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              La riforma dei conti pubblicidi Antonio Pedone
 
 Ogni anno, puntualmente, in occasione della concitata discussione 
              e affrettata approvazione parlamentare della legge finanziaria e 
              del bilancio dello Stato prima delle festività di fine anno, 
              rappresentanti al massimo livello del governo e del Parlamento 
              (l’anno scorso, i presidenti Berlusconi e Casini) si ripromettono 
              solennemente di affrontare la riforma del processo di bilancio. In 
              molti casi, ci si limita a indicare un capro espiatorio 
              nell’incomprensibile (pare anche da parte di chi l’ha proposta e 
              votata) legge finanziaria. In ogni caso, all’inizio del nuovo 
              anno, puntualmente, alla ripresa dei lavori i problemi urgenti da 
              affrontare sono tanti altri, e della riforma del bilancio non se 
              ne parla più, o non se ne fa niente, fino al successivo autunno. 
              Lo spegnersi di queste intenzioni riformistiche è un male, non 
              perché esista una riforma del processo di bilancio che lo renda 
              una volta per tutte trasparente, certo, controllabile ed efficace 
              nel perseguire i molteplici obiettivi che gli sono assegnati, ma 
              perché alcuni aspetti del nostro processo di bilancio richiedono 
              oggi non solo interventi di manutenzione ma anche modifiche 
              importanti per adeguarlo alle nuove esigenze imposte 
              dall’appartenenza dell’Italia all’Unione monetaria europea e 
              dall’avvio del federalismo fiscale.
 
 Non esistono riforme risolutive del processo di bilancio perché 
              con esso si distribuiscono e redistribuiscono ingenti risorse, 
              dando ad alcuni e sottraendo ad altri (individui, famiglie, 
              imprese, categorie, territori, gruppi varii); ed è allora 
              inevitabile che il processo di bilancio rimanga in qualche misura 
              conflittuale, confuso e soggetto a pressioni disordinate nei suoi 
              diversi passaggi. Sempre meno confuso e cruento però di uno 
              scontro sulle barricate, se è vera l’affermazione del noto 
              studioso Richard Musgrave, secondo il quale “l’affermarsi della 
              democrazia a suffragio universale ha modificato la concezione di 
              quale debba essere l’insieme appropriato di funzioni attribuite 
              allo Stato, spostando dalle barricate alla determinazione della 
              politica di bilancio l’area di confronto tra gli interessi dei 
              diversi gruppi e delle classi sociali”. Ciò non vuol dire che 
              qualsiasi sistema di bilancio vada egualmente bene in tutte le 
              circostanze e, in particolare, non vuol dire che il nostro attuale 
              processo di bilancio non abbisogni di modifiche anche profonde e 
              urgenti, soprattutto per evitare, da un lato, che la nostra 
              partecipazione all’Unione monetaria europea e il rispetto del 
              Patto di stabilità e crescita siano troppo costosi e sofferti, e, 
              dall’altro, che le riforme avviate nei rapporti finanziari tra i 
              diversi livelli di governo (il cosiddetto federalismo fiscale) 
              siano l’occasione di continui conflitti istituzionali penalizzanti 
              per la competitività del nostro sistema economico.
 
 Fissare dei limiti al saldo di bilancio
 
 Modifiche importanti del nostro attuale processo di bilancio sono 
              richieste dal fatto che le regole sostanziali di bilancio presenti 
              nel nostro ordinamento hanno due contenuti completamente diversi 
              secondo che si basino sulle prescrizioni dell’art. 81 della 
              Costituzione o su quelle del trattato sull’Unione europea. Non si 
              intende qui discutere se e quali regole sostanziali di bilancio 
              siano da adottare, ma soltanto mettere in luce i problemi anche 
              istituzionali derivanti dalla compresenza di due regole 
              profondamente diverse. I motivi che possono far ritenere 
              desiderabile la fissazione e il rispetto di regole fondamentali in 
              materia di finanza pubblica, e far ritenere opportuno che, qualora 
              siano ritenute desiderabili, esse assumano lo stato di norme 
              costituzionali, sono numerosi e molto diversi tra loro. Tra tali 
              motivi, hanno avuto un peso notevole nell’ispirare le norme della 
              nostra Costituzione e del trattato Ue quelli che si rifanno ad 
              impostazioni e analisi relative al funzionamento delle democrazie 
              parlamentari maggioritarie, e alla spinta all’espansione dei 
              bilanci pubblici e al finanziamento in deficit della spesa 
              pubblica attraverso il gioco politico e istituzionale tra i 
              diversi operatori pubblici, e in particolare tra governo e 
              Parlamento; e quelli che si rifanno alle conseguenze economiche e 
              sociali indesiderabili che l’assenza di limiti all’accumularsi di 
              deficit di bilancio può avere in termini di sostenibilità del 
              debito, di possibili crisi finanziarie e di costose politiche di 
              riaggiustamento dei conti pubblici.
 
 Quali che ne siano i motivi condivisi, la regola proposta e 
              adottata consiste nel fissare dei limiti al saldo di bilancio. Una 
              tale regola può essere accettata anche da chi sostiene l’impiego 
              del bilancio pubblico a fini di stabilizzazione dell’economia, in 
              quanto gli effetti del bilancio pubblico sulla domanda dipendono, 
              oltre che dal saldo, dal livello assoluto e dalla composizione 
              delle voci di bilancio, che possono essere modificati, sia pure 
              con maggiori difficoltà, rispettando un certo saldo di bilancio; 
              tanto più, quando la regola si applichi soltanto al saldo di parte 
              corrente (escludendo la spesa per investimenti), o a un saldo 
              strutturale, cioè corretto per gli effetti del ciclo economico.
 Occorre tener presente che il saldo di bilancio riflette la 
              situazione dell’economia attraverso la struttura delle leggi di 
              spesa e di entrata. La presenza di una complessa e reciproca 
              influenza tra l’andamento dell’economia, i comportamenti degli 
              operatori e le grandezze dei bilanci moderni, fa sì che la 
              formulazione e il rispetto di una qualsiasi regola riferita ai 
              saldi di bilancio presupponga la disponibilità di un modello 
              soddisfacente con cui formulare e stimare le relazioni reciproche 
              tra bilancio pubblico ed economia, e di metodi di previsione che 
              garantiscano al meglio la congruità delle valutazioni sia degli 
              oneri futuri delle leggi di spesa pluriennali sia dei mezzi di 
              copertura per essi indicati.
 
 L’art. 81 della Costituzione prescrive il pareggio del saldo 
              incrementale del bilancio dello Stato, imponendo che “ogni legge 
              che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi 
              fronte”. E’ evidente che, se questo criterio fosse stato sempre 
              pienamente rispettato, anche il saldo complessivo, che altro non è 
              che la sommatoria di tutti i saldi incrementali precedenti, 
              sarebbe anch’esso in pareggio. Ma è altrettanto evidente che, 
              soprattutto per leggi permanenti in materia di organizzazione o 
              che forniscano prestazioni al verificarsi di circostanze non 
              esattamente prevedibili, la determinazione degli oneri finanziari 
              che comportano rimane largamente aleatoria. Così come rimane 
              aleatoria la copertura di tali oneri negata a variazioni di 
              entrate connesse a modifiche nella struttura dei tributi e non di 
              semplici aggiustamenti delle aliquote. Di fatto, la 
              sottovalutazione frequente degli oneri di spesa e la 
              sopravvalutazione delle entrate destinate alla loro copertura, in 
              sede di previsione, ha portato al ripetersi di disavanzi annuali e 
              al cumularsi del debito pubblico, in sede di consuntivo.
 
 L’iniziale sottovalutazione delle spese e sopravvalutazione delle 
              entrate è stata quasi sempre proposta dal governo e accettata dal 
              Parlamento, ed è attribuibile sia a normali “errori di 
              previsione”, sia al prevalere di “speranze programmatiche”, sia 
              all’impiego di “malefatte procedurali” (per utilizzare una 
              tripartizione suggerita dal professor Giarda, per lungo tempo 
              sottosegretario al Tesoro). Con l’avvio dell’Unione monetaria 
              europea, il quadro di riferimento delle regole sostanziali di 
              bilancio è cambiato secondo la logica contenuta nel Trattato di 
              Maastricht e di Amsterdam. La disciplina di bilancio è richiesta 
              per confermare definitivamente la piena autonomia della politica 
              monetaria europea nel perseguire l’obiettivo assegnatole della 
              stabilità dei prezzi. Poiché si assume che la disciplina di 
              bilancio comporti più bassi tassi di interesse, ciò consente 
              livelli di investimenti e di crescita più elevati, e margini più 
              ampi per riduzioni di imposte e per aumenti delle spese diverse 
              dagli interessi.
 
 La grandezza di riferimento è perciò la più ampia possibile, ed 
              espressa in termini di standard contabili comuni ai vari paesi; 
              essa è costituita dal saldo complessivo di bilancio dell’intera 
              pubblica amministrazione, realizzato e non soltanto previsto. Con 
              riferimento a tale saldo (indebitamento netto della pubblica 
              amministrazione), il trattato considera eccessivo un disavanzo 
              superiore al 3 per cento del Pil, eccetto nel caso in cui lo si 
              sia superato di un ammontare vicino la valore di riferimento 
              (“prossimità”) e per un periodo di tempo limitato (“temporaneità”) 
              al verificarsi di un evento inconsueto o di una recessione 
              profonda comportante una riduzione del Pil di almeno il 2 per 
              cento (“eccezionalità”). Per evitare il rischio di superare il 3 
              per cento anche in corrispondenza di un semplice rallentamento 
              dell’economia o di incorrere in disavanzi persistenti ed elevati, 
              si prescrive che l’obiettivo di medio termine deve essere quello 
              di conseguire un saldo prossimo al pareggio o un avanzo. In tal 
              modo, tenuto conto della sensibilità delle voci e del saldo di 
              bilancio all’andamento del ciclo economico, si dovrebbe evitare il 
              verificarsi di un disavanzo eccessivo e l’avvio della procedura in 
              tal caso prevista. Tale procedura prevede che, su raccomandazione 
              della Commissione, il Consiglio europeo accerti l’esistenza di un 
              disavanzo pubblico eccessivo, decida di rendere pubblica la 
              raccomandazione, intimi allo Stato membro di prendere le misure 
              necessarie per riassorbirlo. Se queste sono adottate e risultano 
              efficaci, il Consiglio abroga le decisioni adottate; altrimenti, 
              il Consiglio può applicare sanzioni di diversa severità, che 
              possono consistere nell’imposizione di un deposito infruttifero 
              che può raggiungere lo 0,5 per cento del Pil, e può infine essere 
              trasformato in multa da versare alle casse dell’Unione.
 
 La necessità di rafforzare i controlli sui 
              conti pubblici
 
 In conclusione, le regole sostanziali di bilancio, di livello 
              costituzionale, attualmente in vigore in Italia, appaiono 
              notevolmente diverse come estensione, contenuto, prescrittività. 
              Da un lato, l’art. 81 della Costituzione prescrive il pareggio del 
              saldo incrementale del bilancio annuale di previsione dello Stato, 
              espresso in termini di competenza giuridica, e senza sanzioni 
              esplicite e definite nel caso di mancato rispetto delle regola; 
              dall’altro, il trattato Ue prescrive il pareggio tendenziale, e in 
              ogni caso un deficit annuale non superiore normalmente al 3 per 
              cento del prodotto interno lordo, per il saldo complessivo di 
              consuntivo delle pubbliche amministrazioni, espresso in termini di 
              competenza economica, con sanzioni in caso di mancato rispetto 
              della regola. La compresenza di queste due diverse regole 
              nell’attuale ordinamento può far insorgere tensioni istituzionali 
              profonde e prolungate quando ci si trovi in situazioni che 
              richiedano interventi tempestivi ed efficaci per tenere sotto 
              controllo l’andamento dei conti pubblici in modo da assicurare il 
              rispetto della regola di bilancio derivante dagli impegni europei. 
              I problemi che ne possono derivare sono evidenziati dalle vicende 
              del recente decreto legge 6.9.02, n. 194 (cosiddetto “blocca 
              spesa”) convertito nella legge 246 del 2002, e dei successivi 
              decreti ministeriali di attuazione.
 
 Anche se si può discutere la formulazione vaga e sovrabbondante di 
              tale normativa, e si può dubitare del suo campo di applicazione e 
              della sua piena e permanente efficacia, è certo che essa riflette 
              un’esigenza di riforma del nostro processo di bilancio che non può 
              più essere rinviata, e che si lega, per molti aspetti, 
              all’esigenza di conciliare il rispetto degli impegni Ue in materia 
              di finanza pubblica con l’accresciuta autonomia finanziaria 
              territoriale sancita a livello costituzionale (e alla quale finora 
              si è cercato di dare risposta con le svariate formulazioni del 
              Patto di stabilità interno). Si tratta ora di definire sedi 
              istituzionali appropriate, criteri di principio generali, e 
              meccanismi procedurali efficaci che consentano di risolvere 
              ordinatamente gli inevitabili conflitti che caratterizzano il 
              processo di bilancio, tenendo conto delle novità derivanti dalla 
              presenza dei vincoli derivanti dall’adesione all’Ume e 
              dall’attuazione del federalismo fiscale.
 
 A tal fine, una riforma che si riducesse a tornare a una legge 
              finanziaria “snella” servirebbe a poco, se non accompagnata da una 
              ridefinizione delle caratteristiche delle leggi di spesa, dalla 
              specificazione delle modalità di coordinamento della finanza 
              pubblica e del sistema tributario, e da un rafforzamento dei 
              meccanismi di controllo e monitoraggio dei conti pubblici, che 
              tengano conto delle novità e dei possibili conflitti derivanti per 
              il nostro processo di bilancio sia dal rispetto degli impegni 
              assunti in sede di Unione monetaria europea sia dall’attuazione 
              del federalismo fiscale.
 
 20 giugno 2003
 (da 
              Ideazione 2-2003, marzo-aprile)
 
 
 
 
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