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            | Cyber-sicurezza: la lotta ai nemici 
              immaginari di Giuseppe Mancini
 
 Fiat Securitas et pereat Internet. Perché, quando la Nemesi avrà 
              stanato bin Laden, la causa apparente delle residue insicurezze 
              planetarie rimarrà beatamente in piedi. La Rete, licenziosa e 
              mortifera ragnatela, nuovo regno decentralizzato e sfuggente del 
              Male: che gli stessi terroristi di Al Qaeda pare abbiano 
              utilizzato - crittografia e steganografia, ma adesso sono spuntati 
              anche gli sms - per preparare gli attentati dell'11 settembre; che 
              i cyberterrosti vogliono trasformare in strumento di devastante 
              offesa contro le infrastrutture vitali degli Stati Uniti, la Pearl 
              Harbor digitale a cui si grida da più d'un lustro; che 
              l'Internazionale pedofila ha eletto a riserva di caccia e di 
              immondo mercanteggio; che gli hackers percorrono incessantemente 
              per sfondare i nostri concupiti segreti; che i propugnatori della 
              purezza razziale e d'ogni altra nefandezza ideologica hanno 
              elevato a terreno d'elezione per il reclutamento di fondi ed 
              adepti. Bisogna neutralizzare Internet, perchè fonte di smisurati 
              guai. Pazienza, se poi ad essere neutralizzato sarà anche il 
              rivoluzionario slancio libertario delle comunicazioni digitali.
 
 Una posizione che viene così riassunta: più sicurezza in cambio 
              della libertà assoluta; più sicurezza ed una libertà sempre 
              fiorente, ma vigilata. Un trade-off doloroso ma rassicurante. 
              Purtroppo, la realtà è ben più complessa. Perché un drastico 
              ridimensionamento delle libertà digitali, a causa delle misure 
              scriteriate decise negli Stati Uniti e in Europa nelle ultime 
              settimane, sarà al contrario accompagnato da meno sicurezza. Se 
              infatti non si individuano con assoluta chiarezza nemici e 
              minacce, se non si stabiliscono priorità negli obiettivi da 
              centrare, la dimensione sicurezza diventa un ammasso caotico in 
              cui i terroristi, quelli veri e spietati, agiscono indisturbati. 
              Un po' quello che è successo l'11 aprile: quando ci si aspettava 
              un attacco hi-tech, magari via Internet. Gli Stati Uniti hanno 
              fatto del loro peggio. Hanno creato la figura di Special Advisor 
              for Cyberspace Security, responsabile a livello nazionale di 
              cybersicurezza e protezione delle infrastrutture sensibili, col 
              compito sostanzialmente di evitare la chimerica Pearl Harbor 
              digitale; hanno equiparato gli hackers ai terroristi, istituendo 
              tribunali speciali per gli hackers, con condanne fino 
              all'ergastolo per chi penetra nei sistemi informatici altrui; 
              hanno assegnato alle agenzie investigative nuovi e raffinati 
              poteri per intercettare ogni tipo di comunicazione privata.
 
 Tutte misure inutili, che ingigantiscono il grado di 
              burocratizzazone del sistema senza cogliere nel segno. Perché gli 
              hackers, nella loro continua attività di ricerca e d'esplorazione 
              che individua vulnerabilità e punti critici, sono funzionali alla 
              sicurezza delle infrastrutture informatiche; perchè chi anche 
              commette crimini informatici (frodi e furti per via elettronica) 
              nulla ha a che vedere con il terrorismo; perchè lo smisurato 
              incremento dei dati a disposizione dell'intelligence crea un 
              sovraccarico informativo che impedisce di separare le informazioni 
              rilevanti nel rumoroso marasma di sottofondo: è già accaduto prima 
              dell'11 settembre, accadrà purtroppo di nuovo.
 
 Gli Stati Uniti, poi, sono i principali ispiratori della 
              Convenzione sui crimini informatici, definitivamente approvata dal 
              Consiglio d'Europa ed aperta alla firma il 23 novembre a Budapest. 
              Una follia giuridica che criminalizza ogni attività di hacking, 
              che fa di Internet la causa prima della pedofilia, che rende la 
              privacy degli utenti un fastidioso optional della vita di 
              relazione. Una convenzione utile solo perchè promuove la 
              collaborazione tra stati nella repressione dei crimini autentici 
              (sostanzialmente, attività illecite di natura finanziaria), ma 
              complessivamente dannosa perchè non seleziona gli obiettivi, 
              perchè con gli stessi strumenti giuridici si vorrebbero 
              contrastare minacce e nemici assolutamente eterogenei, perché 
              soprattutto fraintende quali sono le minacce ed i nemici reali. 
              Dopo l'11 settembre, si è addirittura tentato di andare oltre, ma 
              in questo caso gli Stati Uniti hanno fortunatamente agito da freno 
              salutare. L'idea era quella di eliminare dalla Rete ogni contenuto 
              a sfondo razzista e xenofobo, grazie ad una norma aggiuntiva nella 
              Convenzione che avrebbe creato la fattispecie dell'hosting 
              illegale. Secondo il relatore Ivar Tallo, estone e socialista, 
              "gli avvenimenti dell'11 settembre hanno mostrato come le idee 
              razziste e xenofobe (hate speech) possano trasformarsi in azioni 
              di spaventosa ampiezza”. L'11 settembre, insomma, è colpa di 
              Internet, è colpa della presenza online di gruppi xenofobi e 
              razzisti (ce n'è persino qualcuno che inneggia al jihad) impegnati 
              nella diffusione del loro pernicioso messaggio, nel reclutamento e 
              nel reperimento di fondi. E possono farlo ponendosi al di là delle 
              legislazioni nazionali più restrittive (quelle di quasi tutti gli 
              stati europei), ponendosi sotto la protezione del Primo 
              emendamento Usa, che santifica la libertà di espressione, 
              semplicemente creando i loro siti nei servers d'oltreatlantico.
 
 Ivar Tallo proponeva che siti web nella lingua nazionale, 
              destinati ad una comunità nazionale (ad esempio, siti francesi 
              realizzati per i francesi) dovessero essere ospitati nei servers 
              dello stato di riferimento, soggetti cioè alla legge nazionale. 
              Ivar Tallo contro il Primo emendamento: ovviamente, ne è uscito 
              sconfitto ed irriso, visto che probabilmente di Internet ha solo 
              sentito parlare in televisione e non ne conosce la natura 
              geneticamente transnazionale e multilingue. Tallo ha dovuto allora 
              ripiegare su di un innocuo, comico protocollo aggiuntivo, che 
              resterà lettera morta senza l'appoggio degli Stati Uniti (che il 
              loro appoggio non lo daranno probabilmente mai). Tra l'altro, chi 
              avrebbe stabilito quali siti avrebbero dovuto essere oscurati? E 
              se si trattava solo di parti marginali di un sito? E chi avrebbe 
              controllato miliardi e miliardi di pagine web, in mutazione 
              perenne, alla ricerca dei contenuti incriminati? E chi avrebbe 
              letto tutti i post nei milioni di newsgroups esistenti? Ci si 
              sarebbe affidati a filtri elettronici che già hanno dimostrato di 
              funzionare malissimo? Oppure sarebbe stata creata una nuova 
              immensa burocrazia, migliaia di persone alla ricerca ininterrotta 
              di siti web sgradevoli? Nemici immaginari, minacce trascurabili: 
              il modo migliore di aiutare il terrorismo.
 
 16 novembre 2001
 
 giuse.mancini@libero.it
 
              
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