| I vini del Franco Bevitore. Bottiglie da sottrarre all’oblio di Franco Ziliani
 
 Teorici dei vini muscolari, fanatici della concentrazione ad 
              eccesso e della potenza smisurata, ricordatevi: non di soli super 
              struttura, di tannini e polifenoli record vive il bravo 
              consumatore… Per quanto i vostri amatissimi robusti Cabernet 
              Sauvignon, i merlottoni morbidi e marmellatosi, gli sciropposi e 
              selvatici Syrah, gli impenetrabili, densissimi Lagrein vi possano 
              mandare in estasi - e non dubitiamo che lo facciano - non è 
              pensabile possiate immaginare di restringere il vostro universo 
              vinoso solo a questi fenomeni e che vi riduciate a guardare tutti 
              gli altri vini con sufficienza e con spocchia, perché non 
              sufficientemente corposi per il vostro gusto, perché non hanno la 
              pazzesca estrazione di colore e la lunghezza infinita e 
              masticabile che vi suscita libidine. C’è tutto un mondo 
              meraviglioso di piccoli, meravigliosi, interessanti vini, colmi di 
              autenticità e di storia, che rischiano di essere bollati come 
              “minori” solo perché non conformi all’ideologia e all’estetica 
              dominanti, che aspettano di essere scoperti e apprezzati anche da 
              voi, se vi sforzate di essere un po’ meno integralisti del solito. 
              Vini da salvare e sottrarre all’oblio.
 
 Volete qualche nome ? Presto fatto. Partendo dalla Valle d’Aosta 
              ci piace ricordarvi il Fumin e la Torrette, e poi volando in 
              Piemonte crediamo che i Dolcetto e le Barbere old style che 
              vogliono rimanere piemontesi e non diventare Super Piedmont reds, 
              possano più che soddisfarvi, insieme a qualche Freisa e Grignolino 
              e allo sconosciuto Pelaverga. E poi com’è possibile dimenticarsi, 
              una volta in Liguria, dell’Ormeasco, del Marzemino e del Foja 
              tonda in Trentino, della Bonarda autentica, quella che “buscia” e 
              non tocca legno, e del Botticino, del San Colombano in Lombardia, 
              dei Valpolicella e dei Bardolino naturali e beverini in Veneto, 
              del Refosco del Peduncolo rosso in Friuli e del Lacrima di Morro 
              d’Alba nelle Marche? Potremmo proseguire ancora a lungo, 
              tracciando una mappa dettagliata di questi vini e vitigni negletti 
              e dimenticati, che avrebbero bisogno, se chi anima queste 
              iniziative avesse davvero a cuore la tutela e la sopravvivenza di 
              profumi e sapori che rischiano di scomparire, un’Arca del Gusto, 
              ma preferiamo fermarci, rischiando di beccarci l’accusa d’essere 
              troppo filo altoatesini, alla più tipica e diffusa delle varietà 
              della provincia di Bolzano, la Schiava, o Vernatsch in tedesco. 
              Nonostante sia un vitigno autoctono che è ancora il più diffuso in 
              Alto Adige e ne simboleggia l’antica tradizione vitivinicola, la 
              Schiava è considerata molto meno importante rispetto ai Cabernet, 
              Merlot, Lagrein o Pinot nero, celebrati perché più strutturati e 
              “modern style”, ed i vini che ne sono espressione, gli Alto Adige 
              Schiava o Südtiroler Vernatsch, i Lago di Caldaro scelto, i Santa 
              Maddalena, i Colli di Bolzano ed i Meranese o Colline di Merano, 
              vengono spesso frettolosamente liquidati, dalle guide, dagli 
              appassionati, dalla ristorazione non altoatesina, solo come dei 
              vinelli. Delle cose simpatiche da bere ogni tanto, facendo merenda 
              in montagna, mangiando dello speck e dei gewürzgurken, ma non 
              certo dei vini da prendere seriamente in considerazione, da 
              inserire nelle carte dei vini , o in cantina, e su cui lavorare.
 
 Scetticismi stupidi, difficilissimi da vincere, ma che finalmente, 
              proprio quest’anno, crediamo saranno messi a dura prova 
              dall’evidenza dei fatti, perché le Schiave possono finalmente 
              giocare la carta di un livello qualitativo superbo. Per loro, 
              difatti, quella targata 2000 si sta sempre più rivelando come 
              un’annata eccezionale. Da molti anni a questa parte, racconta uno 
              dei più grandi sostenitori della nobiltà della Schiava, Hartmuth 
              Spitaler, presidente della Cantina Produttori Cornaiano (Girlan) e 
              produttore, con la Vernatsch Fass n. 9 e con la Gschleier von 
              Alten Reben (da un vigneto di oltre 60 anni, poco produttivo), non 
              si vedevano delle uve Schiava così belle, perfette, e la 
              produzione poteva dire di aveva raggiunto un equilibrio tanto 
              ottimale. “Lo abbiamo capito subito, già in vendemmia, dal tipo di 
              profumi così intensi e caratteristici e dal colore così ricco e 
              splendente, che quella 2000 per la nostra Schiava sarebbe stata 
              un’annata memorabile”. Certo, ci sono molti problemi da 
              affrontare, sapersi affrancare da un ideale di vino, che va per la 
              maggiore.
 
 Di fronte alla possanza e alla prepotenza dei vitigni bordolesi e 
              persino dal fratello autoctono Lagrein, le Schiave non hanno 
              alcuna chance. Se invece si riesce a diffondere un concetto della 
              diversità, della multiformità d’espressione, anche in campo 
              vinicolo, che fa sì che di una determinata zona siano apprezzati e 
              posti sullo stesso piano tutti i prodotti, quelli più complessi e 
              quelli più semplici, allora le Schiave, presentate opportunamente 
              per quelle che sono e che possono dare, possono giocarsi le loro 
              carte al meglio. L’importante è affidare il ruolo di portabandiera 
              della loro possibile riscossa a vini di sicuro valore, come i già 
              citati Vernatsch Fass n. 9 e Gschleier von Alten Reben della 
              Produttori Cornaiano, e poi il Kolbenhofer di Hofstätter, 
              Hexenbichler della Produttori Termeno, Sarnerhof della Produttori 
              San Paolo, Schloss Korb della Cantina di Gries, i Santa Maddalena 
              di Plattner, Gojer, Pfannenstielhof, Rottensteiner, Ramoser, della 
              Produttori Santa Maddalena, di Andreas Berger Thurnhof, per citare 
              solo alcuni dei vini che quest’anno mi hanno maggiormente colpito.
 
 A quest’aristocrazia della Schiava si è aggiunta ancora con 
              maggiore forza con l’annata 2000, anche se già in passato c’era 
              piaciuta moltissimo, la Vernatsch Menzenhof collocata dalla 
              Cantina Produttori di Cornaiano nella validissima linea dei masi 
              Praedium, che comprende il miglior Merlot dell’Alto Adige, il 
              Siebeneick, il Lagrein Mantsch, il Pinot nero S. Daniel, il Pinot 
              bianco Weisshaus ed il Sauvignon Prail, per citare solo alcuni dei 
              vini che maggiormente amiamo.
 Se avete voglia di sfidare il déja vu et déja gouté, se volete 
              sottrarvi alla schiavitù, piacevole sinché si vuole, ma sempre 
              schiavitù dei body building wines, se desiderate stappare una 
              bottiglia per il gusto ed il piacere di bere, allora questo è il 
              vino che fa proprio al caso vostro. E che bicchiere dopo 
              bicchiere, servito ben fresco, sui piatti allegri e non 
              impegnativi della cucina estiva, antipasti di salumi, carni 
              bianche alla griglia o arrosto, spiedini di carne, torte salate, e 
              magari abbinato a pesci d’acqua dolce, costringerà a ricredersi 
              anche i più scettici, quelli che cadevano nel luogo comune del “ma 
              la Schiava non è un vero vino”… Lo staff tecnico guidato da “der 
              president” Luis Raifer, da suo figlio Wolfgang, promettentissimo 
              kellermeister, dall’ottimo consulente esterno Donato Lanati, con 
              la Menzenhof 2000, fermentata in acciaio e per qualche mese 
              affinata in grandi fusti di rovere, ha centrato in pieno il 
              bersaglio.
 
 Il vino convince e avvince già dal colore, un rosso rubino 
              splendente, vivacissimo, luminoso e brillante che mette allegria e 
              ben dispone, e poi continua ad entusiasmare grazie al profumo 
              netto, franco, fragrante di ciliegia e di piccoli frutti di bosco, 
              dolce quanto basta, ma pimpante e nervoso, da non apparire mai 
              eccessivo, monocorde o prevedibile. E’ al gusto, però, che la 
              Vernatsch Menzenhof sfodera tutto il suo pieno carattere, la sua 
              straordinaria piacevolezza, l'equilibrio da vino ben riuscito, 
              grazie ad un frutto rotondo e ad una consistenza succosa, ad una 
              morbidezza vellutata dietro la quale agisce una certa struttura 
              tannica levigata, ad una bella sapidità e mineralità 
              d’espressione, sorrette da una fresca acidità e da una vena 
              leggermente amarognola (la classica nota di mandorla amara tipica 
              della Schiava di razza), che conferiscono lunghezza e persistenza 
              e facilitano la beva. Non avrà i “muscoli” di un Cabernet o di un 
              Lagrein questa Schiava, ma con quanta gioia, naturalezza e 
              rapidità la bottiglia resta vuota sul tavolo!
 
 28 settembre 2001
  
              
              Bubwine@hotmail.com 
              
              Vernatsch Menzenhof 2000. Cantina Produttori Colterenzio, strada 
              del Vino 8, 39050 Cornaiano - Bolzano, lire 13.000. Tel. 0471 
              664246 fax 0471 660633 E-mail
              
              info@colterenzio.com - 
              www.colterenzio.com  
                 
              
 
 
               
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