Narrativa. Tutta la verità su Bébé Donge
di Carlo Roma
Qual è la verità su Bébé? La verità su una donna minuta,
dall’incedere elegante e serio, dall’aspetto fiero e solenne,
dalla bellezza nobile ed austera? Apprezzata e vezzeggiata da
tutti, Bébé è dotata di un fascino misterioso. Mai aggressiva, mai
ribelle, sempre accondiscendente Bébé sembra essere la moglie
perfetta, tenera e docile, accogliente e gentile. Agli occhi
invaghiti di François Donge la giovane, fin dal loro primo
incontro a Royan, una allegra cittadina adagiata sulla costa
atlantica a sud di la Rochelle, appare snella ed esile ma capace
di fissarlo con intensità senza paura o deferenza. E’ François
Donge, in realtà, ad avvertire un certo timore e a sentirsi a
disagio durante le loro passeggiate lungo il molo di Royan. A tre
mesi dalla loro prima stretta di mano, i due si sposano nella
chiesa di Maufrand, nella regione dell’Aube. Le nozze vengono
celebrate insieme a quelle dei rispettivi fratelli, Félix e
Jeanne. Le due nuove coppie si stabiliscono, dunque, in una
allegra e spaziosa residenza nella mite e serena campagna
francese. Trascorrono ben dieci anni solo in apparenza scialbi e
ripetitivi. François e Felix, dopo aver rilevato le precarie
attività paterne, diventano facoltosi e conosciuti uomini
d’affari. Le loro aziende si impongono sul mercato con sempre più
efficacia. La vita di François e di Bébé segue uno sviluppo piano
e regolare: nasce, desiderato da ambedue, dopo qualche anno di
matrimonio, il piccolo Jacques.
Eppure, qualcosa di indefinibile e strano percorre l’esistenza
mite e serena della coppia. Sotto la patina di rassegnata e
doverosa compiacenza, sotto la cenere di desideri bruciati prima
ancora di essere consumati Bébé, incantevole e desiderabile, cova
sentimenti di rivalsa e di odio cieco e profondo. Indifferente,
talvolta caustica “imperturbabile anche quando facevano l’amore”,
Bébé assume una condotta ferma e decisa e, azione dopo azione,
dispiega con lucidità sorprendente la sua terribile vendetta. Una
domenica d’agosto, alla luce tenue dell’alba, si alza il sipario
sul dramma finale. Tutto l’ambiente è immerso nel silenzio
mattutino. Le pie donne del villaggio, in gruppi vocianti, passano
sotto le finestre di casa Donge richiamate dalle campane della
vicina chiesa. François, come d’abitudine, è in movimento fin
dalle sei mentre Bébé continua a sonnecchiare tranquilla. All’ora
della colazione i due fratelli Donge si ritrovano, con le
rispettive famiglie, riuniti intorno al grande tavolo della
terrazza. Serviti dalla cameriera si scambiano, fra una portata e
l’altra, impressioni sui personaggi noti del circondario. “Bébé
Donge non batté ciglio. Mangiava con grazia, tenendo il mignolo
leggermente sollevato. Le sue mani erano opere d’arte. Chissà se
ascoltava o pensava ad altro.” Dopo il caffé François accusa un
malessere diffuso in tutto il corpo: l’arsenico inizia,
implacabile, a circolare nelle sue viscere. Corre, sofferente,
verso il bagno e vi si chiude. “Bébé si alzò e si diresse verso la
casa. Si assentò solo per pochi minuti e, quando tornò in
giardino, era placida come sempre.” Placida come quando,
interrogata dal giudice istruttore, non ha esitazione ad ammettere
la sua colpa. “Ho attentato alla vita di François Donge
versandogli nel caffè una certa quantità di arsenico.” Una colpa
pesante ed indelebile frutto però della miopia di François, “uomo
pratico, senza fantasia”.
Georges Simenon dimostra, ancora una volta, di conoscere la
sensibilità femminile. Ne “La verità su Bébé Donge”, apparso nel
1942, presenta gli effetti distruttivi di un gesto a tutta prima
inesplicabile. Interrogando la coscienza responsabile di François,
Simenon ricostruisce il mosaico di una vita immolata sull’altare
della cieca virilità. Alla fine, a condanna pronunciata, l’uomo
mostra di aver compreso i suoi errori e chiede perdono. Ma,
naturalmente, sarà troppo tardi.
14 dicembre 2001
crlrm72@hotmail.com
Georges Simenon, La verità su Bébé Donge, Adelphi, 2001, pp.170.
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