Internet, apocalittici o integrati?
di Riccardo Paradisi
Il modo di pensare, di agire e di essere degli uomini, che il suo
vento e la sua esponenziale diffusione determineranno un’autentica
mutazione antropologica. L’economia, non strutturandosi più
attorno alla produzione industriale ma a quella dell’informazione,
diventerà immateriale e anche le relazioni sociali stanno per
essere significativamente modificate da possibilità di
comunicazione inedite, come le web-cam, le chat line, le e-mail, e
i forum telematici, i quali potrebbero modificare da qui a poco
anche una concezione rappresentativa della politica. Nascono
comunità virtuali, si sta passando dall’epoca degli stati e delle
nazioni all’epoca dei continenti e delle reti. Un mutamento di
questo genere, come ha scritto recentemente Alain de Benoist “è
comparabile per importanza alla rivoluzione neolitica e alla
rivoluzione industriale”. Certamente “questo mutamento rende
obsolete molte riflessioni e strategie del passato, e impone di
modificare sia gli obiettivi che il loro modello generale”. Un
mutamento comunque così radicale da suscitare reazioni
intellettuali anche estreme. Paul Virilio, l’apocalittico
urbanista parigino autore del “La bomba informatica” (Cortina
editore), associa Internet alla bomba atomica, all’ultimo atto
cioè di una guerra totale che le sètte dell’ideologia globalitaria
hanno dichiarato all’umanità.
Internet è la soluzione finale contro i tempi, i ritmi e i modi
dell’umano. Risucchia nella rete le psicologie, le costringe ad
abitare un mondo irreale, facendo loro credere, attraverso
un’ipnosi potente, che quella sia la vera realtà, mentre
paradossalmente coloro che sono fuori dalla rete, che vivono la
vita reale, il tempo reale, il ritmo reale, saranno considerati
come degli alienati, come gente che il destino ha scelto di
escludere dal mondo nuovo. Film come “Matrix” o “Il tredicesimo
piano” rendono bene l’idea che Virilio si è fatto su Internet e
sulla rivoluzione informatica in particolare. Una rivoluzione
contro l’umano, un colpo da maestro di un demiurgo cattivo che,
con una sola rete, ha preso la quasi totalità dei pesci. Le luci
del giorno e della notte, i ritmi delle stagioni, il contatto dei
corpi che si amano, tutto verrà sostituito da una grande parodia,
la de-realizzazione del mondo è in corso d’opera. L’apocalisse è
cominciata.
Ma Internet è davvero solo l’architettura di un mondo virtuale? E
il virtuale può essere ridotto ad un semplice simulazione
dell’universo fisico? Pierre Lévy nel suo “L’intelligenza
collettiva”(Feltrinelli), ripubblicato e ampliato sempre
recentemente da Feltrinelli col titolo “Cybercultura”, non solo
nega che Internet vada a sostituire il mondo reale, che la rete
sia una minaccia per l’umanità, che l’accelerazione telematica
mutilerà le persone dell’immaginazione e del pensiero ma,
addirittura, arriva a sostenere che il cyberspazio rappresenta il
potenziale inveramento dell’antico sogno dell’umanità, ossia il
superamento del tempo e dello spazio, condizione a cui tendono da
sempre gli sforzi tecnologici dell’occidente e quelli meditativi
dell’oriente. Nella mente di Lévy, collettivi umani reali e
tangibili possono con la rete “costruire insieme un cielo, dei
cieli, che traggano la propria luce esclusivamente dai pensieri e
dalle creazioni di quaggiù. Ciò che fu teologico diventa
tecnologico”.
La luce dei mondi virtuali per Lévy, al contrario di quanto
sostiene Virilio “rischiara e arricchisce le intelligenze umane”.
Proprio come gli angeli che mettono in comunicazione
l’intelligenza umana con altre dimensioni più sottili, così la
rete apre agli uomini universi possibili ai quali non avrebbero
altrimenti accesso, li informa di altre intelligenze “offrendo
loro nuove possibilità di comprensione e nuovi poteri di
immaginazione”. Insomma, dalle intelligenze concrete e dalle
connessioni di individui e gruppi emergerebbe un mondo virtuale
che finisce con l’esprimere un’intelligenza e un’immaginazione
collettive. A sua volta il virtuale, divenuto intelletto agente,
restituisce in un circolo virtuoso tutto quello che ha ricevuto,
moltiplicando le potenzialità umane.
Quella di Lévy, se non proprio un paradosso, è quanto meno una
metafora. Nel senso che se la struttura dei mondi descritti dalla
filosofia teologica e quelli della dinamica dei rapporti virtuali
nella rete si assomigliano molto, pure tra le due dimensioni
esiste una differenza di qualità che lo studioso francese non
avrebbe fatto male a ribadire. Se infatti Internet può non essere
lo strumento del diavolo, come dice esplicitamente Paul Virlio,
esso sicuramente non è il cielo dove si incontrano gli angeli.
19 ottobre 2001
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