Osama bin Laden ha le ore contate?
di Giuseppe Mancini
Sembra non ci siano più dubbi: la mente diabolica, l'intelligenza raffinata, l'animo spietato dietro l'offensiva terroristica di New York e Washington non può essere che Osama bin Laden. Intercettazioni, operazioni purtroppo tardive (colpevolmente tardive) d'intelligence, i primi arresti e riscontri smontano le congetture che, a caldo, hanno debordato nell'inverosimile e nel fantapolitico: i servizi segreti di Milosevic, assetati di vendetta per le bombe sulla Serbia e per le sorti del loro leader prigioniero all'Aja; i terroristi giapponesi dell'Armata rossa, eredi di un indomito spirito bellicoso ed attizzati dalla crisi economica dirompente nel paese del Sol levante; il nemico interno, le milizie ed i fondamentalisti anti-statalisti che combattono l'immaginario Moloch incarnato dalla burocrazia federale. Ma solo lo sceicco saudita possiede gli appoggi logistici, la pecunia che è nerbo d'ogni battaglia, le saldature con altri gruppi terroristici sparsi per il mondo (dalla Palestina al Libano, dall'Algeria al Kashmir, dalle Filippine allo Yemen, con nuclei attivi anche in Europa e nelle Americhe), la determinatezza vendicativa necessari a compiere operazioni belliche in piena regola.
Già reclutato, addestrato, armato e foraggiato dalla Cia per combattere l'invasore sovietico in Afghanistan, bin Laden ha trovato rifugio nell'Emirato dei Talebani. Grazie alle nuove tecnologie informatiche, dal suo quartier generale che funge anche da campo di addestramento per migliaia di reclute, Osama bin Laden è riuscito a creare un network, denominato non a caso al Qaida (la Rete), per coordinare ed amalgamare un tremendo potenziale distruttivo: le risorse finanziarie che circolano nei paesi del petrolio, le capacità organizzative ed operative dei reduci della guerra afgana contro l'Unione Sovietica (1979-1989), la manovalanza palestinese votata al suicidio, il cemento del fanatismo ammantato di religiosità, la disperazione collettiva che nasce dal mancato sviluppo economico e da cronici problemi politici (Palestina, ma non solo). Oltre all'indiscussa popolarità di eroe combattente di cui gode tra le comunità islamiche (non solo in Medio Oriente ma anche negli stati occidentali): un nuovo Saldino rispettato, temuto, a volte venerato ed osannato, "Amir al Muaminun" ("Principe dei credenti", come viene chiamato dai suoi seguaci). Un'organizzazione nata con l'obiettivo di espellere le forze armate statunitensi dall'Arabia Saudita, dove stazionano massicciamente dai tempi della guerra contro Saddam Hussein: un'invasione, per i musulmani più intransigenti, dei luoghi santi dell'Islam. Ma questo obiettivo originario è stato successivamente superato in un'escalation di ambizioni: colpire gli Stati Uniti, Israele ed i loro alleati (compresi i musulmani moderati) dovunque, per annientarli.
George W. Bush ha trovato un nemico: gli basta darlo in pasto alla Nazione, che non chiede altro. Ha già parlato, come fece Ronald Reagan, della lotta tra Bene e Male; col Bene destinato a trionfare, come già è avvenuto. Osama bin Laden, imperatore del Male: da colpire con ogni mezzo militare a disposizione, meglio se con gli alleati, quelli di sempre come la Nato e forse alcuni stati del Golfo, quelli occasionali come la Russia e forse la Cina (del resto, il gruppo di Shangai - a guida russo-cinese assieme a Kazakstan, Kirghizstan e Tagikistan - ha come scopo fondamentale, la lotta al terrorismo che si richiama all'Islam, quello ceceno ed afgano che tracima in Russia ed Asia centrale). Ma le ritorsioni, le rappresaglie, eventualmente le invasioni, non possono e non debbono bastare. Non bisogna dimenticare che il terrorismo nasce anche da problemi politici: nel caso specifico, il sottosviluppo economico di tutti i paesi (Turchia non più esclusa) del Medio Oriente, il conflitto palestinese. Solo se la politica internazionale, ossia Stati Uniti ed Europa, troveranno soluzioni di lungo periodo a questi problemi, la lotta contro il terrorismo non si risolverà in una sfida sanguinaria a chi uccide di più.
14
settembre 2001
giuse.mancini@libero.it
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