La classifica si muove, l'Italia (ancora) no

Nel 2001, rispetto all'Index of Economic Freedom elaborato lo scorso anno dalla Heritage Foundation in collaborazione con il Wall Street Journal, 73 paesi hanno migliorato la propria classifica, 53 l'hanno peggiorata e 27 sono rimasti stabili. Delle 156 nazioni esaminate, 71 sono considerate "libere" o "prevalentemente libere" e 85 "represse" o "prevalentemente represse" (per una mappa totale, clicca qui). Non un quadro particolarmente idilliaco, dunque, soprattutto se si considerano i successi generalizzati nel tenere sotto controllo l'inflazione, che hanno migliorato quasi dovunque i punteggi relativi alle politiche monetarie. Nord America (6 paesi) e Europa (4) restano le zone dove la libertà economica è più diffusa. Mentre le economie più represse sono concentrate in Asia e nell'Afria sub-sahariana.

Dei 10 fattori-chiave presi in considerazione dalla ricerca, dunque, la "politica monetaria" è quello che ha fatto registrare i miglioramenti più diffusi (38 paesi in crescita, 10 in calo), mentre i dati relativi ai "sistemi finanziari" e alla "regulation" rimangono stabili in quasi tutti i cinque continenti. Molto problematiche, poi, continuano ad essere le questioni relative alla "pressione fiscale" (cresciuta in 26 paesi e diminuita in 18) e al "mercato nero" (32 paesi hanno peggiorato il loro punteggio), che sembra diffondersi sempre di più nelle nazioni meno sviluppate del continente europeo. Come lo scorso anno, infine, la Heritage Foundation ha registrato un trend negativo relativo ai "diritti di proprietà" (22 paesi in calo, soltanto 2 in crescita) che colpisce soprattutto l'America Latina e i Caraibi.

Per quanto riguarda le performance dei singoli paesi, invece, nella "top ten" dei miglioramenti rispetto allo scorso anno si segnalano Azerbaijan, Mauritania, Mozambico, Nicaragua, Indonesia, India, Estonia, Cambogia, Armenia, Gambia, Moldavia e Vietnam. Mentre la libertà economica è diminuita in Turchia, Giappone, Marocco, Bolivia, Ghana, Libano, Argentina, Corea del Sud, Nigeria, Perù e Taiwan. Dal 1995, invece, anno in cui è stata pubblicata la prima edizione dell'Index of Economic Freedom, è la Malaysia il paese che ha visto peggiorare la propria posizione in maniera più sensibile. Subito dopo, nella classifica dei "cattivi": Venezuela, Bielorussia, Giappone, Turchia, Zimbabwe, Paraguay, Francia, Taiwan, Corea del Sud, Mauritius e Nigeria. Sette anni di crescita, al contrario, per Azerbaijan, Mozambico, Lituania, Armenia, Ruanda, Cambogia, Nicaragua, Bosnia, Cile e Vietnam. Concludiamo con la classifica assoluta di quest'anno, che vede in testa ancora una volta Hong Kong, con uno strabiliante 1.35 di valutazione globale. Raggruppate tra 1.55 e 1.85, invece, seguono Singapore, Nuova Zelanda, Estonia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi, Stati Uniti d'America, Australia, Cile e Regno Unito. (Per un quadro complessivo dei risultati degli ultimi anni, clicca qui).

L'Italia, naturalmente, è ben distante dalla vetta della classifica. E occupa il 29° posto insieme a Taiwan e Lituania, con un punteggio complessivo di 2.35. A frenare il nostro paese - che si comporta benissimo nella politica monetaria e benino nell'intervento pubblico, nel sistema finanziario e nei prezzi/salari - sono soprattutto l'eccessiva regolamentazione del mercato e una pressione fiscale che definire "di stampo feudale" sarebbe soltanto un delicatissimo eufemismo. Mentre nella "regulation" l'Italia naviga intorno ad un mediocre trentesimo posto, infatti, il nostro "fiscal burden" ci relega oltre la 150ª posizione, in compagnia di altre gloriose democrazie come Siria e Iraq, con un 5.0 tondo tondo che grida vendetta. "Dopo oltre 50 governi dalla fine della seconda guerra mondiale - scrivono però, con ottimismo, gli analisti della Heritage Foundation - la recente elezione di Silvio Berlusconi dà all'Italia la possibilità di invertire un lungo trend di bassa crescita ed alta disoccupazione". Staremo a vedere. (a.man.).

23 novembre 2001

anmancia@tin.it


 

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