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              “Finalmente risorse per le imprese”intervista a Gianfranco Miccichè di Angela 
              Regina Punzi
 
 A parlare è il viceministro dell’Economia, Gianfranco Miccichè. Lo 
              fa con soddisfazione per quanto è stato fatto, con trepida attesa 
              per il riscontro dei risultati ed impaziente impegno per quanto 
              c’è ancora da fare. Parla del meccanismo del nuovo Fondo unico per 
              il Mezzogiorno. Delle risorse finalmente liberate, prima 
              impantanate in leggi tortuose. Di come l’idea gli sia stata 
              all’inizio contrastata, e di come invece, grazie alla 
              realizzazione di quell’idea, sia stato possibile portare al 49 per 
              cento il tetto per l’utilizzazione dei crediti d’imposta sugli 
              investimenti per le imprese. Dei rapporti, collaborativi, col 
              ministro Marzano, delle richieste avanzate da Confindustria e che 
              si è riusciti, abbondantemente, a soddisfare. Insiste sulla 
              scommessa in infrastrutture; di come, poco per volta, si debbano 
              rosicchiare risorse agli aiuti di Stato fino a mettere le imprese 
              del Sud nelle condizioni di “poter far senza”. Della ricerca di 
              uno strumento che sia alternativo agli incentivi automatici, come 
              il credito d’imposta, e a quelli “a bando”, come la 488/92. 
              Dell’invito, e della provocazione, al sistema bancario meridionale 
              a rischiare di più, scommettendo sullo sviluppo del territorio: 
              non basta aver cambiato la proprietà, è necessario cambiare il 
              metodo di gestione. Si può e si deve puntare su una nuova Cassa 
              per il Mezzogiorno, che però preservi l’antica missione di 
              Beneduce e Menichella, quella ancora incontaminata. Il 
              preoccupante e persistente dualismo Nord-Sud non scoraggia ma è di 
              stimolo al recupero del gap infrastrutturale e produttivo.
 
 Come è nata l’idea del nuovo Fondo per il 
              Mezzogiorno?
 
 L’8 luglio dello scorso anno ci siamo trovati nel panico perché il 
              credito d’imposta in investimenti ed il bonus occupazione “stavano 
              tirando”, cioè stavano utilizzando risorse in quantità maggiori 
              rispetto a quanto era stato stanziato nelle precedenti 
              finanziarie. L’utilizzo di questo strumento, senza un adeguato 
              controllo, aveva portato ad un esubero, ad uno splafonamento del 
              tetto stabilito. Abbiamo quindi dovuto bloccare quella manovra, 
              con tutte le polemiche che ne sono conseguite pur sapendo che 
              esistevano tutta una serie di eccessi di risorse nella legge 488, 
              nei contratti di programma, nella vecchia legge 64, nella stessa 
              legge 288 per i fondi destinati alle regioni che non venivano 
              utilizzate. Siamo stati costretti a creare una situazione di 
              grande disagio e confusione pur sapendo di avere moltissime 
              risorse in un altro cassetto che però non potevamo prelevare. 
              Prima di allora avevo già discusso col ministro Tremonti la 
              possibilità di creare un Fondo unico per il Mezzogiorno ma non era 
              stata presa ancora nessuna decisione. In quella situazione di 
              disagio decidemmo di accelerare la creazione del Fondo unico.
 
 Quali tipi di vantaggi ha creato il Fondo 
              unico?
 
 Abbiamo creato la possibilità di destinare le risorse a 
              disposizione allo strumento che in un determinato momento sta 
              tirando di più. Abbiamo così costruito un unico “cassetto”, e non 
              più tanti cassetti in cui erano chiuse a chiave tutte le risorse 
              disponibili. Questo perché in passato gli stanziamenti venivamo 
              effettuati nella singola legislazione, ed erano quindi 
              stanziamenti per legge. Mettendo invece tutte le risorse in un 
              unico cassetto, quelle leggi sono diventate leggi normative e non 
              più finanziarie. Nell’ultima finanziaria abbiamo preso il totale 
              delle risorse a disposizione e le abbiamo assegnate al Fondo unico 
              per il Mezzogiorno indicando al Cipe una previsione di spesa di 
              quelle risorse nei vari fondi. Abbiamo quindi liberato tante 
              risorse che esistevano ma di cui nessuno poteva disporre perché 
              vincolate a leggi non ancora abrogate ma che, di fatto, 
              contenevano molte risorse.
 
 Come funziona il meccanismo dei vasi 
              comunicanti tra i due ministeri?
 
 Agli inizi questa legge mi fu molto contrastata, alla fine però si 
              è arrivati ad un compromesso che ha comportato la creazione di due 
              Fondi unici: uno per il ministero dell’Economia ed uno per il 
              ministero delle Attività produttive. Si disse che poiché sono 
              ministeri distinti, ci dovessero essere due tipi di fondo. Poiché 
              il ministro dell’Economia presiede il Cipe, si temeva che il 
              nostro ministero potesse prendere soldi in realtà destinati ad 
              altri. In più il Cipe è un comitato interministeriale al quale 
              partecipano tutti i ministeri, quindi pensare che qualcuno potesse 
              fare i suoi giochi davanti a tutti senza che nessuno se ne 
              accorgesse, è impossibile. Si decise comunque che nel momento in 
              cui fosse stato necessario trasferire risorse da un fondo 
              all’altro, dall’Economia alle Attività produttive o viceversa, 
              questa operazione dovesse avvenire in un Cipe presieduto dal 
              presidente del Consiglio.
 
 Lei è stato però ugualmente accusato di aver 
              “scippato” soldi al ministro Marzano…
 
 In realtà, non è stato scippato nulla, al di là di quello che 
              hanno lasciato intendere i giornali. Anzi: lo stesso Marzano è 
              stato il primo a favorire il funzionamento del Fondo unico. Così 
              il rimborso che quest’anno sarà destinato alle imprese per il 
              credito d’imposta nell’ambito della cosiddetta Visco Sud è passato 
              dal 10 per cento al 49 per cento e di conseguenza il debito che lo 
              Stato rimborserà alle imprese sarà di 1.198 milioni di euro contro 
              i 400 precedentemente previsti. La Visco Sud non prevedeva alcun 
              tipo di regole sull’utilizzo del credito d’imposta, ed infatti è 
              stata utilizzata in passato da banche, dentisti, avvocati… Era un 
              credito d’imposta “per tutti”. Noi invece abbiamo prettamente 
              finalizzato il credito d’imposta a quelle attività che riteniamo 
              utili per lo sviluppo del territorio. Inoltre la Visco Sud non 
              prevedeva alcuna temporaneizzazione, cioè non indicava quanto si 
              dovesse investire entro l’anno. Quando abbiamo chiesto a tutti 
              coloro che avevano fatto domanda di specificare quanto in effetti 
              era di pertinenza dell’anno 2002-2003, dopo 14 mila accertamenti è 
              risultato che per quest’anno i rimborsi effettivi ammontavano a 
              2445 milioni di euro. Le imprese del Sud che avevano fatto ricorso 
              al credito d’imposta prima dell’8 luglio potranno così scontare 
              già quest’anno il 49 per cento del bonus maturato. Questa cifra è 
              superiore sia a quella ipotizzata inizialmente dal governo, del 10 
              per cento, che a quella richiestaci da Confindustria, che aveva 
              fatto pressione perché si arrivasse almeno al 25 per cento. 
              Volendo accontentare Confindustria abbiamo così accelerato i tempi 
              di individuazione e di recupero delle risorse non spese nell’anno. 
              Questa accelerazione ci ha portato a scoprire una quantità di 
              risorse che, onestamente, non ci aspettavamo.
 
 Come avete fatto a coprire l’incremento di 
              risorse necessario al credito d’imposta per gli investimenti?
 
 A coprire questo incremento di risorse hanno contribuito 800 
              milioni di euro di vecchie disponibilità non spese negli anni 
              precedenti. Inoltre, il ministero delle Attività produttive, a 
              dimostrazione che non c’è stato alcuno scippo, ci ha comunicato 
              che dopo una rivisitazione delle loro previsioni, è emersa la 
              disponibilità di 310 milioni di euro provenienti dal bando 
              industria della 488. Da Sviluppo Italia abbiamo attinto altre 
              risorse che altrimenti non sarebbero sicuramente state spese 
              poiché il prestito d’onore è partito in ritardo. Abbiamo già 
              verificato che presto potrebbero liberarsi ulteriori risorse. 
              Questa è stata per me la massima soddisfazione: dimostrare in un 
              solo colpo tutti i guadagni del Fondo unico.
 
 Quali sono gli altri vantaggi che avete 
              riscontrato?
 
 Il Fondo unico ci consente di fare esperimenti. Ad esempio il 
              contratto di localizzazione ed il contratto di filiera sono due 
              nuove leggi, due esperimenti. In passato se si faceva una legge si 
              dovevano mettere a disposizione subito molte risorse. Oggi invece 
              sappiamo di avere a disposizione per ciascuno di questi due nuovi 
              strumenti cento milioni di euro. Queste risorse sono state messe 
              da parte nel Fondo unico in attesa che si parta: se i due 
              strumenti funzionano e tirano, usufruiranno di queste risorse, 
              altrimenti avremo liberi duecento milioni di euro da utilizzare 
              altrove. Questa è sinceramente una grande intuizione: finalmente 
              vengono spesi tutti i soldi stanziati per il Mezzogiorno. C’è 
              anche un altro risultato non immediatamente riscontrabile ma che 
              sono assolutamente certo si manifesterà nei prossimi mesi. Durante 
              le precedenti finanziarie si formavano inevitabilmente singoli 
              gruppi di “sponsor”, di supporto per uno strumento o per un altro, 
              gruppi di parlamentari che premevano perché si mettessero soldi 
              nella 488, piuttosto che nel prestito d’onore, o nel credito 
              d’imposta… Così facendo spesso si finiva col sottrarre risorse 
              potenzialmente destinate ad investimenti in infrastrutture. Quando 
              poi nel corso dell’anno risultava evidente che tutti gli 
              appostamenti nei vari strumenti agevolativi non venivano 
              utilizzati, erano due i danni: primo non si spendeva e secondo 
              erano state sottratte risorse agli investimenti in infrastrutture. 
              Quindi non solo non si utilizzavano i soldi stanziati ma si 
              rallentava la realizzazione di infrastrutture. In passato mai, 
              dico mai, prima di oggi gli investimenti in conto capitale nel Sud 
              hanno superato gli aiuti di Stato: nelle regioni del Mezzogiorno 
              gli aiuti di Stato sono sempre stati superiori agli investimenti 
              in infrastrutture. Noi invece abbiamo impostato una strategia 
              politica per il Mezzogiorno che si sviluppa esattamente in senso 
              opposto. È inutile continuare ad erogare aiuti di Stato perché il 
              territorio diventi competitivo: questi altro non sono che 
              compensazioni di carenze strutturali, ed anche se erogati a vita 
              saranno sempre compensazioni.
 
 Lei pensa che tra infrastrutture ed 
              incentivi, siano le prime ad attivare più intensamente il processo 
              di crescita?
 
 Senza dubbio. Se gli incentivi sono di compensazione non servono 
              alla competitività, servono solo alla sopravvivenza. Sono sì 
              assolutamente necessari per la sopravvivenza ma non si può 
              continuare ad erogarli all’infinito. L’Irlanda, ad esempio, al 
              contrario dell’Italia, è riuscita ad accelerare la sua crescita 
              perché nei primi cinque anni ha fatto solo investimenti in 
              infrastrutture, solo in seguito il governo irlandese è intervenuto 
              con aiuti di Stato. In Italia sappiamo di non poter abolire gli 
              incentivi perché così facendo il sistema crollerebbe, senza di 
              questi le imprese meridionali morirebbero. Abbiamo però deciso di 
              investire quanto più è possibile in infrastrutture così da far 
              diminuire il gap infrastrutturale che abbiamo col resto 
              dell’Italia e dell’Europa. Quando avremo un gap infrastrutturale 
              bassissimo o addirittura zero, si libereranno ulteriori risorse 
              che potranno diventare aiuti di competitività. Le aziende del 
              Mezzogiorno avranno così la possibilità di essere competitive 
              rispetto alle aziende dei paesi interessati nell’allargamento 
              dell’Unione europea. I paesi dell’Est hanno infatti oggi un enorme 
              vantaggio: avere un costo del lavoro cinque volte inferiore al 
              nostro. In un mercato comune le nostre aziende rischierebbero di 
              soccombere. Se però acceleriamo il processo di infrastrutturazione 
              del territorio, i nostri aiuti di Stato diventeranno aiuti utili a 
              farci competere con quelle nazioni che hanno un costo del lavoro 
              inferiore al nostro. Si dovrebbero abbassare i costi delle aziende 
              con un fisco differenziato nel Mezzogiorno, dando la possibilità 
              di creare un prodotto migliore, più competitivo e con 
              caratteristiche innovative, investendo in ricerca e sviluppo. 
              Questa è la strategia che stiamo portando avanti col Fondo unico.
 
 Dunque non è più nemmeno un problema di 
              risorse?
 
 Oggi non più. Oggi abbiamo un Fondo unico ricco che ci consente di 
              investire molto. Lo dimostra il fatto che nel primo anno di 
              nascita del Fondo unico abbiamo avuto un trasferimento per 
              investimenti alle regioni del 70 per cento in più rispetto 
              all’anno precedente. E questo è il risultato immediato che abbiamo 
              avuto, di cui però verificheremo il frutto maturo tra qualche anno 
              quando vedremo la Palermo-Messina finita, la Salerno-Reggio 
              Calabria completata... Abbiamo messo in piedi un meccanismo 
              virtuoso che possa sostenerci nell’appuntamento del 2004 con 
              l’ingresso dei nuovi paesi nell’Unione europea.
 
 Gli incentivi automatici, come il credito d’imposta sono da 
              preferirsi agli incentivi “a bando”, come la 488/92, oppure no?
 
 Gli imprenditori sembrano gradire soprattutto gli incentivi 
              automatici. Mi permetto di dire che secondo me sono sbagliati gli 
              uni e gli altri. Nel senso che il credito d’imposta potrebbe 
              essere positivo poiché è uno strumento che eroga più velocemente 
              gli aiuti, e di conseguenza sarebbe negativa la legge 488. È anche 
              vero, però, che è meglio sapere accuratamente ed in anticipo qual 
              è il progetto che si sta finanziando: in tal caso sarebbe negativo 
              il credito d’imposta e positiva la 488. In questo momento stiamo 
              studiando delle soluzioni alternative per individuare la 
              possibilità di compiere un’istruttoria più veloce e più garantita. 
              Se ad esempio le banche si impegnassero ad investire nel progetto 
              che istruiscono, sicuramente l’istruttoria sarebbe più accurata, 
              perché in tal modo le banche parteciperebbero al rischio 
              d’impresa. Le banche dovrebbero capire che investirebbero nella 
              crescita del Mezzogiorno anche per un loro stesso guadagno. Oggi 
              abbiamo un sistema non virtuoso, se vogliamo non sano, che va 
              sradicato. Sono d’accordo però con chi è contrario ad abolire in 
              un solo colpo la 488: il cambiamento deve essere graduale ed 
              accompagnato, ed ogni azienda deve poter decidere quando è il 
              momento giusto per sé di cambiare. Ha ragione D’Amato nel dire che 
              se da un giorno all’altro si cambia il sistema, crolla tutto. La 
              488 deve sì rimanere, ma ogni giorno deve essere utilizzata meno, 
              sostituendola man mano con strumenti che mettano le banche 
              nell’obbligo di fare istruttorie serie, che mettano le banche 
              nell’obbligo di finanziare la crescita e non le passività, che 
              creino cultura d’impresa, che creino quella virtuosità che oggi 
              non c’è. Stiamo dunque studiando un percorso “soft” di abbandono 
              graduale della 488 e di crescita graduale di un nuovo strumento 
              che crei uno sviluppo virtuoso delle regioni del Sud.
 
 Gli ultimi anni sono stati caratterizzati 
              dalla scomparsa delle grandi banche meridionali ed oggi il Sud è 
              diventato territorio per la raccolta, ma non per gli impieghi, 
              delle banche del Nord.
 
 L’attuale sistema del credito alle imprese che esiste oggi a 
              Napoli, a Bari, a Reggio Calabria, a Palermo… è il sistema creato 
              dal Banco di Napoli, dal Banco di Sicilia, dalla Cassa di 
              Risparmio della Puglia. Queste sono banche pubbliche che 
              obbligatoriamente subivano l’opinione pubblica ed erano 
              condizionate dalla politica. Spesso continuavano a finanziare 
              imprese che erano già fallite sol perché alle spalle c’era una 
              richiesta pubblica. Sono state quelle banche ad annientare la 
              cultura d’impresa al Sud, quindi non dobbiamo rimpiangere la 
              scomparsa di quei gruppi bancari meridionali. Oggi le nuove banche 
              che troviamo al Sud hanno sì una proprietà nuova, ma conservano lo 
              stesso management che c’era prima, con la stessa mentalità di 
              prima. La mia forte polemica con le banche nasce da questa 
              considerazione, e va oltre il costo del credito più elevato a Bari 
              rispetto a Milano. Quindi le banche oltre a cambiare la proprietà 
              dovrebbero cambiare anche metodo lasciando spazio a sportelli di 
              altre banche che invece abbiano già capito quanto sia importante 
              partecipare allo sviluppo del territorio. Perché altrimenti 
              rischiamo di avere banche che non solo non ci aiutano nella 
              crescita, ma non lasciano spazio a banche più moderne, più serie e 
              soprattutto più disponibili a rischiare. Si ha bisogno di rischio 
              e di scommessa. Così come lo Stato sta scommettendo e rischiando 
              sullo sviluppo del Mezzogiorno, perché non possono farlo anche le 
              banche? Avere un nuovo sistema creditizio nel Mezzogiorno 
              significa, quindi, o cambiamento nel metodo delle banche attuali, 
              o possibilità di insediamento di nuove banche, con metodi diversi 
              ed innovativi rispetto a quelli attuali. Oggi purtroppo non esiste 
              una struttura reale che sappia gestire intanto in maniera seria 
              gli incentivi.
 
 I dati riportati dalla Svimez nel suo ultimo 
              rapporto sullo stato dell’economia nel 2002, mostrano un 
              Mezzogiorno d’Italia più arretrato della Germania Est e un Nord 
              d’Italia più ricco della Germania Ovest. Come verrà affrontata la 
              questione del neodualismo italiano?
 
 La Germania dell’Ovest e la Germania dell’Est sono entrambe nel 
              cuore dell’Europa, al contrario del Sud d’Italia. Esiste quindi 
              innanzitutto un problema geografico che diventa handicap 
              geoeconomico. Chi produce a Palermo ha un aggravio di costi per 
              portare oltr’Alpe i propri prodotti mentre i tedeschi non accusano 
              questo incremento di costi per i trasporti. Inoltre Germania Est e 
              Germania Ovest sono stati due paesi autonomi fino al 1989, quindi 
              non c’era il rischio che nella Germania dell’Est venissero 
              prelevati fondi destinati poi alla Germania dell’Ovest. In Italia 
              non è stato così: mentre nel Mezzogiorno si erogavano incentivi di 
              sopravvivenza, le infrastrutture venivano costruite altrove. 
              Quindi le risorse al Sud non solo erano poche, ma venivano pure 
              tolte per le grandi opere da erigere al Nord. E le responsabilità 
              di questa situazione sono in parte geografiche ed in parte, 
              seriamente, politiche. Io credo che la ripresa del Sud sia in una 
              nuova Cassa del Mezzogiorno. Si deve recuperare la logica con cui 
              è nata la Cassa, prima che quella logica fosse abbandonata, 
              venisse cambiato il suo statuto e quindi la sua missione. La Cassa 
              per il Mezzogiorno che doveva essere la Cassa infrastrutturale per 
              il Mezzogiorno, nel giro di pochi anni diventò la Cassa che 
              erogava denaro nel Mezzogiorno.
 
 Nell’Ue a 25 Stati non si corre forse il 
              rischio di aiutare i nuovi poveri, i paesi dell’Est aderenti, 
              trascurando i vecchi poveri, quelli delle regioni in ritardo di 
              sviluppo degli attuali paesi membri?
 
 Tutti i 15 paesi dell’attuale Unione europea hanno voluto 
              l’allargamento, oggi quindi non si può non essere coerenti con 
              quella decisione. In Europa entreranno in una prima tornata altri 
              10 paesi complessivamente e decisamente più poveri dell’attuale 
              Unione europea, ma, attenzione, non sempre più poveri di singole 
              regioni dell’attuale Unione europea. Io chiedo di lavorare con 
              coerenza nell’interesse di tutta l’Europa perché si costruisca 
              un’Europa quanto più è possibile uniforme da un punto di vista 
              economico. Soltanto un’Europa uniformemente costituita può essere 
              un’Europa forte, politicamente credibile ed economicamente valida. 
              Inoltre solo in una situazione di complessiva uniformità si può 
              garantire la pace. La pace tra paesi con dislivelli economici 
              fortissimi è difficile da mantenere. Basta pensare ad un paese 
              come l’Italia, democratico per eccellenza, ma dove già il 
              dislivello Nord-Sud crea comunque tensioni, nonostante parliamo la 
              stessa lingua, abbiamo lo stesso governo, uno stesso presidente 
              della Repubblica. Insomma tutta una serie di condizioni per cui 
              oggettivamente, nonostante il dislivello economico che ancora 
              esiste tra Nord e Sud d’Italia, siamo nelle condizioni ideali 
              perché non succeda mai nulla. E nonostante questo ci sono sempre 
              forti tensioni. Immaginiamo cosa potrebbe succedere tra paesi così 
              diversi, con lingue molto diverse e con governi possibilmente 
              contrapposti politicamente. In una situazione del genere se ci 
              sono anche forti dislivelli economici, e ognuno teme che gli 
              vengano sottratte risorse, le tensioni sono amplificate. 
              L’allargamento dell’Unione europea è nato invece per garantire la 
              pace, l’uniformità, il sostegno alle aree più svantaggiate. È 
              dunque necessario garantire un flusso di risorse verso quei paesi 
              aderenti in modo tale da metterli nelle condizioni di uniformarsi 
              il più velocemente possibile alle realtà economiche dei 15 paesi 
              dell’Unione attuale. La creazione di questi nuovi aiuti non deve 
              però indebolire quelle che sono ora le parti più deboli 
              dell’Unione a 15.
 
 In che cosa la proposta italiana di riforma 
              della politica regionale europea, presentata nel Secondo 
              Memorandum del 14 dicembre 2002, si differenzia rispetto alla 
              proposta del governo inglese?
 
 La proposta inglese è di dare soldi a quelle nazioni che sono 
              complessivamente povere. La nuova Europa non può più continuare a 
              dare tanti soldi per un figlio handicappato a famiglie 
              miliardarie, si pensare alle famiglie complessivamente 
              svantaggiate. Secondo il governo inglese quindi non si possono più 
              dare risorse allo Stato italiano che ha complessivamente un Pil 
              pro capite superiore alla media europea solo perché ha delle aree 
              in ritardo di sviluppo. Questo problema dovrebbe essere risolto 
              all’interno dello Stato italiano. Questo se vogliamo è il lato 
              positivo della proposta inglese. In realtà questa posizione 
              nasconde un interesse personale, interno al governo britannico: la 
              Gran Bretagna è un paese che comunque perderebbe gli aiuti 
              europei. Non aiutando però neanche Germania ed Italia, suoi paesi 
              concorrenti, ci sarebbe perdita di competitività da parte delle 
              imprese italiane e tedesche, ed un rafforzamento della posizione 
              delle imprese inglesi sul mercato comune. La posizione italiana 
              invece parte dal presupposto che non si può pensare di aiutare i 
              nuovi Stati aderenti abbandonando le attuali aree svantaggiate. 
              Inoltre, se l’Europa riuscisse a garantire la crescita del 
              Mezzogiorno con i soldi italiani, e non europei, le regioni del 
              Sud potrebbero essere ugualmente soddisfatte, ma con conseguenze 
              negative: l’Europa obbligando la Lombardia a finanziare le regioni 
              del Sud metterebbe in conflitto regioni interne allo Stato 
              italiano perché limiterebbe la crescita della Lombardia e quindi 
              la sua competitività sul mercato europeo. Si costringerebbero le 
              regioni che creano ricchezza a privarsi di questa ricchezza per 
              darla alle regioni povere. L’Italia è pertanto contraria ad una 
              rinazionalizzazione dei fondi strutturali. L’Italia si presenta in 
              Europa con un documento fortissimo che espone la proposta del 
              nostro governo di riforma della politica regionale europea. Tutte 
              le parti politiche e sociali hanno votato all’unanimità questo 
              documento che ribadisce l’importanza delle politiche di coesione 
              regionale, ed in Europa è stato accolto con soddisfazione. Anche 
              di questo siamo orgogliosi.
 
 5 novembre 2003
 
 (da
              Ideazione 5-2003, settembre-ottobre)
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