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              “La ripresa Usa dipenderà da Europa e 
				Giappone”intervista a Michele Bagella di Angela 
				Regina Punzi
 
 “Nonostante gli ultimi indicatori macroeconomici Usa siano senza 
				dubbio positivi, ancora è presto per brindare alla fine della 
				stagnazione”. A frenare l’entusiasmo sulla ripresa dell’economia 
				Usa è Michele Bagella, professore di economia monetaria 
				all’Università Tor Vergata di Roma. “Forse, prima di vendere la 
				pelle dell’orso – continua Bagella - sarebbe più prudente 
				lasciare ai mercati l’ultima parola, visto che questo animale lo 
				conoscono bene. Inoltre, sarà importante captare i segnali che 
				vengono dal resto del mondo: Europa, Giappone e Asia, ma anche 
				Africa ed America Latina”.
 
 A quali segnali si riferisce?
 
 Alla decisione assunta dalla Fed nella sua ultima riunione di 
				non muovere i tassi verso l’alto. L’impressione è che questa 
				decisione sia stata presa in attesa di vedere come evolverà non 
				solo il ciclo americano, ma anche quello internazionale. Quando 
				il quadro complessivo dell’economia mondiale si muoverà verso 
				una ripresa stabile e continuativa, è probabile che il tasso 
				base venga aumentato. Ciò servirà ad arginare l’aumento di 
				domanda che sarebbe così generata non più e non solo dalla 
				domanda interna Usa, ma anche dalla ripresa della domanda 
				mondiale. Se tale scenario troverà conferma nei dati, è 
				probabile che tra la fine del 2003 e l’inizio del 2004, la Fed 
				proceda a piccoli passi, come è nel suo stile, ritoccando al 
				rialzo di uno 0,25 per cento detto tasso.
 
 Quale è stata la reazione dei mercati ai 
				risultati della crescita economica Usa?
 
 I dati sull’aumento dell’occupazione negli Usa fanno seguito ai 
				dati sull’aumento della produttività di quest’ultimo trimestre 
				del 2003. Trattandosi di buone notizie non c’è che da prenderne 
				atto con soddisfazione. Tuttavia, nonostante l’ottimismo che 
				esse alimentano, Nasdaq e Nyse hanno reagito in modo molto 
				pacato. Probabilmente la crescita della domanda di lavoro era 
				stata già scontata dagli operatori e segnalata dall’aumento 
				degli indici dell’ultima settimana. Resta il fatto però che 
				l’annuncio della caduta del tasso di disoccupazione avrebbe 
				dovuto produrre un po’ più di euforia,e se ciò non è accaduto, 
				c’è da ritenere che vi sia qualche buona ragione. La Fed, nella 
				sua ultima riunione, non ha ritoccato i tassi verso l’alto, a 
				significare che la ripresa in atto, pur se eccezionale (+8% 
				l’aumento del Pil secondo le ultime rilevazioni) e foriera di 
				una tendenza per il 2004 molto positiva, non pare alimentare per 
				il momento né focolai inflazionistici né un aumento di domanda 
				di credito tale da richiedere un intervento correttivo.
 
 Quindi la Fed è ancora prudente sulla 
				ripresa dell’economia americana?
 
 Il mantenimento dei tassi a poco più dell’1 per cento sta ad 
				indicare che ancora prevale nel board e in Greenspan la 
				convinzione contraria e cioè che il pericolo di una uscita lenta 
				dalla fase di bassa crescita non sia ancora del tutto 
				scongiurato. Del resto il basso valore del dollaro a sua volta 
				indica che l’afflusso di investimenti esteri sui mercati 
				statunitensi è ancora debole, e comunque non è tale da invertire 
				la tendenza e fargli riprendere quota rispetto alle altre valute 
				internazionali come l’euro. Né i segnali che vengono dalla Banca 
				di Inghilterra che ha aumentato di 0,25 punti il tasso base, 
				hanno trovato per il momento imitatori nelle Banche centrali 
				europea e giapponese.
 
 Professore, come spiega allora la 
				decisione della Banca centrale europea e giapponese di non 
				modificare i rispettivi tassi?
 
 La Bce di fronte ad una economia continentale che sta 
				attraversando una fase particolarmente bassa del ciclo, non 
				sembra intenzionata, almeno per ora, a mutare la sua politica 
				sul costo del denaro (ed è bene che non lo faccia) che è 
				comunque superiore dell’1 per cento a quello americano. 
				Altrettanto si può dire della Banca del Giappone che non pare 
				orientata ad aumentare i tassi al di sopra dello 0 per cento, 
				nonostante la ripresa dell’economia giapponese dopo un lungo 
				periodo di recessione sia incoraggiante. Solo fra sei mesi, con 
				la fine del primo trimestre 2004, se i dati sulla crescita del 
				Pil e dell’occupazione indicheranno che Europa e Giappone stanno 
				uscendo dalla loro fase di stallo, ci si potranno attendere 
				cambiamenti di rotta.
 
 Possiamo sperare che Europa e Giappone 
				siano finalmente prossimi alla ripresa economica?
 
 Se in Europa alcune riforme strutturali come quelle del mercato 
				del lavoro, del fisco e della previdenza fossero avviate subito 
				e concretamente, la sua economia sarebbe spinta verso una nuova 
				fase di crescita. L’introduzione di maggiore flessibilità nei 
				contratti di lavoro e il maggiore controllo dei deficit di 
				bilancio da parte dei governi unito a un minore carico fiscale 
				cambierebbero le aspettative di imprese e consumatori in senso 
				positivo e si assisterebbe ad una ripresa di fiducia, che 
				ridarebbe tono alla domanda aggregata. Sarebbe l’inizio della 
				risalita che i paesi europei riuniti a Lisbona nel 2000 
				auspicavano almeno al 3 per cento. Per ora le previsioni del Fmi 
				indicano tassi medi di crescita per il 2004 nel migliore dei 
				casi del 2,6 per cento, mentre la crescita americana è attesa ad 
				oltre il 4 per cento. Un segnale di inversione di questa 
				tendenza – auspicata da tutti ma per ora solo virtuale - sarebbe 
				una crescita europea superiore alle attese. Se ciò accadesse, la 
				distanza con la crescita americana tenderebbe a ridursi, e 
				l’economia europea si muoverebbe su un sentiero di più marcata 
				convergenza. Analoghe considerazioni valgono per l’economia 
				giapponese e degli altri paesi del Pacifico. Se la ripresa si 
				dimostrerà robusta, non mancheranno di farsi sentire gli effetti 
				sui tassi e sullo jen. Tuttavia almeno per il Giappone il Fondo 
				prevede ancora per il prossimo anno una crescita molto contenuta 
				(1,7 per cento) e al di sotto di quella del 2003.
 
 Quali sono invece le prospettive di 
				crescita per gli altri paesi?
 
 Le altre aree del mondo secondo il Fmi dovrebbero avere 
				performance migliori di quelle che hanno avuto nel 2003. La 
				Cepal, la Commissione delle Nazioni Unite per l’America Latina, 
				nell’ultimo Rapporto di quest’anno per la verità segnala una 
				caduta del commercio estero dell’area, mentre secondo il Fmi nel 
				2004 si dovrebbero avvertire i primi effetti delle politiche di 
				stabilizzazione adottate nei paesi più grandi, Argentina e 
				Brasile, e il Pil dovrebbe crescere al 3,6 per cento. Anche 
				l’Africa dovrebbe riprendere a crescere nel 2004 al 4,8%, 
				soprattutto in virtù dell’aumento delle ragioni di scambio delle 
				commodities. Pur se queste previsioni sono positive, è difficile 
				immaginare che esse da sole siano sufficienti a far cambiare il 
				barometro dell’economia mondiale. Perché ciò accada, bisognerà 
				attendere i segnali che verranno da Europa, Giappone e paesi 
				collegati. Per il Giappone si tratterà di vedere l’effetto del 
				previsto rallentamento dell’economia cinese, per l’Eurozone si 
				tratterà di vedere oltre alle difficoltà strutturali già 
				indicate, quali saranno gli strascichi del mancato rispetto da 
				parte francese e tedesca della regola del 3% del deficit 
				rispetto al Pil prevista dal Patto di Stabilità.
 
 5 dicembre 2003
 
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