Italia forse. La patria delle elite e non dei popoli sovrani
di Luca Pesenti


Niente è più come prima, dopo quel maledetto 11 settembre. C’è che il mondo è cambiato. C’è (anche) che la patria è tornata, almeno dalle nostre parti. Vi è nel paese una spinta buona, concreta, sentimentale ma anche razionale, quella di chi crede al ritorno dell’Italia come luogo simbolico, bandiera, idea. Forse è proprio vero. Forse ci credono quelli che cantano l’inno nazionale in televisione, nei campi di calcio, perfino in ufficio prima di lavorare. Forse ci credono anche quelli che ne scrivono sui giornali. E forse ci crede il presidente Ciampi, tornato alla bandiera dopo un impegno filo europeo dai tratti quasi sempre anti-nazionali. Forse era naturale che si ricominciasse a parlarne, dopo la guerra civile di cui ci parla Virgilio Ilari, dopo la vittoria della Casa delle Libertà, dopo i God bless America. Eppure viene come l’istinto di crederci poco, di farsi un sorrisetto sotto i baffi di questo patriottismo goffo e un po’ gaglioffo che sembra fare il verso agli States. Di sicuro sono le elite, per la terza volta dopo Risorgimento e Fascismo, a voler ricreare uno spirito di patria, di nazione, di popolo. Passaggio indispensabile per chiudere quella guerra civile, non c’è dubbio. Ma forse utile anche (e su questo il dubbio lo insinuiamo anche noi insieme a Carlo Stagnaro) per chiudere la ferita aperta del Nord che non si sente Italia ma qualcosa di diverso. E ancora attende risposte.

Al di là dei desideri delle elite, esiste davvero questo popolo, che neanche il conte Cavour e il cav. Benito Mussolini sono riusciti a tirar fuori dal silenzio delle storia? Anche volendo, anche sperando che si torni a credere nella patria, in una comunità di popolo, anche volendo dar retta all’ottimismo della politica, resta il dubbio. E non sta bastando la minaccia esterna, lo straniero, il barbaro per stringer l’italiano a coorte e farlo partire alla battaglia. Non basta lo straniero a far cessare l’idiozia (faticosamente costruita) di quel suicidio identitario che è fatto di crocifissi levati dai muri, canti di Natale laicizzati, presepi sostituiti da abeti colorati, e via censurando sull’altare politicamente corretto. Lo ha capito perfino il laico e certamente non cristiano Massimo Cacciari, difendendo la Croce (e dunque un pezzo grosso dell’identità italiana) dagli attacchi esagitati dell’imam di turno, intervistato un paio di settimane orsono a “Porta a porta”. Nel silenzio interdetto di numero tre (3) preti e di numero un (1) Buttiglione.

Di cosa è fatto un popolo? Di una storia, di un comune sentimento di appartenenza, di un riconoscersi reciproco in un destino comune. Soprattutto, della possibilità di decidere sul proprio cammino. Come diceva qualcuno (che non era Andreotti, come lui stesso ha ammesso, ma un certo vescovo siciliano), a pensar male si fa peccato ma raramente si sbaglia. E allora, a pensar male, questa storia della patria sembra fatta apposta non solo per sostenere la guerra, ma anche per dimenticare la questione settentrionale e quel che ci sta in mezzo. E soprattutto, dimenticare il tema principale che quella questione, con le Leghe e tutto il resto, aveva sollevato: il problema della sovranità. Di chi è la sovranità in questo paese, mentre andiamo dritti verso un’Europa che resta un ignoto senza sostanza? Va bene la mano sul cuore, l’inno, la bandiera, il patriottismo ripescato dai cassetti. Ma sarà ora di riparlare di questa benedetta sovranità di uno e cento popoli che, essi soltanto, partendo dal basso, possono fare dell’Italia una patria. Altrimenti molto meglio lasciar perdere.

Torna la patria? Forse. Basta che sappia di che pasta è fatta, la sua identità. E basta che non elimini gli anni Novanta nella sua parte positiva, che fu quella proposta da Bossi e le sue Leghe. Insomma, basta che non sia ancora una volta la solita di un anti storico stato-nazione. Una patria, almeno in Italia, si costruisce dal basso oppure non si costruisce. Altrimenti rimane soltanto la guerra civile, eternamente ritornante, non ricomposta ma soltanto sopita sotto un cumulo di retorica.

29 novembre 2001

lucapesenti@tin.it


 
 

 

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