| Zelig 2. Ale e Franz, il gatto e la volpe 
              del “noir” di Myriam D’Ambrosio
 
 “Non sappiamo vederci singolarmente, solo insieme possiamo 
              raggiungere determinati obiettivi”. E’ questo il “credo” comune di 
              Ale e Franz, al secolo Alessandro Besentini e Francesco Villa, il 
              duo comico che, dopo qualche anno di gavetta necessaria per 
              gettare solide fondamenta, raccoglie ampi consensi allo Zelig, 
              tempio del cabaret milanese. “Le nostre gag nascono in modo molto 
              naturale - racconta Franz - da una frase che ci fa ridere 
              ascoltata per strada, da un commento, una situazione, un 
              personaggio curioso”. “Del nostro repertorio non buttiamo via 
              niente - aggiunge Ale - nel tempo abbiamo eliminato solo le 
              battute che non ci appartenevano più. L’attore di cabaret non è 
              solo un interprete dello scritto altrui, è come un cantautore, 
              compone i suoi testi e li recita, almeno finché sente di doverli 
              proporre”.
 
 Sodalizio profondo e sinergia totale tra Franz e Ale, due uomini e 
              un pensiero, fratelli siamesi nell’anima. Tutto cominciò nel 1992, 
              al CTA, il Centro Teatro Attivo di Milano, quando Alessandro e 
              Francesco decisero di frequentare corsi e laboratori di formazione 
              professionale scoprendo le loro potenzialità. Nessuno dei due 
              pensava veramente di dedicare allo spettacolo il resto della vita, 
              ma provarono senza farsi troppe illusioni. Determinante fu 
              l’incontro con Paola Galassi, insegnante del CTA. E’ con lei che 
              Ale e Franz crearono nel 1995 lo spettacolo “Dalla A alla Z” che 
              aprì loro le porte dello Zelig. Ma i primi passi, ci tengono a 
              ricordarlo, i due giovani cabarettisti li fecero al Caffè Teatro 
              di Verghera. “Abbiamo iniziato lì, come Aldo, Giovanni e Giacomo - 
              racconta Franz - Poi siamo stati fortunati a trovare subito i 
              passaggi giusti. Per gli attori che vogliono lavorare nel cabaret 
              ci sono buone possibilità. Spesso, però, i più giovani sono 
              smaniosi di farsi notare subito e associano il cabaret alla 
              televisione cercando la visibilità in cinque minuti di esibizione. 
              Non è così che funziona. Bisogna arricchire il repertorio, 
              crescere in modo diverso e poi, magari, tornare a Zelig proponendo 
              cinquanta minuti invece di cinque. La televisione appiattisce, ha 
              tempi molto più compressi e si rischia di bruciarsi subito”. “Ci 
              sono delle tappe che bisogna percorrere e raggiungere senza troppa 
              fretta - interviene Ale - le proprie esigenze vanno soddisfatte 
              gradualmente”.
 
 Se Paola Galassi è la loro “mamma” artisticamente parlando, il 
              loro “papà” (lo definiscono proprio così) è Giancarlo Bozzo, 
              direttore artistico di Zelig. A dispetto di altri ambiti dello 
              spettacolo, “nel cabaret se hai capacità mantieni comunque i tuoi 
              spazi - afferma Franz -è un ambiente sano, incontaminato, e 
              all’interno ognuno si crea il suo habitat. Con molti attori si 
              cresce insieme anche a livello umano, magari con altri, specie 
              quelli della generazione precedente, c’è meno occasione di 
              incontro”. “La comicità mi ha sempre affascinato -confessa Ale -da 
              ragazzino non perdevo un film di Jerry Lewis o Louis De Funès”. 
              “Io seguivo di più Stanlio e Ollio e i fratelli Marx” aggiunge 
              Franz. L’idea del “noir”, della parodia dei dialoghi tra gangster, 
              genere comico un po’ più sofisticato, è nata un anno fa proprio a 
              Zelig nel corso di un laboratorio sul cinema. “Gino e Michele ci 
              hanno dato fiducia - continua Franz - siamo entrambi appassionati 
              di film sulla malavita, come “C’era una volta in America” e, 
              pensando al linguaggio usato da Al Pacino o De Niro, tipico dei 
              malavitosi, ma soprattutto all’atteggiamento che mantengono, 
              all’impenetrabilità che li contraddistingue, sono nati Gin (Ale) e 
              Fizz (Franz), l’esecutore e il mandante. Entrambi sono sempre 
              credibili, non si smascherano mai, rispettano la regola base 
              dell’imperturbabilità, qualsiasi cosa dicano, per quanto assurda”.
 
 Nella fantasia noir di Ale e Franz, la creatura chiamata Gin, il 
              sicario ottuso, ultima pedina di una grande organizzazione 
              mafiosa, è un trentenne di origine italiana da ventotto anni con 
              le mani impastate nel crimine. Suo padre faceva il parrucchiere, 
              sua madre, violenta e alcolizzata, la metalmeccanica. Gin ha avuto 
              un’infanzia difficile che lo ha portato ad evitare la brutalità 
              familiare, scegliendo come rifugio la strada. Frequentando la 
              prima banda che lo accoglie, incontra Fizz, di qualche anno più 
              vecchio di lui. Fizz, la mente del duo, entra in riformatorio 
              all’età di nove anni. In un anno compie seicentotrenta rapine 
              nella tabaccheria paterna e preferisce scippare zie e cugine di 
              ogni ordine e grado. Diventa in poco tempo un temibile malvivente. 
              Le loro gag esilaranti sono state tutte raccolte in un libro edito 
              da Rizzoli intitolato “...e Larry? E’ morto”. Larry è il nemico 
              per antonomasia, l’uomo da eliminare ad ogni costo e in qualunque 
              modo, un italo americano entrato nel crimine a sedici anni dopo 
              aver ucciso per errore i genitori con una bomba costruita 
              artigianalmente in occasione del Capodanno. Larry ha più vite di 
              tre gatti messi insieme e viene fatto fuori (o si fa fuori da sé) 
              ripetutamente cadendo da cavallo, annegando nel fiume senza 
              bisogno di masso legato al collo per affondare, dato che ha due 
              enormi calcoli renali. Viene impiccato all’albero di Natale o si 
              schianta contro il casello dell’autostrada. A bruciapelo Fizz 
              chiede a Gin notizie di Larry. Gin risponde: “L’ho fatto fuori”. E 
              l’altro: “Finalmente! Era proprio stupido: non capiva la 
              differenza tra una pistola e una macchina fotografica”. Il sicario 
              con tono da duro vagamente perplesso conclude: “Ecco perché quando 
              gli ho sparato ha detto Cheese!”.
 
 1 novembre 2001
 
 
 
              
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