I bond district per superare le carenze di credito
di Paolo Passaro
Nell’ultimo convegno promosso da Ideazione nella città di Bari sono scaturite interessanti analisi e sono state avanzate delle idee che meritano di essere approfondite. Lo scenario non è esaltante: l’economia del Sud è compressa dalla concorrenza molto strutturata dei paesi dell’Unione ad economia avanzata, più competitivi dal punto di vista della tecnologia e della ricerca, e soffre la pressione dei paesi in via di sviluppo che possono contare su costi della manodopera anche 10 o 15 volte più bassi. Per altro non è consolante la riflessione che i problemi di competitività siano comuni anche all’Italia del Centro–Nord. E’ evidente che tutto il sistema-paese soffre di mancata lungimiranza della classe dirigente che si è cullata per decenni nell’idea che il sistema della piccole e medie imprese italiane riuscisse a cavarsela brillantemente grazie all’inventiva, all’intelligenza, alla creatività e,
si può aggiungere, al duro lavoro dei suoi protagonisti.
L’avvento dell’euro ha determinato una volta per tutte il venir meno della scorciatoia delle svalutazioni competitive della lira, sempre utilizzate per rianimare le imprese italiane in difficoltà sui mercati esteri, ed ha messo impietosamente a nudo venti anni di carenze stratificate e necrotizzate. Pubblica amministrazione vorace ma assolutamente inadeguata a svolgere un ruolo, non oserei dire propulsivo, ma che almeno non sia di ostacolo; infrastrutture da terzo o quarto mondo (strade dissestate, mancanza di acqua, difficoltà per gli allacciamenti elettrici e telefonici), capitale sociale insufficiente; capitale umano scolarizzato ma inadeguato a reggere il confronto con una concorrenza globale agguerrita, in ragione del totale scollamento tra formazione e imprese; un sistema creditizio obsoleto e poco propenso (anzi per nulla) al rischio, e finalizzato solo alla raccolta del risparmio che viene puntualmente investito, per larga parte, in altre regioni del paese, se non addirittura in titoli di Stato.
Come uscire dalla spirale perversa di carenza di capitale, scarsa formazione delle maestranze, pubblica amministrazione inefficiente, concorrenza estera selvaggia basata sul fattore lavoro? Bisogna ripartire dal nucleo di ricchezza imprenditoriale che esiste nel Mezzogiorno; per esempio in Puglia nel distretto del salotto. Il distretto del salotto pugliese sorto in pochi anni grazie ad un modello imitativo che ha visto la gemmazione di numerose imprese a seguito di spin-off dell’azienda leader, le Industrie Natuzzi, (leader mondiale nella produzione di salotti in pelle) conta oggi su di un tessuto produttivo radicato e coeso. Il sistema della subfornitura permette una grandissima flessibilità sia alle imprese che vendono il prodotto finale (il divano in pelle) sia alle aziende sub fornitrici che si sono specializzate in apposite nicchie: il telaio di legno, l’imbottitura, le molle, i supporti, ecc. Ci sono una decina di imprese di riferimento che agiscono sul mercato del distretto procedendo ad una virtuale “asta competitiva” giornaliera tra i sub fornitori che sono diverse decine per ogni fase del processo produttivo. Ciò permette alle aziende venditrici di essere competitive anche in presenza di domanda in fase di stagnazione e della concorrenza di produttori con basso costo di manodopera. A loro volta i sub fornitori diversificano il rischio, non essendo legati ad un solo produttore, e mantengono ampi margini di competitività grazie all’innovazione tecnologica di processo e ad una manodopera tutto sommato poco costosa e molto capace.
Una delle maggiori difficoltà delle imprese (a parte l’inefficienza della pubblica amministrazione per i permessi, le concessioni, la carenza di infrastrutture) è legata alla difficoltà di accesso al credito. Oltre alla recriminazione, più che appropriata, sul fatto che la mancanza di un gruppo bancario importante di riferimento, a capitale interamente meridionale, influenza la scarsità di accesso al credito, si possono ipotizzare delle soluzioni innovative in grado di determinare il salto di qualità. Una di queste è il cosiddetto “bond discrict”. Si tratta di una cartolarizzazione dei crediti vantati dalle banche nei confronti delle imprese del distretto. Vediamo come funziona. Le banche, spesso mediante consorzi fidi, fanno una disamina dei crediti in portafoglio valutati sulla base di modelli standardizzati di analisi del rischio e di rating interni. I crediti considerati migliori vengono ceduti pro-soluto ad una società specializzata denominata “società veicolo”. La società prende in carico i crediti e il suo portafoglio viene valutato da agenzie internazionali di rating. A fronte della valutazione (AAA, AA+, ecc.) viene emesso un bond (un’obbligazione) che viene collocata sui mercati internazionali nella duplice veste di bond senior (per gli investitori istituzionali) e bond junior (per i privati). Con il ricavato dell’emissione la società veicolo paga la banca che, a sua volta, può assicurare alle imprese finanziamenti fino a 60 mesi ad un tasso molto conveniente.
L’operazione è molto appetibile per la banca, che azzera il suo rischio in quella porzione di portafoglio, e per le imprese che consolidano l’indebitamento a breve trasformandolo in medio-lungo termine. Qualora vi sia l’auspicata ripresa dei mercati le aziende possono accumulare risorse, grazie al benefico effetto sul cash flow, per dedicarsi ad investimenti migliorativi dei macchinari, dei processi, di formazione delle persone impiegate, ecc. Perché l’operazione riesca vi deve essere un tessuto produttivo omogeneo e coeso e la partecipazione di uno o più consorzi fidi che possano garantire le banche, invogliandole ad uscire dai soliti schemi, ormai desueti. Un’operazione del genere è stata fatta nel Nord-Est dove, con la garanzia del consorzio Neafidi, sono stati superati 250 milioni di euro di cartolarizzazione. Il tessuto produttivo del Nord–Est dell’Italia assomiglia molto a quello del Sud, in particolare della Puglia. Perché non replicare il modello? Sarebbe ora che suonasse la sveglia per banchieri, imprenditori, istituzioni e classe politica. La concorrenza non aspetta.
19 novembre 2003
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