| 
              La via euromediterranea allo sviluppodi Guido Viceconte
 
 Il primo maggio 2004 segnerà una data epocale per l’Unione 
              europea. Ormai, fra meno di un anno, avremo un’Europa ampliata a 
              venticinque paesi, con una popolazione di oltre 450 milioni di 
              abitanti nel suo complesso e un Pil annuo di quasi diecimila 
              miliardi di euro. La rilevanza politica e geo-economica dell’Ue 
              diverrà davvero unica e straordinaria. In termini di principio, 
              l’allargamento è diretto a promuovere la crescita e l’occupazione 
              nell’Ue in base a valori comuni e ad un comune rispetto per le 
              libertà fondamentali. Le persone, i capitali, le merci e i servizi 
              potranno circolare giuridicamente e finanziariamente in modo 
              nuovo. Oltre le frontiere europee, poi, le relazioni e i legami 
              che l’Ue costituirà e intesserà con gli altri interlocutori 
              internazionali potranno avere una portata diversa e ben più 
              incisiva di quella attuale. L’affermazione dell’euro, come moneta 
              internazionale di assoluto pregio e rilievo, è circostanza che 
              produce da sé scenari evolutivi estremamente importanti per 
              l’intensificazione delle relazioni economiche: i nuovi paesi 
              dell’Unione e i nuovi vicini saranno infatti sempre più 
              interessati a promuovere gli scambi e i flussi di investimenti 
              transnazionali, per incrementare la produzione, la crescita 
              economica e il commercio estero. Per creare quindi una zona più 
              vasta caratterizzata dalla stabilità politica e da un processo di 
              democrazia sempre più compiuto. In questo nuovo scenario 
              geo-economico, per un’effettiva integrazione nei mercati e nella 
              società dell’Ue, occorrono, però, infrastrutture e reti 
              compatibili e collegate, oltre a sistemi giuridici ravvicinati e 
              armonizzati.
 
 Infatti, al di là delle petizioni di principio che rimangono 
              condivise, seppur solo per definizione, e delle semantiche di 
              valori ormai superate dalla storia e dalle logiche della 
              simultaneità, non esistono economie competitive senza reti di 
              trasporto e reti di energia che siano evolute, integrate e sicure.
 Ora, affinché il nuovo mercato interno diventi effettivamente una 
              realtà e non resti una semplice giustapposizione di mercati 
              nazionali, sarà necessario contare su una rete di infrastrutture 
              realmente interoperabile, ad alte prestazioni, in grado di 
              rispondere alla nuova e più intensa domanda di mobilità generata 
              dal crescente numero di interscambi prodotto dall’Ue. Lo sviluppo, 
              le risorse, le persone, i servizi, le merci, la conoscenza 
              viaggiano, infatti, sulle reti. D’altra parte, sin dal 1993, vale 
              a dire da Maastricht, la politica delle reti risulta tra le 
              competenze comunitarie, per consentire all’Europa di beneficiare 
              in maniera piena dell’abbattimento delle frontiere. Questa 
              problematica si ripresenta ora in termini ancora più complessi e 
              quindi con la necessità di una ridescrizione delle politiche 
              generali e di una consequenziale riformulazione degli strumenti e 
              delle modalità operative di intervento.
 
 el 2001, la Commissione europea, nel Libro Bianco sulla politica 
              dei trasporti sino al 2010, sottotitolato non casualmente il tempo 
              delle decisioni, aveva già correttamente evidenziato 
              l’inadeguatezza tra gli obiettivi dichiarati e le risorse 
              finanziarie disponibili a favore della Comunità per la 
              realizzazione della ten, cioè della rete delle infrastrutture 
              transeuropee. Per cui si è verificata l’ipotesi paradossale, ma 
              non infrequente in una pianificazione di tipo tradizionale, di 
              un’attribuzione di responsabilità politica e istituzionale alla 
              Comunità (compiuta in seno al trattato di Maastricht) priva, però, 
              di una sufficiente dotazione di fondi finanziari pubblici per la 
              realizzazione dello scopo e nonostante l’aumento della domanda di 
              trasporto. Si pensi, in questo senso, che solo tre dei quattordici 
              progetti prioritari stabiliti dal piano Delors (in particolare, 
              l’aeroporto di Malpensa, il ponte Copenhagen-Malmoe, la ferrovia 
              Dublino-Cork) sono stati ad oggi completati. Al presente, 
              peraltro, sono davvero scarse le possibilità di aumento 
              significativo dei fondi pubblici destinati ai progetti
              infrastrutturali.
 
 E' frequente, poi, una particolare dislocazione di risorse 
              pubbliche da parte degli Stati membri e delle regioni, quali 
              principali autorità di gestione dei programmi operativi, verso 
              priorità diverse, che si traducono spesso in aiuti o sostegni o 
              incentivi di tipo puramente compensativo. Si pensi, in questo 
              senso, che gli Stati membri, negli anni Ottanta, investivano in 
              media l’1,5 del Pil per realizzare infrastrutture di trasporto, 
              mentre allo stato la quota di investimenti è mediamente pari all’1 
              per cento. Questa piattaforma di interventi, però, non risolve i 
              problemi quotidiani, a volte drammatici, dei cittadini e delle 
              imprese dell’Ue e in particolare delle aree sottoutilizzate, che 
              subiscono le difficoltà di un marcato squilibrio modale e 
              dell’insufficienza della rete infrastrutturale di fronte 
              all’evoluzione quantitativa della domanda di mobilità e della 
              logistica. Ovviamente, l’allargamento dell’Unione ormai prossimo 
              venturo sarà fattore automatico di aumento della complessità del 
              problema e quindi del gap infrastrutturale tra paesi avanzati e 
              territori di nuovo ingresso, davvero ad alto deficit di capacità 
              trasportistica. Per questo, la questione del finanziamento delle 
              reti diventa la sfida principale della nuova Europa, in un 
              contesto di prossimità verso l’Asia e verso l’intero bacino del 
              Mediterraneo, coinvolgendo in questa prospettiva i paesi del 
              Maghreb e del Mashrek.
 
 Secondo i dati offerti dalla Commissione, infatti, il costo 
              stimato della sola rete transeuropea di trasporto sfiora 350 
              miliardi di euro per i progetti da realizzare entro il 2010, ai 
              quali occorre aggiungere più di 100 miliardi di euro per quelli 
              relativi ai nuovi Stati membri. Tuttavia, questo è il tempo delle 
              decisioni: le istituzioni europee non possono rifugiarsi in 
              prospettive di unificazione formale, di tipo esclusivamente 
              normativo o procedurale, senza pensare alle modalità operative del 
              finanziamento dei meccanismi reali di unificazione tra territori. 
              Una visione così miope porterebbe alla paradossale ripetizione, su 
              scala sovranazionale, del mantenimento del divario tra aree forti 
              e aree deboli, purtroppo ben noto per il nostro Mezzogiorno. 
              L’integrazione europea ha anche i suoi costi: le istituzioni 
              devono farsi carico del problema e affrontare le questioni 
              attraverso un’ipotesi di rimodulazione delle risorse finanziarie 
              in un nuovo specifico contesto di fondo strutturale (già deciso a 
              Berlino) e mediante formule nuove, con strumenti che garantiscano 
              capacità di incidenza maggiormente efficienti per realizzare gli 
              investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno, nel Mediterraneo, 
              nei nuovi paesi dell’Ue.
 
 Le analisi economico-finanziarie 
              comunitarie indicano che il ricorso a partnership pubblico-private 
              come complemento al finanziamento pubblico risulta frenato dalle 
              incognite sui progetti da realizzare, specie in ordine alle reti 
              ferroviarie e transfrontaliere e dalle molteplici tipologie delle 
              politiche pubbliche di trasporto. Il settore, privato, di 
              conseguenza, non ripone sufficiente fiducia per un finanziamento 
              totale dei due progetti, data peraltro la frammentazione delle 
              competenze tra enti responsabili e l’assoluta incertezza nella 
              tempistica di attuazione dell’intervento che, in queste 
              circostanze, risulta di particolari dimensioni tecniche ed 
              economico-finanziarie. E allora, cosa fare?
 
 Con grande lungimiranza, il governo italiano, tramite il ministro 
              Tremonti, ha lanciato il piano denominato “Azione europea per la 
              Crescita”, proprio in sede di avvio del semestre italiano di 
              presidenza. Secondo tale programma, posto che non ci può essere 
              stabilità senza crescita, si imposta l’evoluzione del sistema 
              economico europeo secondo la matrice rappresentata dall’alta 
              priorità di investimento nel settore delle infrastrutture e dei 
              trasporti. Il piano Tremonti poggia essenzialmente sullo sviluppo 
              di uno strumento economico-finanziario europeo basato sulla 
              capacità di investimento e sul know how della Banca europea per 
              gli Investimenti (Bei), in grado di aumentare la capacità di leva 
              sul mercato nella prestazione di garanzie istituzionali per i 
              progetti a partecipazione pubblico-privata, di costituire altresì 
              compartecipazioni in fondi di investimento infrastrutturale e di 
              assistere imprese e istituzioni in operazioni di project 
              financing. Attraverso questo sistema, si passerebbe dalla logica 
              della sovvenzione diretta (sostanzialmente una donazione) a quella 
              del prestito a tasso agevolato da parte di una banca 
              transnazionale. Mediante tale opzione, si otterebbero almeno due 
              positive conseguenze: la condensazione delle risorse attorno alle 
              priorità, evitando la dispersione delle iniziative di sostegno ai 
              piccoli progetti; l’attribuzione delle provvidenze a interventi 
              “bancabili” in quanto tecnicamente credibili e quindi assicurati 
              anche dal punto di vista istituzionale, attraverso la 
              mutualizzazione del rischio tra i paesi partner. In questa 
              prospettiva va poi inquadrata la missione di Bei.
 
 In questo 
              particolare momento congiunturale, come enunciato recentemente dal 
              presidente dell’Istituto, Philippe Maystadt, Bei assume 
              l’obiettivo prioritario di offrire il massimo sostegno a 
              finanziare le reti transeuropee in maniera rilevante quanto 
              innovativa, sviluppando l’attività del Femip, cioè del Fondo 
              euro-mediterraneo d’investimento e partenariato. L’istituzione di 
              un intermediario bancario per il Mediterraneo, affiliato alla Bei, 
              a fronte della crescita degli investimenti, può costituire un 
              volano di sviluppo per l’intera Ue, a condizione che questo 
              sportello sia collocato, anche fisicamente, in un contesto 
              strategico aperto, anche dal punto di vista geo-economico, 
              all’Oriente e al Mediterraneo.
 
              Per questo, al di là delle logiche di territorialità, tra le 
              regioni del Sud la Puglia può assumere responsabilità importanti 
              in ordine a tale questione, e accreditarsi quale candidato ideale 
              e autorevole ad ospitare sul proprio territorio lo sportello Femip 
              della Bei. La Puglia è infatti naturale crocevia di cultura 
              orientale e occidentale. Il sistema politico e istituzionale, il 
              sistema della ricerca e delle imprese, il sistema della sanità e 
              dell’istruzione della Puglia sono, infatti, da tempo fortemente 
              proiettati in una dimensione euro-mediterranea. I nuovi territori 
              dell’Unione e i paesi vicini del Maghreb e del Mashrek, ormai veri 
              e propri partner mediterranei, sono tradizionalmente aperti alla 
              Puglia, vero avamposto dell’Italia e dell’Occidente, per divenire 
              un’immensa riserva di sviluppo per il Mezzogiorno. Non avrebbe 
              alcun senso disattendere le aspettative di imprese che hanno in 
              animo di investire nel bacino euro-mediterraneo, dislocando 
              lontano dalla Puglia l’interlocutore creditizio, da sempre 
              fondamentale per ogni investimento. In questa prospettiva, ci attendono mesi di serio e coraggioso 
              impegno, per contribuire in maniera decisiva a creare le 
              condizioni per la costituzione di un ambiente europeo e 
              mediterraneo sempre più in grado di attrarre iniziative positive e 
              per decidere l’istituzione di strumenti e azioni che consentano 
              realmente all’intera Ue di divenire sempre più libera e sempre più 
              forte.
 5 novembre 2003
 
 (da
              Ideazione 5-2003, settembre-ottobre)
 
 |