Stati Uniti:
come ricostruire la normalità
di Stefano da Empoli
A quasi due mesi dall’11 settembre, gli Stati Uniti stanno forse
per iniziare il tratto più difficile del cammino verso la
normalità. Dopo la formidabile scarica di adrenalina iniziale,
fatta di patriottismo e solidarietà, rimangono le incertezze della
vita di tutti i giorni, amplificate da una realtà piu’ elusiva che
mai. Incertezze legate alla sicurezza personale, rafforzate da chi
come il governo dovrebbe garantirla ma oggi come oggi si trova
costretto a lanciare vaghi avvertimenti su possibili attacchi
futuri. Mentre per la prima volta una persona non legata allo
smistamento della posta, una privata cittadina come gli altri,
muore per gli effetti dell’antrace. Come abbia contratto la
malattia non è dato saperlo. Meno che mai il nome del colpevole (o
dei colpevoli). Se le uniche notizie che giungono dal fronte
interno sembrano solo acuire il senso di smarrimento della società
americana, quelle dall’Afghanistan non rassicurano di certo. Il
conto dei leader assassinati è fin qui di uno a zero in favore dei
talebani, con la morte della settimana scorsa di Abdul Haq, eroe
della guerra contro i sovietici.
Un sondaggio commissionato dal New York Times e dalla CBS rivela
chiaramente come tutte queste incertezze rendano il clima odierno
più plumbeo di quanto esso fosse nelle immediate vicinanze degli
attacchi alle Twin Towers e al Pentagono. Alla fine di ottobre,
solo il 28% degli americani è sicuro che Osama bin Laden prima o
poi sarà catturato o ucciso contro il 38% di inizio ottobre. Solo
il 18% della gente ripone molta fiducia nelle capacità del governo
di prevenire ulteriori attentati contro il 35% di risposte dello
stesso tenore date tra il 20 e il 23 settembre.
Sull’eventualità di attacchi nei prossimi mesi, in cinque
settimane si è passati dal 36 al 53 per cento di persone che li
ritengono molto probabili. Il guaio di questi dati è che non sono
una manifestazione isolata di paura ma hanno un effetto contagioso
su tutto quello che sfiorano. Ad un’insicurezza sulla incolumità
propria o della comunità fa riscontro un’accentuata incertezza
sullo stato attuale e futuro dell’economia. In un periodo
economico già difficile di per sé, l’effetto può essere
devastante. Come testimonia l’indice della fiducia dei consumatori
sulla stato presente e futuro dell’economia americana, crollato al
livello più basso degli ultimi sette anni. Se si considera la
parte dell’indice relativa alla situazione economica attuale, si
registra il livello piu’ basso dal 1980 ad oggi. L’economia
americana sta probabilmente procedendo speditamente verso la
recessione, non si sa quanto lunga e profonda.
In questa fase di incertezza è importante per il comune cittadino
sapere che a Washington c’è una riserva di timonieri in grado di
navigare attraverso i flutti agitati della fase attuale, sia nella
sfera della sicurezza che in quella dell’economia. In una
situazione psicologica così difficile, l’impressione conta quanto
la sostanza. Provvedimenti e dichiarazioni sensate basterebbero a
quietare un poco le acque, sperando che l’onda terroristica si sia
placata.
Sul fronte della sicurezza, la macchina è ancora da oliare ma dà
segni di potersi mettere in moto, dopo le incertezze delle
settimane scorse. Le preoccupazioni maggiori provengono dal fronte
economico, dove manca un portavoce autorevole. Greenspan ha fatto
fin qui quello che ha potuto, tagliando i tassi come mai nel
recente passato. Ma non spetta a lui collocare il tassello della
politica economica americana nel più ampio mosaico costruito
dall’Ammnistrazione Bush. Che sembra mancare non solo di una
strategia unitaria ma di una voce autorevole che possa rassicurare
credibilmente gli americani sulle prospettive future della loro
economia. Al ministro del Tesoro, O’Neill, è stata messa la
museruola, dopo una serie di interviste sopra le righe dei mesi
scorsi. Le sue dichiarazioni scritte non sono apparse migliori,
ripetendo da gennaio una monotona litania su una ripresa che verrà
nei “prossimi mesi” e che, come in un incubo, appare sempre più
lontana davanti a noi. Lo stimolo fiscale allo studio del
Congresso non sembra di grande aiuto. Si vacilla tra tagli alle
imposte sulle imprese e interventi assistenziali di spesa, con
l’aggiunta di una piccola elemosina alle famiglie.
Quando l’intervento migliore sarebbe probabilmente costituito da
tagli permanenti alle imposte sui redditi medio-bassi perché
occorre innalzare i consumi, senza i quali non avrebbe senso
aumentare la capacità produttiva attraverso uno stimolo agli
investimenti. Senza creare i presupposti per un’espansione del
ruolo dello stato nell’economia. Se proprio ci deve essere nel
breve periodo, deve essere congegnata in modo tale che sia
riassorbita rapidamente ad emergenza finita e non abbia effetti
negativi di lungo periodo sull’efficienza complessiva
dell’economia.
Insomma, la parola d’ordine è instillare fiducia nel cittadino
americano che apre la posta e, nella stessa giornata, va a fare la
spesa. Per farlo nel migliore dei modi occorre intervenire sulla
qualità del messaggio più che sulla quantità. Avendo anche il
coraggio di cambiare gli uomini preposti a confezionarlo e a
veicolarlo qualora si rivelasse necessario. Ricordandosi che
sicurezza ed economia sono due pilastri di uno stesso palazzo. Che
crollerebbe se uno dei due venisse a mancare. Le crepe di oggi
sono ancora troppo piccole per gettarci nel panico ma meglio
ripararle prima che dopo.
1 novembre 2001
sdaempol@gmu.edu
|