Finanziaria e patto di stabilità, un’idea da Glasgow
di Giuseppe Pennisi

Poco più di una conversazione estemporanea con i giornalisti nel giardino prospiciente l'ufficio del Cancelliere, mentre scendeva il primo imbrunire della sera del 18 settembre. Così colloquiale e disinvolta che i corrispondenti della Rai e delle maggiori testate italiane presenti a Berlino non se ne sono quasi accorti, relegandone i contenuti tra le "brevi". Di un sol colpo, il presidente della Francia Jacques Chirac ed il cancelliere della Repubblica Federale Tedesca Gerhard Schröder hanno ribadito, di fronte a tutti, la centralità dell'asse franco-tedesco nell'Unione Europea e indicato quali saranno le linee comuni delle leggi di bilancio in fase di definizione nei due paesi. 

A nostro avviso, dei due punti, il secondo ha implicazioni immediate più importanti del primo. Dei cinque paesi di grandi dimensioni dell'Ue (Francia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito), i primi quattro hanno, per legge, calendari molto simili per la messa a punto delle loro Finanziarie: le scadenze per la presentazione ai Parlamenti sono in autunno, più o meno nelle stesse settimane. Il budget (ossia la "finanziaria" britannica), invece, viene definito in primavera, a marzo. Tre dei quattro (Francia, Germania e Italia) hanno quest'anno nodi analoghi: bassa crescita, timori di recessione, pericoli di sfondamento del tetto del patto di stabilità, in base al quale l'indebitamento delle pubbliche amministrazioni non deve superare il 3% del Pil. Tutti e tre hanno implicitamente rinunciato a quello che tre anni fa era stato solennemente posto come obiettivo del patto: l’azzeramento del disavanzo entro il 2003 o al più tardi il 2004.

Insieme, Chirac e Schröder hanno sottolineato che le loro Finanziarie avranno un obiettivo comune: rilanciare la crescita, ponendo l'accento sugli investimenti in alta tecnologia (specificamente, televisione digitale terrestre, corridoi integrati di alta velocità ferroviaria, sviluppo dei sistemi di navigazione digitale). Chirac e Schöder hanno anche fatto riferimento esplicito al piano d'azione presentato dall'Italia a Stresa per incoraggiare spese in conto capitale con ampio ricorso ai finanziamenti della Banca Europea degli Investimenti (Bei) al fine di accelerare la modernizzazione tecnologica del Continente. E' un supporto forte, ancora prima che un'indicazione. Ed i vincoli del patto di stabilità? Neanche un cenno nella conversazioni in giardino di Chirac e Schröder. 

Si fa gradualmente strada un'ipotesi intelligente, argomentata da tre giovani economisti italiani (Vito Anton Moscatelli dell’Università di Glasgow, Piergiovanna Natale dell’Università statale di Milano e Patrizio Tirelli dell’Università di Milano Bicocca) secondo cui un'alternativa "semplice e flessibile" è a portata di mano: considerare il tetto del 3% non come una barriera annuale ma come un obiettivo pluriennale da cui si possa temporaneamente deviare, pur mantenendo l'impostazione di politica a medio termine di stabilità della finanza pubblica. Nel saggio, pubblicato dall'Università di Glasgow, si dimostra come in tal modo lo stesso patto sarebbe più "credibile". Occorre andare in Scozia, patria di Adam Smith, per pubblicare saggi intrisi di buon senso. Anche se scritti da italiani. Auguriamoci che, stimolati da Chirac e Schröder, i "Tremonti boys" leggano lo studio e lo meditino.

26 settembre 2003

gi.pennisi@agora.it

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