| Dalla Russia con furore di Roberto Valle
 
 Il periodo sovietico dell’esistenza di Solzenicyn è iniziato nel 
              1918 con la nascita. Durante l’infanzia è stato educato allo 
              “spirito del cristianesimo ortodosso”. A diciott’anni, tuttavia, 
              egli si infatuò delle “idee marxiste” senza, però, lasciarsi 
              “incantare” dagli scritti di Engels sulla dialettica della natura: 
              Solzenicyn (laureato in scienze matematiche) considerava con 
              “ironia” le idee di Engels sulle scienze naturali e sulla 
              matematica. Sebbene nel 1941 fosse partito volontario per la 
              “guerra patriottica” (tra l’altro è stato anche pluridecorato) lo 
              scrittore non condivideva l’entusiamo per Stalin verso il quale 
              espresse alcune riserve critiche in una lettera che fu la causa 
              del suo arresto nel 1945: fu condannato al Gulag per “carenza di 
              ideali sovietici”. Dopo un anno di soggiorno nel mondo 
              concentrazionario, Solzenicyn si “purificò interamente” 
              dall’ideologia, approdando a quelle “idee chiare” sul comunismo 
              sovietico e sulla Russia che coerentemente ha sostenuto nella sua 
              vita successiva e nelle sue opere. Dopo otto anni di Gulag e tre 
              di confino, nel 1957, all’epoca del disgelo cruscheviano, 
              Solzenicyn fu riabilitato e accolto come membro dall’Unione degli 
              scrittori dell’Urss. Tuttavia dovette attendere il 1962 per 
              pubblicare “Una giornata di Ivan Denisovic” sul numero 11 della 
              rivista Novij Mir, il suo primo breve romanzo che è anche la prima 
              opera pubblicata in Urss sull’universo concentrazionario.
 
 I successivi romanzi sullo stesso tema (“Divisione cancro” e “Il 
              primo cerchio”), pubblicati all’estero e diffusi in Urss dai 
              “battaglioni del samizdat”, ridussero di nuovo Solzenicyn alla 
              condizione di “scrittore clandestino” che, insieme a Sacharov, era 
              destinato a diventare una delle “colonne” della stagione del 
              dissenso. La reazione ostile del potere sovietico fu immediata: 
              nel 1969, infatti, venne espulso dall’Unione degli scrittori. Nel 
              1970 gli fu conferito il premio Nobel per la letteratura, ma non 
              si recò a Stoccolma a rititarlo per timore di non poter più 
              rientrare in Urss. Nel 1971 Solzenicyn pubblicò, sempre 
              all’estero, “Agosto 1914”, primo “nodo” de “La ruota rossa” 
              un’opera sconfinata sulla genesi e sulla storia della rivoluzione 
              russa che ha richiesto un lavoro decennale. Quest’opera è stata 
              parzialmente tradotta in italiano (“Agosto 1914” nel 1972 e “Lenin 
              a Zurigo” nel 1976 e nel 1995); esiste tuttavia una traduzione 
              integrale in francese: “La Rue rouge” (Paris, Fayard 1984-1993).
 
 Nel 1973 il Kgb entrò in possesso del manoscritto di “Arcipelago 
              Gulag” e Solzenicyn ne autorizzò la pubblicazione all’estero (in 
              Italia è stato riedito nel 2001 per I Meridiani, Mondadori). Quale 
              “saggio di inchiesta narrativa” e opera polifonica, il libro di 
              Solzenicyn dimostra che il Gulag è scaturito dall’“interno” del 
              sistema sovietico ed è stato ad esso consustanziale: l’universo 
              concentrazionario non è stato il prodotto della “cannibalica” 
              stagione staliniana, ma un inferno rovesciato (nel quale i 
              migliori e gli innocenti erano collocati nei gironi inferiori) 
              creato da quella selezione al contrario operata dal potere 
              comunista, a cominciare da Lenin. Nel 1974, con un decreto del 
              Soviet supremo lo scrittore venne espulso dall’Urss; nello stesso 
              anno, pubblicò due importanti saggi, “La tribù istruita” e 
              “Pentimento e autolimitazione”, nel volume collettaneo “Voci da 
              sotto le macerie” (edito in italiano nel 1981), che comprendeva 
              interventi di altri esponenti del dissenso (tra cui M. Agursky e 
              I. Safarevic).
 
 Con l’espulsione dall’Urss finiva il periodo sovietico 
              dell’esistenza di Solzenicyn e cominciava il periodo americano: 
              nel corso di un ventennio lo scrittore ha vissuto in una sorta di 
              autoesilio nel Vermont, ricreando una piccola Russia in America. 
              L’intervento pubblico di rilievo del periodo americano è “Un mondo 
              in frantumi”, il discorso tenuto all’Università di Harvard nel 
              1978, nel quale Solzenicyn denunciava la capitolazione 
              dell’Occidente di fronte all’Urss, pur di mantenere lo statu quo 
              della distensione: sei decenni di dominio sovietico erano stati 
              per i russi una “scuola di spiritualità” incomparabilmente più 
              alta di quella dell’Occidente, che con il suo vagheggiamento 
              “debilitante” dello statu quo manifestava i sintomi di una società 
              che, cresciuta nel “culto del benessere materiale”, era “arrivata 
              alla fine del suo corso” (il discorso di Harvard è stato 
              pubblicato in Italia nel 1981 in “L’errore dell’Occidente”).
 
 Dopo il collasso dell’Urss, Solzenicyn è tornato in Russia nel 
              1994, inaugurando il periodo russo della sua esistenza. In una 
              serie di scritti pubblicistici, egli ha denunciato lo stato 
              preagonico della Federazione russa nel decennio el’ciniano, quale 
              nuova “epoca dei torbidi” caratterizzata da una caotica 
              molteplicità di poteri e da riforme economiche catastrofiche. Alla 
              questione della Russia postsovietica, Solzenicyn ha dedicato un 
              trittico: “Come ricostruire la nostra Russia?” (edito in Italia 
              nel 1990), “La questione russa alla fine del XX secolo” (edito in 
              Italia nel 1995) e “La Russia sotto le rovine” (non ancora 
              tradotto in italiano, ma pubblicato in Francia da Fayard con il 
              titolo “La Russie sous l’avalanche”). L’altro idolo polemico di 
              Solzenicyn è, ancora una volta, l’Occidente che ha creduto alla 
              “leggenda” della Russia el’ciniana democratica, quale ulteriore 
              giustificazione dell’impegno globale della superpotenza americana 
              (a tal proposito, lo scrittore ha firmato un appello contro 
              l’intervento della Nato in Kosovo). Nel luglio 2001 Solzenicyn ha 
              pubblicato “Duecento anni insieme” (1795-1995) una ricerca storica 
              sulla vicenda del popolo ebraico in Russia che, come afferma lo 
              stesso scrittore nella premessa, intende far luce, senza reticenze 
              e senza polemiche, sul concreto svolgimento dei fatti storici.
 
 1 marzo 2002
 
 (da Ideazione 1-2002, gennaio-febbraio)
 
 
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