loro 
              coetanei di New York o di Londra ti guardano come se avessi 
              chiesto se è vero che per respirare si usano le narici e i 
              polmoni. Per esempio i sessanta-sessantacinquenni che hanno perso 
              il lavoro nelle grandi fabbriche e che affollano gli sportelli del 
              “lottò”, e intanto si sono comperati il telefonino perché così 
              confidano di essere sempre raggiungibili da qualcuno che potrebbe 
              offrirgli l’occasione della vita.
 
 Nel complesso però il paese avanza, a passo svelto (congiuntura 
              internazionale permettendo) e guidato da una classe dirigente in 
              genere preparata e giovanissima. Sta anche superando i complessi 
              di inferiorità rispetto all’Europa occidentale. “Non ci vogliono 
              nell’Unione? Peggio per loro!”, è una frase che sento ripetere con 
              una certa frequenza, e per giunta non da sprovveduti ma in 
              ambienti dell’intellighentia. Altra frase: “Ci dicono che fra 
              qualche anno ‘potremmo’ raggiungere i livelli di sviluppo della 
              Grecia, del Portogallo, dell’Italia del Sud; io ci sono stato da 
              quelle parti, e francamente devo dire che preferisco il mondo in 
              cui vivo a quel mondo: qui i servizi pubblici funzionano, le città 
              sono pulite, le multinazionali fanno la coda per investire…”. In 
              altri ambienti certi atteggiamenti di chiusura da parte degli 
              attuali stati membri dell’Unione, al contrario, preoccupano. Ma 
              soprattutto preoccupa l’indifferenza dell’opinione pubblica e dei 
              governi dei paesi occidentali nei confronti dei sentimenti della 
              gente comune, delle imprese e dei governanti di questa parte 
              dell’Europa. Un amico che lavora in un grande quotidiano ama 
              ripetermelo: “Siamo sempre sotto esame, ma voi cambiate 
              continuamente le materie in cui dobbiamo essere interrogati; così 
              finisce che noi continuiamo a essere rimandati a settembre: 
              perché?”. Nel frattempo, la signora Márta continuerà a 
              interrogarsi sul prezzo delle patate dopo l’allargamento e il 
              signor János, non avendo il tempo per fare il bagno nella sua 
              jacuzzi, comprerà una nuova automobile: forse una Bmw o forse 
              un’Alfa Romeo, ma in ogni caso un’auto “made in EU”.
 
 29 novembre 2001
 
 alessandronapoli2001@yahoo.fr
  
              
              
 
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