| Uno, nessuno e centomila. Ma ora Arafat 
              deve scegliere di Rodolfo Bastianelli
 
 Insieme al processo di pace la rappresaglia militare israeliana ha 
              forse definitivamente sepolto anche Yasser Arafat. L'azione decisa 
              dal governo Sharon in risposta ai sanguinosi attentati compiuti 
              nello scorso fine settimana a Gerusalemme ed Haifa ha infatti 
              decretato con ogni probabilità sia il fallimento dei negoziati che 
              la fine politica del presidente dell'Autorità nazionale 
              palestinese. La responsabilità di quanto sta accadendo ricade 
              principalmente proprio su Arafat, troppo tollerante nei riguardi 
              di Hamas e incapace di mettere in atto un'azione repressiva nei 
              confronti dei gruppi terroristici islamici, anche per la crescente 
              forza politica dei fondamentalisti all'interno dei territori. 
              Preoccupato della perdita di popolarità a vantaggio dei movimenti 
              più radicali, Arafat ha via via assunto una posizione sempre più 
              intransigente, come testimoniano le sue richieste in merito a 
              Gerusalemme che decretarono il fallimento dei negoziati di pace di 
              Camp David nel luglio dello scorso anno. Convinto di recuperare 
              prestigio, Arafat con il suo atteggiamento ha finito invece per 
              essere considerato inaffidabile da Israele e per vedersi 
              scavalcato all'interno dai gruppi più estremisti che non era più 
              in grado di controllare.
 
 Dopo l'11 settembre la strada per il leader palestinese si è fatta 
              poi ancora più stretta. Messo davanti al rischio dell'isolamento 
              internazionale, Arafat ha prontamente condannato gli attentati 
              contro gli Stati Uniti ignorando però che gran parte della 
              popolazione palestinese appoggiava e sosteneva le azioni 
              terroristiche compiute da bin Laden. Ora per Israele si pone la 
              questione di vedere chi potrebbe essere in grado di sostituire 
              Arafat alla guida dell'Anp e quali scenari si aprirebbero in caso 
              di una sua uscita di scena. Il rischio maggiore è quello che Hamas 
              assuma il controllo dei territori, anche se, come ha ricordato in 
              suo duro editoriale il Jerusalem Post, il fatto che gli 
              integralisti prendano il potere non cambierebbe molto la 
              situazione, visto che anche oggi le autorità palestinesi fanno ben 
              poco per impedire le azioni terroristiche contro Israele.
 
 Allo stesso modo la sostituzione di Arafat con altri esponenti 
              dell'Anp potrebbe non portare a risultati soddisfacenti: gran 
              parte dei leader palestinesi hanno sempre vissuto all'ombra del 
              presidente senza però averne il carisma e molto probabilmente non 
              sarebbero in grado di controllare la situazione e di ristabilire 
              l'ordine. Esiste poi anche la possibilità che Israele cerchi di 
              indebolire e screditare Arafat per assumere di fatto il controllo 
              sui territori e condurre direttamente le operazioni contro i 
              terroristi, oppure che gli accordi di Oslo vengano cancellati e 
              l'intera struttura dell'Anp smantellata, un progetto questo 
              sostenuto da tempo da diversi esponenti del governo Sharon ma che 
              presenta non pochi rischi sul piano politico e militare.
 
 L'ultimo interrogativo che si pone sono gli effetti che la crisi 
              potrà avere sugli equilibri politici mediorientali. Per ora è da 
              escludere che l'azione militare israeliana porti ad un escalation 
              militare e ad un coinvolgimento dei paesi vicini. Ma la stabilità 
              del Medio Oriente non dipende solo dai negoziati di pace 
              israelo-palestinesi: per garantire la sicurezza della regione è 
              necessario infatti che la Siria e gli altri stati arabi 
              riconoscano formalmente ad Israele il diritto ad esistere entro 
              confini sicuri, cosa che lascerebbe Hamas e gli altri gruppi 
              terroristici senza alcun appoggio politico. Israele deve contenere 
              l'uso della forza, ma spetta soprattutto all'Anp e ai paesi arabi 
              il compito di evitare che il Medio Oriente sprofondi di nuovo in 
              un'altra guerra.
 
 7 dicembre 2001
 
 rodolfobastianelli@tiscalinet.it
  
              
              
 
 
 
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