| Usa, dalla difesa antimissile allo scudo 
              stellare di Stefano Magni
 
 Nascosta dalla guerra al terrorismo, una decisione di Bush può 
              aver cambiato radicalmente lo scenario strategico globale: il 
              ritiro unilaterale degli Stati Uniti dal trattato Abm che dal 1972 
              impone a Usa e Unione Sovietica (poi Russia, erede diretta e 
              legale di tutti i trattati sovietici) la limitazione dei sistemi 
              anti-missile. Si parla della possibilità di difendersi da un 
              attacco termonucleare dal 1967, quando il presidente democratico 
              Lindon Johnson varò il “Programma Sentinel”, un sistema di basi di 
              lancio di missili anti-aerei che dovevano intercettare missili 
              intercontinentali sovietici o cinesi in arrivo sulle città 
              statunitensi. Il programma era molto limitato, non solo 
              tecnologicamente, ma anche per il numero dei lanciatori e per i 
              bersagli potenziali coperti. Di fatto, si trattava di un sistema 
              di difesa aerea che lasciava qualche chance di salvezza in più ai 
              civili americani, nel caso i sovietici avessero lanciato per 
              errore uno o pochi missili contro gli americani. E avessero 
              avvertito in tempo il Pentagono dell’errore fatale. Il programma 
              Sentinel non diede, per questo, molto fastidio ai sovietici, i 
              quali proseguirono nella loro corsa alla costruzione di nuove 
              testate nucleari e nuovi vettori.
 
 La sfida strategica incominciò realmente nel 1969, quando il 
              presidente Nixon annunciò la trasformazione del programma Sentinel 
              in un sistema di difesa dei siti missilistici nucleari americani. 
              Questo che cosa avrebbe comportato, sul piano strategico? A 
              programma completato, in un’ipotetica guerra termonucleare 
              globale, in caso di lancio dei missili intercontinentali (Icbm) 
              sovietici, gli Icbm americani sarebbero rimasti illesi e pronti 
              alla risposta. In questo caso, i sovietici si sarebbero trovati 
              nella scomoda posizione di essere l’unica delle due superpotenze a 
              rimanere vulnerabile. Il 26 maggio 1972, a Mosca, fu firmato il 
              trattato Abm, che limitava questo tipo di difesa alla copertura 
              della capitale e a un solo sito di Icbm, dislocato ad almeno 1.300 
              km dalla capitale (così da evitare che i due sistemi costituissero 
              l’inizio di una rete di difesa nazionale) e allo spiegamento di 
              non più di 100 lanciatori singoli e 6 radar per ognuno dei due 
              siti da proteggere. Il trattato, il primo di una serie di accordi 
              sul controllo bilaterale degli armamenti, fu il primo passo di una 
              politica che tendeva a limitare le proprie capacità nucleari e di 
              “parità strategica”, una strategia che, si pensava allora, avrebbe 
              dovuto aiutare a scongiurare una guerra nucleare.
 
 Questo trattato è rimasto in vigore, con poche modifiche 
              sostanziali, fino alla fine del 2001. E’ stato un errore, da un 
              punto di vista americano, ritirarsi unilateralmente dal trattato? 
              Da un punto di vista strategico, nell’ottica a posteriori del 
              confronto Usa-Urss, è la firma del trattato Abm che può essere 
              considerata quasi certamente come un errore per gli Stati Uniti. 
              Contando sulla propria superiorità tecnologica, gli Stati Uniti 
              avrebbero potuto costringere l’Unione Sovietica a un’impari corsa 
              agli armamenti anti-missile, distogliendo le risorse sovietiche 
              dalla corsa agli armamenti nucleari offensivi. La vana ricerca di 
              una parità strategica, perseguita dagli Stati Uniti 
              dall’amministrazione Nixon fino a quella Reagan, permise, invece, 
              ai sovietici di possedere un deterrente nucleare offensivo più 
              potente (in accordo con le analisi strategiche di Luttwack e 
              dell’osservatorio “Soviet Military Power”) rispetto a quello 
              statunitense. E di far pesare questa loro superiorità in campo 
              diplomatico: l’espansione degli interessi di Mosca all’Etiopia, in 
              Angola, nello Yemen e l’invasione dell’Afghanistan risalgono a 
              quel periodo. Gli effetti di una corsa agli armamenti difensivi 
              Abm avrebbe quasi sicuramente evitato questo scenario: basti 
              vedere come la sola minaccia di lanciare il programma di difesa 
              spaziale anti-missile, lanciata da Reagan nel 1983, (iniziativa 
              che, tra l’altro, rispettava legalmente le clausole del Trattato 
              Abm), influì sulla crisi del sistema sovietico e sul suo 
              definitivo collasso.
 
 Ora c’è da chiedersi se una posizione così determinata, e forse 
              foriera di una nuova crisi della difesa russa, sia opportuna nel 
              mondo post-guerra fredda. Questo è ancora tutto da vedere, anche 
              perché l’atteggiamento ambiguo di Putin, a volte comprensivo, a 
              volte indignato, a volte ancora rassegnato, non permette di 
              comprendere a pieno quale possa essere la reazione della Russia a 
              questo mutamento radicale di scenario. Di sicuro una Russia non 
              riformata e sempre tendente a ricostruirsi una vasta area di 
              influenza in Asia e in parte anche in Europa, può, nell’analisi 
              del consigliere per la sicurezza di stato Condoleeza Rice, 
              costituire ancora una minaccia per l’Europa e, alla lunga, anche 
              per gli Stati Uniti. In questi termini, uno scudo stellare che 
              superi apertamente i limiti del trattato del 1972, anche se 
              presentato diplomaticamente come difesa globale e multilaterale 
              dai missili dei piccoli “rogue states”, riproporrebbe la vecchia 
              logica del confronto, ancora valida ai giorni nostri, senza 
              ripetere gli errori del passato.
 
 18 gennaio 2002
 
 stefano.magni@fastwebnet.it
  
              
              
 
 
              
 
 |