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        “L’Italia, la guerra, Bush”intervista ad Antonio Martino di Pierpaolo La Rosa
 
 “Dal punto di vista delle conseguenze strettamente economiche, questi 
        sei mesi trascorsi dall’11 settembre hanno dimostrato quanto fossero 
        esagerate le previsioni che si facevano al momento della tragedia”: il 
        ministro della Difesa, Antonio Martino, non si sottrae alla 
        responsabilità di fare un primo bilancio di ciò che è accaduto nel mondo 
        dopo le stragi delle Torri Gemelle e del Pentagono. Senza trascurare un 
        discorso di prospettiva.
 
 E la comunità internazionale, come ha reagito?
 
        
        Beh, ha dato prova di una compattezza e una determinazione davvero 
        straordinarie, che dovrebbero fungere da deterrente nell’eventualità che 
        ci fossero dei governi disposti a continuare ad appoggiare i terroristi.
 Intanto, la coalizione mondiale contro il 
        terrorismo sembra segnare un po’ il passo…
 
        
        Se la strategia scelta è quella giusta, lo sapremo solo tra qualche 
        anno. Mi limito però ad osservare che alcuni importanti risultati sono 
        stati conseguiti: la liberazione dell’Afghanistan dal regime dei 
        talebani e la sconfitta – anche se non la definitiva eliminazione – 
        delle basi di al Qaeda in quella terra martoriata.
 Ci saranno operazioni militari anche in altri stati, a partire dall’Irak 
        di Saddam Hussein?
 
        
        Fino ad oggi, i paesi europei non sono stati informati di un piano in 
        questa direzione. La mia personale speranza è che l’effetto dissuasivo 
        di cui parlavo in precedenza induca il governo iracheno a rispettare le 
        risoluzioni degli Usa, consentendo in tal modo il ritorno incondizionato 
        degli ispettori Onu. Se ciò accadesse, la possibilità di un intervento 
        in Irak sarebbe scongiurata del tutto.
 Secondo indiscrezioni della stampa americana, 
        sembra che il presidente Bush pensi addirittura all’opzione nucleare. 
        Qual è il suo giudizio?
 
        
        Che si è fatto un gran clamore. Stiamo parlando di un articolo del “Los 
        Angeles Times” in cui si dà conto di uno dei tanti scenari che 
        normalmente vengono presi in considerazione a livello 
        strategico-militare. Il fatto che siano presi in esame non significa per 
        nulla che verranno poi attuati o realizzati.
 Che ruolo ha l’Italia nella “santa” alleanza contro il terrorismo?
 
        
        La nostra partecipazione ad “Enduring Freedom” è ormai abbastanza 
        ridotta, con appena due unità navali impegnate attualmente nel Golfo. 
        Sul versante invece della presenza nella missione di assistenza e 
        stabilizzazione a Kabul, ci sono 350 militari italiani che si stanno 
        comportando in maniera egregia: il loro impegno è limitato a tre mesi, 
        fino quindi ad aprile, ma potrebbe darsi che debbano rimanere almeno 
        sino alla fine di giugno, quando sarà stata convocata l’assemblea degli 
        anziani, la “Loya Jirga”.
 Intanto, la questione mediorientale si è fatta 
        sempre più incandescente…
 
        
        A tale proposito, vanno dette due cose. La prima è che non c’è alcuna 
        relazione diretta tra la crisi in medioriente e il terrorismo 
        internazionale; non diamo a quest’ultimo una patente di nobiltà che non 
        possiede. La seconda è che il conflitto israelo-palestinese produce nel 
        mondo arabo un risentimento nei confronti dell’Occidente, dettato 
        dall’interpretazione secondo cui gli Stati Uniti appoggerebbero Israele. 
        La soluzione è semplice: bisogna interrompere ad ogni costo questa 
        paurosa spirale di odio. Credo che le premesse comincino ad esserci. Gli 
        Usa hanno infatti mostrato negli ultimi giorni un atteggiamento più 
        deciso nel convincere il governo di Tel Aviv a tentare di attenuare le 
        azioni di ritorsione contro i palestinesi, per andare al tavolo delle 
        trattative. Quello che realmente importa è che le parti inizino a 
        parlarsi. 
 15 marzo 2002
 
 pplarosa@hotmail.com
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