| “Israele nell'Unione Europea: una 
              battaglia di libertà” intervista a Daniele Capezzone di Barbara Mennitti
 
 "Deve essere chiaro che questa affermazione per Israele è l'abc di 
              un alfabeto di democrazia per tutta quell'area". Così Daniele 
              Capezzone, segretario nazionale dei Radicali Italiani, sottolinea 
              il senso dell'ultima battaglia del Partito radicale 
              transnazionale, quella per l'ingresso di Israele nell'Unione 
              Europea, in quanto baluardo ed esempio dei valori liberali 
              occidentali in un'area afflitta da regimi teocratici e 
              oscurantisti.
 
 In questi giorni, di fronte alla spaventosa 
              escalation di attentati terroristici in Israele, si ritorna a 
              parlare di una proposta che i radicali avanzano da molto tempo, 
              quella dell'ingresso dello stato di Israele nell'Unione Europea. 
              Come e perché nasce questa proposta?
 
 Si tratta di una tesi che Marco Pannella e i radicali hanno 
              sostenuto già negli anni Ottanta, nello stesso periodo in cui la 
              proponevano per la Iugoslavia di allora e che è stata 
              ulteriormente riproposta in questi mesi. L'idea di fondo è quella 
              secondo cui occorre difendere e potenziare la democrazia 
              israeliana rispetto alle forze violente e terroristiche che le 
              stanno intorno e anche rispetto a un certo tipo di 
              fondamentalismo, a insidie interne dei suoi partiti confessionali 
              e nazionalisti. Il punto di partenza è che Israele, piaccia o no, 
              è l'unica democrazia di quell'area, una vera e propria testa di 
              ponte della democrazia liberale e delle istituzioni democratiche 
              in tutta la zona mediorientale. Sharon e la sua politica, possono 
              piacere o no, ma sono stati scelti dagli israeliani che potranno 
              decidere di capovolgere la loro decisione la volta prossima, 
              possibilità che è strutturalmente negata a tutti gli altri 
              cittadini del Medio Oriente. Noi riteniamo che una buona soluzione 
              per tutelare questa democrazia sia quella di farla divenire a 
              tutti gli effetti uno stato dell'Unione, facendo sì che il suo 
              territorio sia considerato alla stregua del territorio dell'Unione 
              e che le norme comunitarie siano considerate a tutti gli effetti 
              norme valide anche in territorio israeliano.
 
 E quali sarebbero secondo lei i risvolti 
              militari di una simile operazione?
 
 Considerare il territorio di Israele come se fosse territorio 
              francese secondo me avrebbe anche un effetto di deterrenza tutto 
              particolare. Non è vero che la storia non si fa con i se e con i 
              ma. Se il territorio di Israele non fosse solo territorio di 
              Israele, se i suoi confini fossero equivalenti a quelli italiani o 
              francesi, credo che vivremmo in una situazione profondamente 
              diversa anche in termini di dinamiche. Parliamo, per esempio, del 
              comportamento dell'Onu: da aprile in sede di Commissione dei 
              diritti umani a Ginevra è stata adottata tutta una serie di 
              decisioni che assolvevano i palestinesi da ogni responsabilità ed 
              è stata ufficialmente votata una delibera contro Israele, 
              richiamandolo al rispetto dei diritti umani. Gli Stati Uniti sono 
              finiti in minoranza e sono stati addirittura fatti fuori dalla 
              Commissione dei diritti umani che ora ha una testa politica che è 
              composta da Siria, Cuba, Cina e così via. C'è da aspettarsi che 
              ogni anno verrà sfornata una mozione contro Israele.
 
 Quali riscontri avete avuto da parte 
              israeliana alla vostra proposta?
 
 Abbiamo avuto l'adesione entusiastica del presidente della 
              repubblica israeliana Katsav e del ministro degli Esteri Peres, 
              che per altro nella primavera scorsa sono stati in visita al 
              parlamento Europeo. Per il momento, però, non abbiamo ricevuto 
              alcun segnale da parte del governo israeliano né della Knesseth. 
              Il mio timore è che prevalga un riflesso di indipendenza, che 
              sembra una bella parola ma è l'indipendenza di un'isola di 
              democrazia in un mare di violenza e di antidemocrazia e questa 
              cosa non regge. I politici israeliani dovrebbero capire che non 
              possono andare avanti dovendo far fronte ogni giorno a 
              recrudescenze terroristiche sul piano interno e prendendo pesci in 
              faccia dal Kofi Annan di turno sul piano internazionale.
 
 E quali sono state invece le reazioni alla 
              vostra proposta dal fronte europeo?
 
 Abbiamo il sostegno di una ventina di parlamentari europei, fra 
              cui peraltro lo stesso vicepresidente del consiglio Fini, ma in 
              realtà l'Europa continua ad avere una linea di grande ambiguità 
              verso questa questione. Il vero problema è che in Italia e in 
              Europa esiste una monocultura anti israeliana di fatto. Nessuno 
              dice quello che va detto su Arafat e cioè che o è lui che sta 
              dietro a queste azioni terroristiche, oppure non le controlla. 
              Nell'uno o nell'altro caso non può essere un interlocutore. 
              Proporre l'ingresso di Israele nell'Ue in fondo è anche una 
              battaglia di democrazia e libertà per i palestinesi. Occorre dire 
              che donne uomini e bambini palestinesi sono stati massacrati in 
              tutti questi anni proprio dalla loro leadership che li ha 
              trascinati in una spirale di morte, di terrorismo, di violenza. 
              Proprio quando hanno avuto il riconoscimento della formazione 
              dell'autorità si sono accorti che solo con la guerra potevano 
              uscire dal circolo vizioso di fame, miseria e disperazione.
 
 Pensando infatti ai palestinesi, che 
              significato avrebbe per loro l'ingresso di Israele nell'Ue?
 
 Io trovo inaccettabile che nessuno si ponga il problema dei 
              diritti civili e politici dei palestinesi a casa loro, dove c'è 
              un'applicazione selvaggia della pena di morte, non esistono 
              elezioni, non vi sono diritti fondamentali, non esiste un sistema 
              di giustizia. Donne, uomini e bambini arabi sono presi in 
              considerazione solo se incrociano una pallottola israeliana, 
              allora d'un tratto riacquistano dignità umana e qualcuno se ne 
              occupa. Deve essere chiaro che questa affermazione per Israele è 
              l'abc di un alfabeto di democrazia per tutta quell'area.
 
 Quali pensa che siano le concrete possibilità 
              di realizzazione della vostra proposta?
 
 Questa è una fase in cui tutte le nostre iniziative apparentemente 
              utopiche si rivelano concrete. Le donne vanno al governo in 
              Afghanistan, tre settimane fa si è votato in Kosovo, stiamo per 
              riuscire ad ottenere il tribunale internazionale (siamo a 47 
              ratifiche su 60). Due anni fa dicevamo: "Milosevic alla sbarra e 
              elezioni libere" ed è quello che sta succedendo oggi. Bisogna 
              cominciare a capire che esiste una Realpolitik dei diritti umani e 
              della libertà che giunge a realizzazione e ha una sua concretezza. 
              Non si tratta di iniziative delle anime belle, ma di iniziative 
              con obiettivi puntualmente realizzabili e alcuni già realizzati.
 
 7 dicembre 2001
 
 bamennitti@ideazione.com
 
              
 
 
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