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              Il federalismo fiscale è anche 
              responsabilità di spesadi Paolo Passaro
 
 In Italia si dibatte da qualche tempo di federalismo. Il nuovo 
              articolo 114 del Titolo V della Costituzione recita che: “La 
              Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città 
              metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. La formulazione mette 
              lo Stato, in rigoroso ordine alfabetico, all’ultimo posto. Si 
              tratta di una sfumatura o si rileva implicitamente una 
              marginalità? L’azione legislativa ha tradotto in termini concreti 
              una domanda, un bisogno, dei cittadini. Capire se i soldi pagati 
              in tasse, imposte e balzelli di ogni tipo si traducono in migliori 
              servizi o più efficiente assistenza. E’ una tendenza comune a 
              tutte le nazioni più industrializzate. In Italia l’insofferenza 
              verso il governo centrale è nata nel Nord, industrialmente più 
              avanzato, in funzione della scarsa capacità di risposta dei 
              governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni. L’economia in 
              crescita del Veneto o della Lombardia non ha più trovato nella 
              classe politica, soprattutto centrale, quell’efficienza, efficacia 
              e rapidità di risposta alla domanda di migliori servizi pubblici, 
              utili e necessari per competere sui mercati mondiali. Non è Bossi 
              a decidere se il federalismo si farà; lui è solo il sensibile 
              interprete di un sentimento radicato e profondo che, come un fiume 
              carsico, attraversa gli alvei più remoti della società. Nelle 
              ultime settimane il discorso è diventato infuocato in funzione del 
              “federalismo fiscale”.
 
 Lo Stato si prepara ad annullare i trasferimenti verso gli Enti 
              Locali che debbono supplire alle minori risorse finanziarie 
              mediante l’esazione diretta delle imposte. Quello che bisogna 
              chiedersi è: come si spendono i soldi?. Chi parla mai delle 
              spese?. Il federalismo significa non solo autonomia di entrata ma 
              soprattutto responsabilità di spesa. Possiamo pensare di 
              sperperare allegramente le finanze pubbliche come se non fossero 
              di tutti i cittadini?. L’essenza del Federalismo è semplice: se io 
              cittadino pugliese pago più tasse del mio omologo campano (o 
              lombardo) e godo di servizi più scadenti, comincerò a farmi delle 
              domande sul perché. Scatta allora il meccanismo del controllo: 
              trattandosi di soldi faticosamente conquistati forse è il caso di 
              guardare dentro i conti, no? Il federalismo è come passare dalla 
              fanciullezza all’età adulta. Nella fanciullezza i soldi provengono 
              sempre dai solerti genitori; da adulti bisogna fare i conti tra 
              entrate e spese. Gli Enti Locali, allora, debbono imparare a 
              fornire gli stessi servizi di oggi a prezzi più contenuti. 
              Eliminando sprechi, clientelismo e contributi elettorali a 
              pioggia.
 
 Ovviamente il meccanismo è devastante per certa politica. Milton 
              Friedman, rigoroso economista monetarista, ripete sempre: “Nessun 
              pasto è gratis”. Il tempo della distribuzione generosa di “pani e 
              di pesci”, senza badare a dove si attingono risorse è finito. Il 
              debito pubblico, pari al 108 % del Pil, è il macigno che esprime 
              l’aberrazione di aver scaricato tutti gli eccessi della finanza 
              allegra sulle spalle delle future generazioni. Come si possono 
              ridurre le spese? Molte nazioni dimostrano che il privato, in 
              genere, può fare le stesse cose del pubblico a prezzi minori ed in 
              maniera più efficiente. E’ il principio di sussidiarietà. 
              Sussidiarietà “orizzontale” è quella che attiene ai rapporti tra 
              Enti Pubblici e privati. La sussidiarietà “verticale” che 
              riguarda, invece, le relazioni tra i diversi attori della Pubblica 
              Amministrazione.
 
 Uno Stato “centralista” che controlla tutto, e tiene saldamente in 
              mano i cordoni della borsa, non è più attuale. Ormai l’Italia è 
              parte integrante dell’Europa. Allontanandosi la fonte del potere 
              centrale (verso Bruxelles) non si può immaginare che per costruire 
              una strada, un ospedale, una centrale elettrica in Puglia, per 
              esempio, sia necessario andare a Bruxelles con il cappello in 
              mano. Bisogna essere in grado di sviluppare un’autonoma capacità 
              di gestione delle risorse attraverso la realizzazione di un 
              circolo virtuoso di razionalizzazione delle spese “correnti” e 
              maggiori investimenti che inneschino il moltiplicatore delle 
              risorse private. Perché non pensare che le notevolissime quantità 
              monetarie di risparmio pugliese non possano essere investite nella 
              regione, magari attraverso il Project financing, tutelando 
              adeguatamente i risparmiatori? In alternativa i cospicui flussi di 
              risparmio del Sud Italia saranno indirizzati verso regioni e 
              piazze finanziarie già sviluppate; contribuendo a ridurre il grado 
              di potenziale crescita endogena del sistema meridionale.
 
 11 ottobre 2002
 
 paolo.passaro@libero.it
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