| Punto diplomatico. Sotto tiro le finanziarie 
              di Hamas 
 Con il nuovo scenario mediorientale della guerra al terrorismo si 
              apre la battaglia diplomatica alle organizzazioni terroristiche 
              palestinesi. E l’offensiva finanziaria che l’Occidente ha sferrato 
              contro i fiancheggiatori in grisaglia di Al-Queda si abbatte ora, 
              con le stesse modalità, contro Hamas, il gruppo che ha rivendicato 
              gli attentati in Israele. Tutto parte dagli Stati Uniti che hanno 
              congelato il patrimonio di una fondazione e di due organizzazioni 
              finanziarie legate a Hamas. L’organizzazione più importante 
              colpita dagli americani è la Holy Land Foundation, con sede in 
              Texas; le altre due sono la banca al-Aqsa International e il 
              gruppo finanziario Beit el-Mal. Il presidente Bush ha precisato 
              ancora una volta che la guerra contro i terroristi sarà perseguita 
              e ampliata “in tutte le sue forme” e ha chiesto ai paesi alleati 
              di muoversi sulla stessa linea contro Hamas. L’Italia non s’è 
              fatta attendere. La procura di Roma ha annunciato di aver disposto 
              il blocco dei conti di transito riconducibili all’organizzazione 
              terroristica palestinese e gestiti da finanziarie straniere che 
              avrebbero avuto rapporti bancari con istituti di credito italiani. 
              Secondo fonti delle agenzie investigative – riportate dal Sole 24 
              Ore – Hamas riceverebbe contributi per circa 100 milioni di 
              dollari l’anno. La maggior parte dei flussi giungerebbe dag5li 
              Stati Uniti.
 
 Dal Medio Oriente all’Afghanistan. La conferenza di Bonn sul 
              futuro del paese ha partorito il compromesso tanto atteso. 
              L’accordo prevede la formazione di un governo ad interim che 
              reggerà l’Afghanistan per i primi sei mesi del 2002. Alla guida è 
              stato chiamato il leader pashtun Hamid Karzai, vicino all’ex re, e 
              ora a Kandahar per l'assedio finale ai talebani. L’esecutivo si 
              insedierà a Kabul il 22 dicembre. Una pesantissima riserva a 
              questo accordo, però, è venuta da uno dei signori della guerra, il 
              generale uzbeko Rashid Dostum, l’ambiguo conquistatore di 
              Mazar-i-Sharif: “Boicotterò i nuovi poteri”, ha fatto sapere 
              all’indomani della conclusione dei lavori, dando voce a 
              risentimenti e diffidenze che sono condivise anche da alcuni 
              esponenti pashtun.
 
 Un’ombra pesante che potrebbe inficiare il risultato raggiunto 
              dopo 9 giorni di trattative durante le quali, al di là degli 
              inevitabili scontri politici fra le fazioni, era sempre prevalso 
              uno spirito di collaborazione che aveva lasciato ben sperare anche 
              nei momenti di maggiore frizione. L’accordo di Bonn, il primo 
              tassello nella ricostruzione dell’Afghanistan, può comunque far 
              sorridere l’Onu – tornata ad avere un ruolo costruttivo in 
              conseguenza dell’intervento militare americano – e la Germania che 
              ha dimostrato di saper gestire un profilo diplomatico alto. 
              L’esecutivo provvisorio di Garzai governerà per sei mesi e darà 
              vita alla Loya Jirga, l'assemblea tradizionale dei capi etnia e 
              tribù che avrà il compito di varare la nuova Costituzione. Nel 
              frattempo il consiglio di sicurezza dell’Onu appronterà una forza 
              multinazionale che assicurerà l’ordine pubblico in Afghanistan nel 
              periodo di transizione. Signori della guerra permettendo. 
              (p. men)
 
 7 dicembre 2001
 
 
 
 
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