La politica per la cultura
di Riccardo Paradisi
Adriano Olivetti era un uomo controverso: timido, schivo, ma anche
risoluto. Aveva gli occhi azzurri che guardavano lontano, la testa
grande e quadrata, quando era arrabbiato dava la mano senza
stringere, gli piaceva il varietà ma non amava i salotti né le
chiacchiere che lì si facevano. Era mosso a intermittenza da
impulsi ora mistici ora razionali, attratto dalla speculazione
intellettuale e al tempo stesso dall’impresa, catturato dalla
politica e al contempo non indifferente al richiamo della vita
contemplativa e delle culture di confine. Diviso tra la fabbrica,
i viaggi di formazione, la politica, l’attività intellettuale e il
romitaggio (aveva l’abitudine ogni tanto di ritirarsi a pensare in
luoghi isolati e aprire a caso i testi sacri per farsi ispirare).
Adriano Olivetti era una persona di quelle che oggi con gusto per
il riduzionismo si chiamerebbero complesse o articolate. Era nato
ad Ivrea l’11 aprile del 1901 sulla collina di Monte Nuvola, nella
seconda residenza di famiglia. Il padre, ebreo, era un vecchio
socialista umanitario di cultura positivista, mentre la madre
Luisa era una valdese costretta in casa a pregare di nascosto.
Questo quadro famigliare così polarizzato costituisce l’abbozzo
della futura strutturazione psicologica e culturale di Adriano il
cui eclettismo, favorito da un temperamento emotivo e alimentato
da una curiosità insaziabile, lascia anche intravedere
un’ipersensibilità di fondo. Adriano era un intellettuale
pragmatico, sensibile alla passione mistica e animato da intenti
sociali di tipo messianico, attratto quindi da un lato
dall’organizzazione funzionale dell’esistente e dall’altro
dall’idea di un mondo rinnovato. A vederla in prospettiva la vita
di Adriano è modellata da queste inclinazioni che si enucleano in
tre diversi ambiti di applicazione: quello tecnocratico
dell’organizzazione della fabbrica, quello dei rapporti tra
l’industria moderna e il territorio circostante e, infine, quello
politico, ambito in cui Adriano prende coscienza del fatto che
solo da una visione globale della società può discendere
l’individuazione di un progetto al quale associare tutte le forze
sociali. L’ordine politico delle comunità rappresenta la visione
compiuta di questo progetto politico fondato sulla comunità e teso
all’armonia sociale. Dietro “l’ideologia politica” di Olivetti non
c’è solo l’idea di società personalista pensata da Emmanuel
Mounier, c’è anche e forse soprattutto l’idea di tripartizione
dell’organismo sociale del filosofo austriaco Rudolf Steiner.
Durante gli studi universitari Adriano, persuaso da un federalismo
repubblicano e regionalista, aveva praticato con entusiasmo un
giornalismo militante molto pugnace ma nel ’24, dopo la laurea,
vista l’oggettiva difficoltà, dovuta al consolidarsi del fascismo,
di proseguire un sereno confronto politico, si decide a rientrare
in quella fabbrica in cui aveva mosso i primi passi all’età di
tredici anni. “Passavo davanti al muro di mattoni rossi della
fabbrica - scriverà in una sua memoria riguardo quell’episodio
della sua vita voluto dal padre al fine di fargli provare
un’esperienza di lavoro - vergognandomi della mia libertà di
studente e simpatizzando con gli operai che lavoravano in
quell’ambiente senza stancarsi”. Quella sensazione, così precoce
per un ragazzo di quell’età, stimolò da allora Adriano a cercare
un altro fine nell’industria che non fosse solo quello
economico-utilitarista. Con il viaggio in America del 1926 - dove
visita con scrupolo le più importanti industrie del paese - gli si
aprono nuove prospettive; vede l’America del primo boom economico
e dei primi consumi di massa: Adriano è colpito dalle operaie che
escono dalle fabbriche con la pelliccia sulle spalle, ma è
infastidito dal feticismo del denaro: “qui il vero dio è il
dollaro” scriverà in una annotazione di viaggio. E’ nella visita
agli stabilimenti Ford però che Adriano scopre “un miracolo di
organizzazione, dove tutto marcia senza burocrazia, tutto è
raggiungibile con la specializzazione operativa”. Egli però non si
limita a registrare notazioni sull’organizzazione del lavoro,
capisce che un’industria complessa di massa ha compiti e doveri
che si estendono all’ambiente circostante. Queste intuizioni non
smetteranno mai di lavorare nella mente di Adriano che cercherà
per tutta la vita il modo di applicarle.
Nel 1932 diventa direttore generale dell’Olivetti e nel 1933 “per
evidenti motivi di opportunità” - come noterà la polizia politica
- si iscrive al Partito nazionale fascista. Del resto Adriano è un
pragmatico, lo dimostra anche il fatto che tra il ’31 e il ’34 -
dopo aver conosciuto a Milano gli architetti razionalisti da cui
partirà la rivoluzione destinata a creare l’immagine e la linea
Olivetti - non si fa scrupolo di dissimularsi tra i “fascisti di
sinistra” per fare di Ivrea il luogo di sperimentazione del
razionalismo italiano. Per Olivetti l’architettura non è solo
tecnica del costruire, ma arte politica, l’urbanista è colui che
disegna la polis, è il demiurgo che mette in forma la città e la
comunità. Sta però di fatto che il regime si arrocca sempre di più
su posizioni di conservazione culturale mentre del piano
regolatore della Valle d’Aosta, esposto nel ’37 e che ebbe una
recensione favorevole da Critica Fascista di Bottai, non si fece
più nulla. Con la guerra - dopo essere scampato alle leggi
razziali del ’38 perché valdese - Adriano vede l’Olivetti tagliare
traguardi significativi. Mentre aziende concorrenti europee
vengono riconvertite in industrie belliche, quella della sua
famiglia passa dai 1870 dipendenti del 1933 a 4675, dalla
produzione di 24.000 macchine da scrivere del ’33 a 65.000.
Adriano non dimentica la battaglia politico-culturale, è ottimista
sugli esiti della guerra e cerca di preparare il dopo; nascono le
Nuove edizioni di Ivrea con l’intento di sprovincializzare la
cultura italiana. Si incontrano a Ivrea Luciano Foà, Giorgio Fuà e
Umberto Campagnolo (che organizza la prima biblioteca di
fabbrica). Si aggiunge anche una rete di collaboratori esterni tra
cui Buonaiuti e dall’estero Keyserling. Si progetta di tradurre
Jung, Keynes e Kierkegaard, ma di fatto escono solo gli studi per
il piano regolatore della Valle d’Aosta. Nel 1942 Adriano comincia
a ragionare in termini compiutamente politici nel tentativo di
trovare una terza via oltre il socialismo di stato e il vecchio
liberalismo formalistico. Olivetti non attinge solo alla fonte del
personalismo mouneriano, come spesso ci si limita a dire. Sulla
rivista SurDaily Luca Fantacci ha dimostrato che Olivetti si lasciò
ispirare soprattutto dall’idea di tripartizione sociale del
filosofo austriaco Rudolf Steiner. E Fantacci ricorda come Renzo
Zorzi, allora direttore delle Edizioni di Comunità, rammentasse
spesso che incontrando Olivetti nei ristoranti di Roma “e
discorrendo con lui dei testi da pubblicare e delle vicende
politiche più attuali, sentisse più volte rammentare il nome di
Rudolf Steiner”. Olivetti in effetti ha in mente una democrazia
funzionale tripartita, dove la comunità concreta è il primo
organismo di un nuovo stato. L’obiettivo era quello di
“socializzare senza statizzare”. L’Italia, secondo il suo progetto
politico, avrebbe dovuto essere scomposta in 400-500 comunità e
ricomposta su base federale.
Nell’ordine vengono definite inoltre sette funzioni politiche
essenziali - l’amministrazione, la giustizia, il lavoro, la
cultura, l’assistenza, l’urbanistica, l’economia - tutte presenti
all’interno della comunità e che daranno vita ad altrettanti
ordini nazionali. Il Senato sarà formato dai rappresentanti degli
ordini, la Camera sarà espressione di comunità concrete. Il
sistema di Olivetti, certo, a tratti macchinoso, prevede anche un
Istituto politico fondamentale per la formazione della classe
dirigente politica e un’Università del lavoro per l’istruzione dei
quadri sindacali. L’ordine infine prevede un sistema misto di
rappresentanza che combina le elezioni a suffragio universale con
le nomine per concorso e titoli. Nella visione politica di
Olivetti si troverebbero a convivere democrazia del lavoro e
principio aristocratico in un progetto di democrazia integrata. Se
sono sette le funzioni politiche essenziali, tre sono gli uomini
alla presidenza dei principi cardine della comunità, quello del
lavoro, della cultura e del diritto: Olivetti era stato attento
alla numerologia pitagorica nell’immaginare la sua repubblica.
Centrale l’idea della triarticolazione della società, uno schema
che prospetta il superamento della classica tripartizione dei
poteri di origine settecentesca verso l’indipendenza della sfera
statale dall’economia e una distinzione dell’economia dalla
cultura. In particolare, l’affermazione della cultura come
elemento autonomo tenderebbe a favorire “uno stato di cose
sensibilissimo alle esigenze spirituali e a quelle aspirazioni
superiori senza le quali la libertà stessa dell’uomo, che è
affermazione di un’intima vocazione, non potrebbe pienamente
esprimersi”.
Adriano scrive l’Ordine durante il suo soggiorno in Svizzera
mentre l’Olivetti è stata dichiarata dai tedeschi stabilimento
protetto. Il 28 luglio del ’45 ritorna presidente e amministratore
delegato ma continua più che altro a interessarsi alla diffusione
delle sue tesi politiche e sociali. Purtroppo i suoi sforzi
sembrano essere vani, le sue idee infatti restano sulla carta.
L’Assemblea costituente mostrerà verso di esse la più assoluta
indifferenza. E i costituzionalisti non prenderanno nemmeno in
considerazione il suo modello di libertà federale e di democrazia.
Adriano vorrebbe affidare il suo programma politico a qualche
partito ma per arrivare all’opinione pubblica decide di aprire una
sua rivista e inaugurare una casa editrice: le chiamerà entrambe
Comunità. Al cuore del suo progetto, il “tentativo di socializzare
senza statizzare, di organizzare la società economica in modo
autonomo, coi propri mezzi e renderla indipendente dall’intervento
dello stato”.
Intanto la sinistra comincia ad attaccare frontalmente Olivetti
accusandolo di paternalismo: nel 1954, sul Contemporaneo, Fabrizio
Onofri arriverà addirittura a paragonare Adriano a Hitler,
definendolo un “patronalsocialista”. Che oggi una rivista
gauchista come Diario, diretta dall’ex lotta-continuista Enrico
Deaglio, definisca - nel titolo di un’inchiesta - Adriano Olivetti
“il padrone che faceva cose di sinistra” è il segno rivelatore
della cattiva coscienza di un certo ambiente politico e culturale.
Alla domanda poi che si pone Diario e cioè “se fosse vivo Adriano
Olivetti sarebbe lui il leader del centrosinistra?” si potrebbe
tranquillamente rispondere con le parole di Geminello Alvi che, in
una memorabile polemica con Lucio Villari proprio su Adriano
Olivetti, ricordò come “con il Pci di Togliatti o la sinistra di
oggi Olivetti non c’entra proprio nulla. Né risulta che le
sinistre oggi sostengano una camera degli ordini o elezioni di
secondo grado. Né tantomeno pensano al comunitarismo”4. Olivetti
invece tentò davvero di applicare il suo modello, tentò di
tripartire la comunità di Ivrea in lavoratori, intellettuali e
amministratori e dopo aver tentato di trasferire la proprietà
dell’impresa a una fondazione cogestita dai lavoratori - ipotesi
che come ricorda Alvi “spaventò i sindacati più dei suoi parenti”
- impose almeno un consiglio di gestione. Nel 1952 per le Edizioni
di Comunità esce “Società, stato, comunità”; nel 1960 “Città
dell’uomo”: sono lavori che reiterano i concetti dell’ordine
assieme ad un numero impressionante di pamphlet, brochure e
ciclostilati. Nel 1954 il Movimento di Comunità fa uscire una
dichiarazione politica scritta da Geno Pampaloni - Tempi nuovi,
Metodi Nuovi - dove il concetto di “politica della cultura” è
opposto a quello di “politica culturale” dei comunisti. Una scelta
naturale per questo primo “imprenditore in politica”.
Dopo essere diventato sindaco di Ivrea nel 1956, Olivetti tenta
infatti di lanciare il Movimento Comunità sulla scena
politico-parlamentare: nel 1958 partecipa alle elezioni politiche
e pur raccogliendo solo lo 0,6 per cento guadagna un seggio in
Parlamento. Due anni dopo, in un viaggio in treno verso la
Svizzera, Adriano Olivetti morirà per una trombosi cerebrale. Il
movimento politico si scioglierà in breve tempo senza lasciare
tracce visibili. Sta di fatto però che oggi, a cent’anni dalla
nascita e a quaranta dalla morte, le intuizioni dell’ingegner
Adriano Olivetti tornano a interrogarci: le ragioni di un
federalismo integrale, la sintesi tra il bisogno di comunità e la
tendenza alla libertà personale, l’aspirazione a una politica che
si coniughi con l’estetica, la necessità che l’ambiente di lavoro,
la grande azienda e la fabbrica si esprimano anche quali ambienti
sociali di convivenza, di relazione e di rapporto con l’ambiente
che le circonda, il bisogno che esse si impegnino quali elementi
stimolatori di tutta la vita locale, l’auspicio che l’industria si
dia dei fini che non siano solo quelli del profitto ma anche
quelli della produzione di una cultura immateriale, sono tutte
questioni che Olivetti pose concretamente sul terreno e che oggi,
nell’epoca della globalizzazione, hanno un’attualità sempre più
evidente.
Oltre a ciò, in questo paese di conformismi e di prudenze,
Olivetti osò proporre una nuova visione politica liberale, fondata
sul merito e le funzioni, nell’idea di sviluppare una rete di
associazioni e di fondazioni autonome ancorate ad una prospettiva
di progresso tecnico-scientifico e di una formazione di quadri a
vario livello. Fu il primo, nella patria dell’accentramento
politico e burocratico, a pensare in modo pragmatico un vero
federalismo regionale, a concepire piani regolatori autonomi, a
porre il problema delle competenze per dirigere la vita pubblica,
a battersi contro l’accentramento delle metropoli in favore delle
piccole patrie, a indicare nella comunità il superamento del
conflitto tra stato e individuo. E’ ora che all’ingegner Adriano -
come con affetto e rispetto lo chiamavano nella sua Ivrea - si
riconosca il valore e la dignità della sua intuizione del mondo e
il valore del suo pensiero politico. Ché egli non era - come si è
più volte ripetuto - un utopista, quanto piuttosto un pensatore
politico e sociale in anticipo sui tempi.
14 dicembre 2001
(da Ideazione 5-2001 settembre-ottobre)
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