| Zelig 7. Sgrilli, il vagabondo di Myriam D’Ambrosio
 
 Una spiaggia sotto il chiarore della luna, con le onde che vengono 
              a riva luminose come nastri d’argento, un falò, una chitarra e un 
              gruppo di amici. L’atmosfera ideale per Sergio Sgrilli è proprio 
              questa. Se poi la spiaggia è quella della natia Follonica, tanto 
              meglio. Il primo amore di Sergio fu la musica. “Ero affascinato 
              dai metallari new wave, studiavo e contemporaneamente facevo 
              l’operaio. Iniziai a suonare il liscio per comprarmi il basso e 
              dedicarmi all’heavy metal - racconta Sergio - non vengo da un 
              ambiente artistico, ho respirato cultura operaia dall’infanzia, 
              eppure, nonostante le persone che mi hanno ostacolato (per il mio 
              bene, dicevano loro), ho seguito l’istinto. Il mio accostarmi al 
              mondo dello spettacolo è stato un’evoluzione naturale”. Ha 
              scaricato i cassonetti, ha venduto elettrodomestici, ha girato 
              l’Europa col sacco in spalla ed è stato quattro mesi in Australia 
              in compagnia della sua inseparabile chitarra e dormendo, quasi 
              sempre, nel sacco a pelo e, qualche volta sotto i ponti o nelle 
              stazioni. Trentatre anni e una vita da far invidia al migliore dei 
              vagabondi pensato da Hermann Hesse.
 
 “In Australia mi è capitato un episodio divertente - dice Sergio 
              ridendo - mi hanno scambiato per una rockstar europea e io e i 
              miei amici, fingendo spudoratamente, dopo aver racimolato un po’ 
              di soldi, abbiamo affittato una limousine bianca a nove posti e ci 
              siamo fatti un giro”. Negli anni, i suoi spettacoli concerto hanno 
              dato ampio spazio al monologo, il momento in cui Sergio ama 
              narrare vicende vissute spesso in prima persona, per riderci su e 
              stabilire con il pubblico un contatto più autentico e diretto. “E’ 
              chiaro che il mio repertorio si è arricchito negli anni, 
              accumulando esperienze (le mie, quelle degli amici o comunque di 
              chi mi era ed è vicino). Il metodo che prediligo per la scrittura 
              dei miei testi è quello del canovaccio, il più classico”, spiega 
              Sgrilli con il suo bell’accento toscano. I primi spettacoli di 
              cabaret Sergio ha cominciato a metterli su già dal 1987, lavorando 
              in vari luoghi della Toscana, specie sull’isola d’Elba, in un 
              locale chiamato “Giannino”. Nel 1993 un brutto incidente alle 
              corde vocali (diventò afono per un anno intero) lo costrinse a 
              ritirarsi.
 
 “Fu uno dei momenti peggiori della mia vita - ammette il ragazzo 
              di Follonica - ma con la forza di volontà decisi di gestire un 
              piccolissimo bar veramente brutto dove però si beveva bene e le 
              coppie aspettavano il tramonto sulla spiaggia. Mio fratello faceva 
              dei cocktail eccezionali. Una sera organizzammo un party davanti 
              al mare preparando settantacinque litri di sangria con il rosso di 
              Montalcino. Veniva gente da Londra e New York, si parlava inglese. 
              Da New York chiamai un tatuatore che ebbe molto successo. Marchiò 
              a fuoco mezza Maremma! Tutto questo durò una stagione, una sola 
              estate”. Dopo aver riacquistato la voce, Sergio tornò al cabaret e 
              a metà degli anni Novanta fece il suo primo provino a Zelig. 
              “Oltre a essere un timido sono anche un grande insicuro - confessa 
              - sono stato un anno a fare il numero di Zelig e a rimettere giù 
              la cornetta perché mi mancava il coraggio di provare. La mia 
              esibizione durò dieci minuti in un silenzio generale. Nessuna 
              smorfia di disapprovazione o consenso. Ho iniziato a seguire vari 
              corsi di teatro e ho frequentato la Lega italiana improvvisazione 
              (Liit). Dormivo nella scuola con il sacco a pelo. Mi allontanai da 
              Zelig nel periodo in cui studiavo le basi del teatro ma continuai 
              a esibirmi nei locali per sentire l’umanità addosso (questa è la 
              sensazione che mi dà il pubblico). Mi piace vedere le espressioni 
              della gente, le reazioni. Per questo preferisco i locali ai 
              teatri. A teatro non vedi nel buio che inizia dove finisce il 
              palco. E’ un muro di luci e silenzio”. Sergio ama la “carovana” di 
              Zelig, perché “è formata da tante persone che hanno fatto la 
              gavetta insieme”. Il suo sogno è quello di rimettere in piedi la 
              band per cantare le sue canzoni e recitare i suoi coinvolgenti 
              monologhi. “Credo che la mia forza sia la sincerità, con il 
              pubblico e nella vita di tutti i giorni - sorride, ma un’ombra si 
              affaccia dallo sguardo azzurro - Spero che la mia carriera non 
              prenda mai una svolta che non riesco a controllare”.
 
 7 dicembre 2001
 
 
 
 
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