| Saggi. Quel calciatore politicamente 
              scorretto di Beatrice Mauri
 
 Recensire l'autobiografia di un calciatore potrebbe sembrare 
              strano e poco interessante per un giornale come il nostro, se non 
              fosse che il giocatore in questione risponde al nome di Paolo Di 
              Canio, l'unico capace di far tremare l'establishmente sportivo al 
              di qua e al di là della Manica. Avete presente le prudenti 
              dichiarazioni del mondo del calcio, dove si parla senza dire 
              niente e, soprattutto, senza mai esporsi? Ecco, dimenticatevele, 
              perché questo libro è come il suo autore: schietto e franco fino 
              all'irresponsabilità, spumeggiante, divertente esagerato e 
              vanaglorioso. Con queste premesse e considerando che è stata 
              scritta per il mercato inglese, non c'è da meravigliarsi che 
              quest'autobiografia sia esplosa inaspettata come una granata nel 
              paludato mondo calcistico britannico e che sul carismatico 
              "troublemaker" del West Ham siano piovute querele e accuse di ogni 
              tipo. Ma anche tanti complimenti, perchè pochi riescono a dividere 
              l'opinione pubblica, i tifosi e gli addetti ai lavori calcistici 
              come Mr. Paolo Di Canio.
 
 Il libro, di per sè, è estremamente scorrevole, godibile e 
              divertente e racconta una specie di favola. Quella di un bambino 
              grassoccio nato in un quartiere dormitorio della periferia di 
              Roma, il Quarticciolo, da una famiglia modesta ma dignitosa e 
              unita, che ha un sogno: diventare un grande giocatore di calcio. E 
              un giorno, attraverso mille peripezie, il duro allenamento che 
              diventa una sfida con se stesso, superando un terribile incidente 
              che rischia di costargli una gamba, questo sogno si avvera. Ma c'è 
              di più in questo libro perché Di Canio non è mai stato un 
              giocatore come tutti gli altri. A 14 anni, quando già giocava 
              nelle giovanili della Lazio, faceva parte del gruppo ultras 
              biancoceleste degli "Irriducibili" e seguiva la prima squadra in 
              trasferta con tutti gli annessi e connessi (cioè risse, 
              scazzottate, scorribande e tutto il repertorio del tifo 
              organizzato). Una cosa che gli sarebbe costata la carriera, se 
              fosse stata scoperta, ma tant'è... Quando arriva in prima squadra 
              e gioca il suo primo derby della capitale, Paolo è "un tifoso in 
              campo. Vivevo il più grande sogno che ogni tifoso di calcio possa 
              vivere". Il resto di quella giornata è storia: nessun tifoso della 
              capitale potrà mai dimenticare il gol di potenza del giovane Di 
              Canio e la sua corsa scatenata sotto la curva Sud (quella dei 
              tifosi avversari) con il dito medio alzato. Come detto: un tifoso 
              in campo. E probabilmente è proprio per questo che mentre gli 
              allenatori e i dirigenti lo hanno trattato come un giocatore di 
              talento ma troppo scomodo e difficile da gestire, i tifosi di 
              tutte le squadre in cui ha militato lo hanno sempre adorato.
 
 Paolo Di Canio ripercorre tutta la sua carriera: dalla Lazio alla 
              Juve (lite furibonda con Trapattoni), poi al Napoli, poi ancora 
              alla Juve (lite furibonda con Moggi), infine al Milan (manco a 
              dirlo, lite furibonda con Capello: "Da quel giorno - scrive Di 
              Canio - più sto lontano da Capello, meglio è") e poi oltremanica: 
              al Celtic di Glasgow, allo Sheffield Wednesday e infine al West 
              Ham United. Paolo dice la sua su tutti gli eventi che lo hanno 
              visto protagonista, dalla spinta all'arbitro Paul Alcock che gli 
              costò undici giornate di squalifica e l'astio livoroso della 
              stampa britannica, fino all'evento che lo ha consacrato santo. 
              Quando, il 18 dicembre del 2000, mentre il West Ham pareggiava in 
              trasferta contro l'Everton, Di Canio rifiutò di segnare a porta 
              vuota il gol della vittoria, per permettere che venisse soccorso 
              il portiere infortunato della squadra avversaria. Il tutto condito 
              da pillole del "Di Canio pensiero": dall'amore alla patria, dal 
              razzismo a Mussolini, dal caso Mihajlovic alla xenofobia 
              britannica. Insomma, ce n'è davvero per tutti, impossibile 
              annoiarsi. Last but not least, segnialiamo che i diritti spettanti 
              a Paolo Di Canio saranno devoluti in beneficenza agli ofrani del 
              World Trade Center: una cosa che fa perdonare anche una traduzione 
              che lascia un po' a desiderare...
 
 1 febbraio 2002
 
 beamauri@hotmail.com
  
              
              Paolo Di Canio, L'autobiografia, Libreria dello Sport, Milano 
              2001, pag. 224, euro 14,98.
 
 
               
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