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              Il doppio filo tra banche e industriadi Tullio Toscano
 
 La crisi che ha investito le società Fiat e Cirio, ha richiamato 
              l'attenzione della pubblica opinione sui rapporti tra banche e 
              industria, non sempre improntati alla prudenza. E' una vecchia 
              storia. E' noto infatti che il nostro sistema bancario venne 
              investito da una catena ininterrotta di dissesti, a partire dagli 
              anni dell'Unità (1861), in conseguenza dei suoi legami poco 
              avveduti con il mondo imprenditoriale: tessile, siderurgico, 
              edilizio, delle costruzioni navali, automobilistiche, etc., legami 
              che passarono negativamente sulla questione del credito in Italia. 
              La prima grande crisi esplose tra gli anni Ottanta e Novanta 
              dell'800 e travolse la Banca generale e il Credito mobiliare, 
              oppressi da una massa di immobilizzazioni di alcune grandi 
              industrie del tempo. Fu il primo anello d'una catena che 
              attraversò l'intero Novecento e che investì tutti i nostri 
              maggiori istituti bancari, che sopravvissero solo grazie ai 
              "salvataggi" operati dai governi con il denaro dei contribuenti.
 
 E' certo che se non ci fossero stati questi soccorsi 
              provvidenziali, tutte le principali banche che oggi operano nelle 
              nostre piazze, sarebbero sparite da un pezzo dal mercato. Di 
              questo grave e preoccupante fenomeno si occupò anche l'insigne 
              economista Maffeo Pantaleoni, che puntò il dito principalmente 
              contro la politica dei "salvataggi" che, a suo dire, spogliava 
              coloro che erano stati accorti e avveduti, a favore di coloro che 
              erano stati avventati e imprudenti. E non aveva torto. Ma questa 
              politica, purtroppo, fu la regola di tutti i governi italiani, a 
              cominciare da Crispi e Giolitti, per finire ad Andreotti e Amato, 
              che mai negarono generose iniezioni di denaro pubblico per 
              rimettere in sesto istituti bancari portati sull'orlo del 
              fallimento da cattivi amministratori.
 
 Dati questi precedenti, qualsiasi persona di buon senso fa fatica 
              a capire come ancora le nostre banche si lascino invischiare in 
              vicende, riguardanti società industriali in difficoltà, o per 
              cattiva gestione o per avverso andamento del mercato. Giustamente 
              i risparmiatori, che, detengono azioni e obbligazioni delle 
              società in crisi, si domandano se le banche abbiano 
              sufficientemente valutato il grado di rischiosità delle operazioni 
              decise a suo tempo; specie quando si scopre che, in alcuni casi, 
              al posto delle strutture societarie ci siano veri e propri 
              "labirinti" inestricabili, di cui parlava anche Maffeo Pantaleoni 
              al tempo dei primi dissesti bancari. E' una situazione difficile, 
              che denota altresì una scarsa efficacia della vigilanza sul nostro 
              sistema bancario, a giudicare quanto meno dai risultati. Ben venga 
              perciò la nuova "regulation" che, a quanto si dice, sarebbe stata 
              preparata dal Comitato di Basilea sulla vigilanza bancaria, che 
              imporrebbe regole più severe nei rapporti tra banche e industria.
 
 22 novembre 2002
 
 (da L'opinione delle libertà, 14 novembre 2002)
 
 
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