| Addio, amico Lucio di Piero Melograni
 
 Questo articolo è tratto dalla 
              commemorazione di Lucio Colletti che Piero Melograni ha tenuto in 
              Parlamento il 6 novembre scorso. Ringraziamo l’autore per la 
              concessione.
 
 Ironico, scettico, caustico e potremmo continuare con aggettivi 
              consimili, Lucio Colletti sarebbe stato il primo a sorridere e a 
              contestarci rumorosamente nel vederci tutti qui riuniti oggi, a 
              salu-tarlo o, peggio ancora, a commemorarlo. Anche l’ultima volta 
              che lo ho incontrato, qualche gior-no fa, casualmente, in un 
              ufficio di Montecitorio, si accalorava, scherzava con gli 
              impiegati e con me, era mordace e tagliente, anche con se stesso. 
              Anzi: in primo luogo con se stesso. Era insom-ma il Lucio Colletti 
              che ci siamo abituati a conoscere in questi anni di sua presenza 
              alla Camera e che tutti noi ricorderemo sempre. Eppure Lucio, 
              oltre ad avere questa apparenza scintillante, serbava in sé una 
              realtà più segreta, che potevamo cogliere da piccoli segni, se lo 
              osservavamo con attenzione e meditavamo su tanti suoi gesti e 
              parole. Del resto, le persone ironiche, scettiche, caustiche e 
              brillanti, sono tali perché quasi sempre cercano di sollevare una 
              cortina fumogena at-torno a loro stesse e alle pessimistiche 
              conclusioni alle quali sono giunte.
 
 Ricordo infatti molto bene come lo scorso anno egli spiegasse ad 
              alcuni di noi, durante un inter-vallo dei lavori d’aula, perché 
              Giacomo Leopardi, che si era così a lungo occupato della 
              inelutta-bile infelicità umana, dovesse essere considerato il più 
              grande filosofo italiano di tutti i tempi. E ci recitava versi 
              della Ginestra o del Canto notturno di un pastore errante 
              dell’Asia. E avvertiva-mo fino a qual punto Leopardi fosse in 
              realtà il pensatore a lui spiritualmente più vicino.
 
 La ragione per la quale sono stato invitato oggi a parlarvi di 
              Lucio è che molto probabilmente io sono l’unico, fra tutti voi, ad 
              averlo conosciuto da più lungo tempo. Diciamo: da circa 50 anni. 
              Lo incontrai infatti poco dopo la fine della seconda guerra 
              mondiale, vale a dire di una catastrofe che segnò per sempre la 
              nostra generazione. E lo incontrai perché, entrambi segnati da 
              quella ca-tastrofe, ci eravamo illusi che il comunismo e il 
              marxismo potessero indicarci una via di salvez-za. Nel 1956, nei 
              giorni della rivoluzione ungherese, firmammo entrambi il manifesto 
              degli intel-lettuali comunisti contrari alla linea filosovietica 
              del Pci. Lucio Colletti, che aveva contribuito alla redazione di 
              quel documento, fece poi fatica a staccarsi dal Pci, mentre per me 
              fu più facile: lavoravo allora in una azienda ed ero entrato nel 
              Pci a 15 anni, molto ingenuamente e superfi-cialmente.
 
 Lucio, viceversa, faticò a staccarsi dalle illusioni della 
              sinistra perché era un filosofo, un profes-sore che lavorava 
              soltanto nell’Università, uno studioso meno legato alla vita 
              pratica. Per di più era entrato nel Pci a 25 - 26 anni, niente 
              affatto superficialmente, bensì in seguito a una sua scelta 
              politica molto elaborata e complessa. E quindi la sua uscita dal 
              Pci e dalla sinistra fu più lenta e faticosa. Ma proprio grazie a 
              questa lentezza e a questa fatica, alla fine, nel 1974, quando 
              rinnegò il marxismo e cominciò a capire le novità del mondo nuovo, 
              fu intellettualmente molto più forte e influente. La sua 
              intelligenza era grande. La sua cultura profonda. Il suo prestigio 
              rilevante: Colletti era stato il marxista italiano più letto e più 
              tradotto nel mondo.
 
 Nonostante il prestigio conquistato, andò incontro anche lui 
              all’isolamento. Nel 1974, quando pubblicò con Perry Anderson la 
              sua famosa “Intervista politico-filosofica”, nella quale 
              annuncia-va il suo addio a Marx, suscitò una reazione ostile per 
              molti versi simile a quella provocata l’anno dopo dalla 
              “Intervista sul fascismo” di Renzo De Felice. E un’altra reazione 
              ostile a Col-letti si riprodusse nel 1996 con la sua 
              partecipazione alla Convenzione liberale promossa da Ta-radash, 
              Calderisi, Marcello Pera e altri e, soprattutto, alla sua elezione 
              in Parlamento nelle liste di Forza Italia.
 
 Queste sono le ragioni per le quali, in questi ultimi giorni, 
              Lucio è stato tanto spesso rievocato come un personaggio scomodo, 
              anticonformista e controcorrente. Di certo Lucio Colletti è stato 
              un personaggio a volte scomodo per tutti, anche per il partito che 
              lo aveva portato in Parlamento. Ricordo vari incontri tra il 
              cosiddetto gruppo dei professori e Silvio Berlusconi durante i 
              quali Lucio e Silvio discutevano sfoderando tutte le risorse della 
              loro dialettica. Ma l’incomodo mag-giore del personaggio Colletti 
              derivava dal fatto che lui, un grande intellettuale, da un quarto 
              di secolo osava schierarsi apertamente contro quella sinistra che 
              sugli intellettuali pretendeva di e-sercitare un monopolio. In 
              tutta l’ultima parte della sua vita, dopo la svolta del 1974, 
              Lucio Col-letti ci ha offerto una testimonianza del suo sforzo di 
              sprovincializzare e svecchiare l’Italia e di combattere, in 
              particolare, i ritardi culturali della sinistra, ma di certo anche 
              i ritardi presenti in vari settori della stessa destra. Nel suo 
              ultimo discorso alla Camera, pronunciato lo scorso 20 giugno nel 
              dibattito sulla fiducia al governo Berlusconi, Colletti 
              sottolineava come tutti gli impe-gni elettorali della Casa delle 
              libertà dovessero riassumersi in un solo grande obiettivo: 
              “moder-nizzare il paese”.
 
 Il suo sarcasmo, le sue inquietudini, le sue parole graffianti, i 
              suoi modi ribelli non derivavano soltanto dal suo carattere, ma 
              anche dal fatto di dover constatare ogni giorno quanto fosse 
              diffici-le e tortuosa la via di questo auspicato rinnovamento. 
              Lucio ci ha lasciati in un momento gravis-simo per la storia 
              dell’umanità. All’inizio di una crisi che spazzerà via, molto 
              probabilmente e in forme imprevedibili, gran parte del mondo entro 
              il quale lui e le altre persone della sua genera-zione hanno 
              vissuto. Forse anche lui era consapevole di questa fine. Di certo 
              amava sorprendere e ci ha sorpresi anche questa volta. Come un 
              filosofo antico ci ha lasciati, all’improvviso, tuffan-dosi nelle 
              acque calde di un lago etrusco, dopo aver pronunciato l’ultima 
              delle sue famose battute di spirito. In realtà amava seriamente le 
              sfide della vita, della cultura, della politica e penso che, da 
              dove ora si trova, ci stia ancora sardonicamente osservando, 
              sfidandoci ad andare avanti fa-cendo a meno di lui.
 
 9 novembre 2001
 
 
 
              
              
 
               
               |