| Dietro l’accordo di Bonn il timore della 
              spartizione di Giuseppe Sacco
 
 Non erano passate neanche ventiquattro ore dall’accordo tra le 
              fazioni afgane riunite a Bonn - com’era facile da prevedere sulla 
              base delle precedenti esperienze - che cominciavano i primi 
              distinguo, e addirittura gli annunci di boicottaggio. Non è un 
              fatto che possa sorprendere. Troppo sangue è stato sparso negli 
              ultimi ventidue anni, troppo brucianti sono le ferite e le 
              passioni degli ultimi tempi, perché si possa in pochi giorni 
              raggiungere un compromesso e un equilibrio tra i molti interessi 
              militari e politici che dividono le tribù di quel martoriato 
              paese. Eppure è evidente che qualcosa si è mosso nell’ex-capitale 
              tedesca. Le pressioni dell’Onu e il fatto che le delegazioni 
              fossero in qualche misura sottratte alle roventi passioni locali 
              hanno chiaramente giocato un ruolo nel portarle a vedere meglio il 
              rischio cui l’Afghanistan è esposto nell’ormai realistica ipotesi 
              di un allargamento della guerra ad altri paesi. Gli esponenti 
              afgani hanno così dato qualche segno di aver capito che un accordo 
              è utile a tutti. Non solo per evitare che si estenda a tutto il 
              paese la situazione venutasi a creare a Mazar-i-Sharif, dove è in 
              corso ormai una guerra di tutti contro tutti, ma anche per tenere 
              fuori dalla loro patria le truppe “umanitarie” degli altri paesi, 
              comprese quelle dei paesi islamici. E per evitare che il contagio 
              del sanguinoso dramma israelo-palestinese finisca per tornare ad 
              avvelenare gli animi anche tra le fazioni e le tribù afgane.
 
 Il rischio cui le influenze esterne espongono l’Afghanistan si 
              chiama spartizione, di fatto se non di nome. Non a caso un 
              frettoloso annuncio di accordo è stato dato proprio mentre il 
              segretario di stato americano Powell partiva per una discretissima 
              missione ad Ankara, dove cercherà di ottenere il sostegno 
              strategico dei Turchi per un attacco al regime di Baghdad, a 
              partire dal loro indispensabile territorio. La connessione tra i 
              due eventi sta nel fatto che con la Turchia Powell dovrà discutere 
              il prezzo che questa chiede in cambio del suo consenso 
              all’allargamento della guerra. E il prezzo è che non si dia 
              nessuno spazio agli oppositori irakeni del regime di Saddam, che 
              tutta la questione venga gestita dalle potenze esterne, e che la 
              Turchia l’annessione pura e semplice di tutta la parte Nord 
              dell’Irak, con le sue popolazioni curde e turcomanne, e coi pozzi 
              petroliferi di Mossul e di Kirkuk.
 
 Una volta accettata la richiesta di Ankara risulteranno gettati 
              nel cestino della storia i Trattati con cui si è conclusa la Prima 
              guerra mondiale, e su cui si sono retti, dopo di allora, tutti i 
              complessi equilibri mediorientali. Ed è un tipo di soluzione 
              radicalmente opposta a quella su cui contano gli afgani, che 
              vorrebbero decidere tutto tra compatrioti. Una soluzione che 
              potrebbe costituire un precedente assai pericoloso, qualora le 
              fazioni e le tribù afgane si dimostrassero incapaci di 
              autogovernarsi. Ancora più inquietante, agli occhi dei fieri ed 
              indipendenti afgani è il fatto che, dopo Ankara, il 
              misteriosissimo viaggio di Powell è continuato nelle repubbliche 
              ex-sovietiche dell’Asia centrale, cioè nelle retrovie attraverso 
              le quali giungono i rifornimenti che rendono dipendente dalla 
              Russia quell’Armata del Nord che oggi ha il controllo militare di 
              Kabul e di tutto l’Afghanistan settentrionale. E lì sarà assai 
              difficile per gli Stati Uniti, dopo aver promesso mezzo Irak alla 
              Turchia, opporsi alle rinnovate ambizioni egemoniche di Mosca su 
              tutta quell’area, ambizioni che passano attraverso la 
              partecipazione delle repubbliche islamiche dell’ex-Urss alla 
              “missione militar-umanitaria islamica” che sarà probabilmente 
              guidata dalla stessa Turchia in Afghanistan.
 
 Credere che i pakistani possano accettare pacificamente tutto ciò 
              sarebbe - come è ovvio - un’ingenuità, tanto più in quanto 
              l’accordo che sembra aver posto termine all’indomabile resistenza 
              dei talebani, di cui i bombardamenti non sono riuscire ad aver 
              ragione, rilancia il ruolo politico dei pashtuns. E siccome buona 
              parte degli abitanti dello stesso Pakistan sono di questa etnia, 
              di cui è assai dubbia la lealtà al re Zahir Shah e all’uomo da lui 
              indicato come primo ministro, è facile prevedere che su di essi si 
              appunteranno le ambizioni del grande vicino del sud, che reclama - 
              in cambio del suo sofferto abbandono dei talebani, e del sostegno 
              dato ai loro nemici - almeno un “legame strategico” col nuovo 
              Afghanistan. In cosa consisterebbe tale “legame strategico” è 
              presto detto. Nell’ipotesi di una guerra con l’India - un’ipotesi 
              sempre di attualità per i dirigenti di Islamabad e di New Delhi - 
              le province afgane a sud di Kabul sarebbero infatti necessarie 
              all’esercito pakistano, troppo allo stretto sul territorio 
              nazionale, come spazio di manovra. Forse, ottenere il diritto di 
              utilizzarlo strategicamente non sarebbe un’annessione vera e 
              propria. Ma sarebbe certo qualcosa di assai simile.
 
 7 dicembre 2001
 
 saccogi@hotmail.com
  
               
 
 
 
 
 
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