Mezzogiorno: per chi suona la campana della crescita
di Paolo Passaro

Il prof. Viesti, in un recente articolo pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno, suona infauste campane a morto per commemorare il Mezzogiorno, stritolato dalla perfida cattiveria bossiana. Verrebbe da chiedersi, sulla falsariga della metafora, “per chi suona la campana?”. Perché Viesti è preda di accorata preoccupazione, visto che il suo ultimo successo editoriale si intitola “Abolire il Mezzogiorno”?. Non è, secondo lui, quello che vuole Bossi? Abolire il concetto di “Mezzogiorno”, quale sinonimo di zona sottosviluppata in maniera uniforme, se da un lato è plausibile dal punto di vista economico (in quanto vi sono nel Sud d’Italia aree geografiche molto composite e diverse) dall’altro fa pensare che il “Mezzogiorno” non sia più una questione nazionale, drammatica ed urgente. Purtroppo non è così. Non ci può essere rinascita economica sostanziale, in Italia, se non vi è una reale e concreta crescita del Sud. Un sistema istituzionale di tipo federale solidale potrebbe essere una delle chiavi di volta per la risoluzione del problema. Viesti scrive che la devolution in salsa padana comporterà concreti pericoli di depauperamento delle regioni del Sud. Ciò anche alla luce di provvedimenti come l’abolizione dell’IRAP (attualmente incassata dalle Regioni). Questo, secondo lui, determinerebbe una clamorosa divaricazione tra le risorse monetarie disponibili, per esempio, tra i cittadini lombardi e quelli calabresi, con l’effetto di distruggere uno dei cardini del contratto sociale attualmente sancito dalla Costituzione: la parità di trattamento e di opportunità tra tutti gli italiani. 

Il ragionamento di Viesti non convince per tre motivi. In primo luogo si sta parlando di un progetto che è ancora in fase di bozza, e che non rappresenta lo spauracchio agitato dal centrosinistra, in quanto deve passare attraverso varie letture alla Camera e al Senato. Al contrario: perché il centrosinistra non riconosce che il “federalismo” pasticciato, approssimato e improvvisato introdotto a fine legislatura dal parlamento uscente è quanto di peggiore potesse essere prodotto da una classe politica? Secondo: è vero che si parla di abolire l’IRAP. Ma Viesti dimentica che il meccanismo sarà compensato dalla leva fiscale dell’addizionale IRPEF a favore delle Regioni (la base imponibile è maggiore). Inoltre, il nuovo sistema introdotto dalla riforma fiscale Tremonti innova profondamente il settore tributario, anche in senso federale. Sarà più facile per le Regioni incassare dai cittadini i soldi dovuti sulla base della vera ricchezza prodotta. Non quella falsa dell’IRAP che è un’imposta “sul lavoro”, ovvero, un’imposta più alta per le imprese che hanno molti dipendenti e punitiva soprattutto nei confronti delle imprese più giovani, spesso sottocapitalizzate, che ricorrono al debito bancario. Imprese per altro molto frequenti al Sud. L’IRAP, infatti, non riconosce la detrazione degli oneri finanziari. Per non parlare dell’attuale sistema di riparto dell’IVA (sempre studiato dal centrosinistra). Esso favorisce, oggi, le regioni del Nord, in quanto si basa sulla spesa delle famiglie e non sulla popolazione residente. Stessa cosa per le risorse destinate al Sistema sanitario nazionale. 

Terzo ed ultimo punto: non si può immaginare un sistema federale che stia in piedi con gli stessi costi. Non vanno aumentate solo le entrate, vanno ridotte le spese. Le spese vanno ripartite per ottenere l’ottimale allocazione delle risorse, scarse tra usi alternativi. Vale il principio di “sussidiarietà”: laddove il privato può fare le stesse cose del pubblico, è meglio che agisca il privato. Ciò comporterà più efficienza e meno costi. E se ci sono meno costi le risorse come per incanto sono sufficienti. Quindi, il federalismo è un sistema che impone un cambio di mentalità. Meno Stato, meno regione, più mercato. Mercato controllato da vari livelli di regole e Authority, se necessarie. D’altronde, una separazione tra Nord e Sud d’Italia sarebbe un danno per il Nord. La spinta federalista di Bossi potrebbe determinare una salutare sferzata di orgoglio per le enormi ed assopite potenzialità del Sud d’Italia. E se invece “delle nostre campane” facessimo suonare la sveglia? 

23 maggio 2003


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