We, the Americans
di Pierluigi Mennitti
Difficilmente noi occidentali possiamo arrivare a comprendere l'abisso di follia che alberga nelle menti di uomini che pianificano e mettono in pratica massacri come quelli di New York e Washington. Difficilmente il nostro modo di pensare da occidentali può penetrare il buio profondo in cui quei terroristi sono immersi. Non possiamo. Né dobbiamo. Non possiamo perché siamo figli di una tradizione troppo diversa, fatta di libertà, di fiducia, di amore e anche di guerra, ma di guerra leale, aperta che guarda in faccia il proprio nemico: quando può, dritto negli occhi. Non dobbiamo perché quegli abissi, quel buio non è il nostro. E' un buio che lotta contro di noi, contro la nostra civiltà. Non è conflitto, non è contestazione, non è neppure guerra. E' barbarie. Vigliaccheria. Cinica, sofisticata, elaborata, ma sempre barbarica vigliaccheria. Non abbiamo capito l'Olocausto e la barbarie dei campi di concentramento nazisti. Non potevamo, né dovevamo. Quel buio, quell'abisso sono tornati.
Da cinquant'anni il mondo occidentale vive in pace e benessere. E' la nostra pace e il nostro benessere, beninteso. Lo abbiamo conquistato con il sangue e con il dolore, superando esperienze totalitarie che hanno segnato il corpo dell'Europa, le cui cicatrici sono state cancellate solo dieci anni fa. Ma lo dobbiamo, in gran parte, ai padri e ai nonni di quegli uomini che sono stati uccisi martedì scorso, disintegrati all'interno degli aerei o sbriciolati assieme alle macerie degli edifici. Lo dobbiamo agli americani, che hanno combattuto il nazismo e il fascismo e hanno retto la diga contro il comunismo. La nostra democrazia, le nostre libertà, politiche ed economiche, vengono da lì. Le torri gemelle erano anche le nostre torri. Quel centro del commercio era anche il nostro centro del commercio, non solo in senso simbolico, dato che uffici di aziende italiane erano ospitate al loro interno. Già in tanti hanno fatto riferimento al discorso che J.F. Kennedy tenne a Berlino all'indomani della costruzione del Muro, quando il presidente americano si disse un berlinese, dunque un europeo. Tocca a noi, adesso, dirci americani e difendere con tutti i mezzi possibili la nostra civiltà occidentale in pericolo.
Eravamo in guerra e non ce ne eravamo accorti. Lo scontro delle civiltà è già in atto da qualche tempo, ben prima che diventasse uno slogan alla moda. E' necessaria la calma dei forti, quella che le democrazie sanno mantenere anche nei momenti più duri, anzi soprattutto in quelli, perché hanno il sostegno delle proprie opinioni pubbliche e guardano in faccia il nemico quando devono colpire. Colpiremo quando il nemico sarà ben chiaro. Ma colpiremo pronti a giocare il nostro ruolo in prima linea, ben sapendo che la difesa di una civiltà impone fermezza, coraggio e anche sacrificio. Per la nostra generazione si tratta di un momento delicato e difficile. E' la prima volta che avvertiamo in maniera evidente che quella libertà nella quale abbiamo vissuto e alla quale teniamo più di ogni altra cosa non è un bene dato per sempre. Va difeso. Giorno per giorno. Attimo per attimo. Faremo la nostra parte, dando forza alle azioni militari che l'Occidente vorrà prendere e lavorando politicamente per creare altri cinquant'anni di libertà, democrazia e benessere.
12
settembre 2001
pmennitti@hotmail.com
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