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              Politica economica:se il dramma della guerra diventa un diversivo
 di Massimo Lo Cicero
 
 Da molti giorni la stampa italiana focalizza la sua attenzione 
              sulle cronache dal fronte dello scontro con i terroristi islamici 
              e gli stati che diventano loro fiancheggiatori. Si possono leggere 
              commenti intelligenti e molte notizie ma si deve riconoscere che 
              c’è anche molto rumore, noice come dicono gli inglesi. Questo 
              rumore ci impedisce di avere informazioni sulle questioni della 
              nostra politica economica domestica ed impedisce anche alla stampa 
              di riferire su questi temi. La questione è di un certo rilievo: 
              perché i nostri problemi esistevano prima ed indipendentemente 
              dalle drammatiche conseguenze degli attentati di September Eleven; 
              perché il tentativo del governo in carica di dare fiato 
              all’economia, con la manovra dei cento giorni, il nuovo impianto 
              del Dpef e la legge finanziaria, è condizionato ma non determinato 
              da quelle conseguenze; perché i problemi economici italiani hanno 
              un marcato connotato strutturale e qualsiasi congiuntura, anche la 
              più ostile, rappresenta un vincolo alla loro soluzione ma non muta 
              la natura di quei problemi. L’elenco è banale e molto conosciuto, 
              se non altro perché è stato ripetuto molte volte da queste 
              medesime colonne.
 
 L’Italia ha una pubblica amministrazione che si occupa di troppe 
              cose e se ne occupa molto male: costa troppo e rende poco al 
              paese. L’Italia è l’unico paese d’Europa con un enorme divario 
              economico e sociale al proprio interno. Non esiste, nell’Europa 
              dei quindici, un paese al cui interno convivano regioni con un 
              reddito pro capite più alto del 30 per cento della media europea 
              e, contemporaneamente, regioni con un reddito pro capite più basso 
              del 70 per cento della media europea. La Lombardia si colloca tra 
              le prime dieci regioni europee; tutte le regioni meridionali 
              entrano nella lista delle ultime dieci. L’Italia presenta nella 
              sua cultura politica un dato insopportabile di contrapposizione 
              ideologica, che trasforma ogni problema oggettivo in una “guerra 
              di religione”. Con una crescita demografica piatta ed un apparato 
              produttivo che non si colloca sulla frontiera della tecnologia 
              disponibile, bisogna cambiare il sistema previdenziale, da un 
              regime a ripartizione ad un regime a contribuzione, per motivi 
              aritmetici e non per scelte ideologiche. Le somme e le divisioni, 
              nel mondo, le fanno allo stesso modo i liberali ed i laburisti, 
              gli islamici ed i cristiani.
 
 Questa drammatica congiuntura di guerra offre, in altre parole, 
              agli italiani l’alibi di cui sono accaniti coltivatori: parlare 
              d’altro per non affrontare i propri problemi, per non mettere in 
              discussione le tante nicchie di privilegio in cui alcuni di loro 
              sono riusciti a nascondersi ed intendono continuare a farlo. 
              Bisogna rompere questo circolo vizioso: perché la guerra sarà 
              lunga e perché essa apre una stagione di modifiche durature. Anche 
              la cattura di bin Laden non rappresenterà la fine dell’incubo 
              perché bisognerà comunque riorganizzare il processo di 
              globalizzazione e liberalizzazione dei mercati, sulla base di 
              maggiori investimenti in sicurezza. Bisognerà fare questo 
              arginando le nostalgie stataliste dei tanti opportunisti che 
              sperano di interrompere quel processo ed i contenuti di libertà ed 
              emancipazione dei deboli che ad esso possono essere associati. 
              Bisognerà riprendere la strada delle liberalizzazioni e delle 
              privatizzazioni: cedendo gli immobili di stato come vuole fare 
              Tremonti, ma anche restituendo al mercato, alla responsabilità 
              individuale ed alla iniziativa imprenditoriale le tante riserve di 
              caccia, appaltate a municipalizzate e società controllate dagli 
              enti locali.
 
 Bisognerà riflettere sulla portata di un federalismo che rischia 
              di dividere l’Italia ancor più di quanto non lo sia ora e sulle 
              conseguenze di un regime, di agevolazioni e di spesa pubblica, che 
              riduce il problema della crescita meridionale a quello delle 
              elemosine e dell’ultima spiaggia prima dell’allargamento 
              dell’Unione Europea. Bisognerà evitare che la piega della 
              discussione si orienti solo sul tema di quanta parte dei fondi 
              europei spendiamo e bisognerà ricominciare a chiedersi come e 
              perché li spendiamo. Altrimenti, per spendere velocemente, 
              basterebbe fare come diceva Milton Friedman: buttarli dagli 
              elicotteri. Lui lo diceva per ironizzare sulle capacità allocative 
              della pubblica amministrazione: qualcuno in Italia potrebbe 
              cominciare davvero pensarci.
 
 Bisogna, in una parola, tornare a parlare dei problemi degli 
              italiani: la lista di quei problemi è più lunga, dopo l’undici di 
              settembre. Ma la loro soluzione rimane legata agli interessi degli 
              italiani ed alla loro capacità di controllare e dirigere gli 
              individui cui hanno affidato la propria rappresentanza politica: 
              sia quando quella rappresentanza si veste dei panni 
              dell’opposizione sia quando deve assumere la responsabilità del 
              Governo. E per farlo gli italiani hanno bisogno di una libera 
              stampa e di una efficace informazione
 
 1 novembre 2001
 
 maloci@tin.it
 
              
 
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