L'Occidente e i suoi nemici
di Luciano Priori Friggi
Lo scrittore Arthur Miller così ha commentato l'attacco terroristico alle Twin Towers: "E' stata un'azione contro il genere umano, un'azione contro la vita". Non c'è dubbio che in ultima analisi di questo si è trattato. L'attentato poteva anche essere organizzato con un'ora di anticipo e si sarebbero risparmiate tante vite umane, ma si è scelto il massacro. E l'orrore con il passare dei giorni non accenna a diminuire. Tuttavia crediamo sia giunto il momento di tentare una qualche riflessione sul perché. La risposta più immediata che viene alla mente è addossare la colpa ai palestinesi. La prima rivendicazione, peraltro prontamente smentita, è stata del resto del Fronte democratico di liberazione della Palestina. Ma, con le notizie che abbiamo, a tutt'oggi sembrerebbe di dover escludere questa ipotesi. Ci sono anche altre ragioni: un coinvolgimento diretto dei palestinesi sarebbe un colpo durissimo alla loro causa; le modalità degli attentati, i tempi della gestazione, ecc. rimandano a strutture organizzative ben più solide e raffinate.
L'ipotesi succedanea è che a progettare ed eseguire l'attacco sia stato qualcuno per loro conto. In questo modo un'organizzazione terroristica legata al mondo arabo avrebbe dato un avvertimento forte agli Usa nella direzione di una soluzione della crisi mediorentale. Ma questa ipotesi non ci convince, anche se l'effetto finale potrebbe risultare proprio questo. Un candidato alternativo è l'Irak di Saddam Hussein. Ma viene spontaneo chiedersi come uno stato, sottoposto a sanzioni durissime di cui chiede la sospensione, possa impelagarsi in una simile azione.
In questo momento il miliardario saudita bin Laden è l'indiziato principale. Ha smentito di essere il finanziatore e l'organizzatore degli attentati, ma li ha approvati. E' da questo elemento, l'unico davvero certo, che dobbiamo partire. Bin Laden non è un terrorista qualsiasi, è una vecchia conoscenza degli americani. Suoi adepti sono stati infatti addestrati proprio in Occidente nel quadro della guerra russo-afghana in funzione anticomunista. Ma finita la guerra sono tornate in primo piano le diversità ideologiche. Si è letto che in particolare l'odio antiyankee sia nato in lui nel momento in cui i soldati americani, gli infedeli, hanno calpestato i luoghi sacri dell'Islam nel corso della guerra contro l'Irak. Per un occidentale è difficile capire in profondità la portata dell'affronto. In ogni caso la giustificazione non ci convince.
Il problema vero che sta alla base di quanto è successo crediamo sia un altro. Forse ci sbagliamo - e questa volta ne saremmo anche felici - ma per chi scrive l'attentato è ascrivibile alla lotta che sta montando in tutto il mondo contro la globalizzazione. Da un paio di anni a questa parte nei paesi più ricchi scorre un vento di guerra civile di tipo nuovo, anche se i protagonisti sono spesso gli stessi di un tempo. Secondo gli antiglobalizzatori il nemico non è esterno - un altro stato - ma al proprio interno. E' il vecchio concetto di lotta di classe che risorge riverniciato e corretto, ed edulcorato dall'ormai impresentabile prospettiva del paradiso comunista. Non bisogna dimenticare che in Occidente la lotta alla globalizzazione ha due facce, quella della legalità e quella dell'illegalità, fatta di guerriglia e di attentati. Ma quanto accaduto a New York non avrebbe mai potuto essere concepito, organizzato ed eseguito da occidentali. Il movimento qui è agli inizi e presenta una larghissima maggioranza di persone assolutamente pacifiche. Anche nelle sue punte più estreme non è andato al di là dei pacchi bomba. E, fatto non secondario, manca nel nostro humus la cultura del sacrificio della propria vita come mezzo tra tanti per raggiungere un obbiettivo politico.
Nel mondo islamico invece, a partire dagli anni Ottanta, è iniziata in alcune sue frange una lotta contro la modernità, rappresentata nelle sue punte massime dagli Stati Uniti, che ha assunto una dimensione via via crescente parallelamente allo svilupparsi dei movimenti politico religiosi integralisti. Per loro l'Occidente e la globalizzazione sono il demonio e gli Usa il grande satana. Con l'avvento di Internet l'odio si è tramutato in desiderio di aggressione e di distruzione. Non è un caso che in molti paesi islamici sia proibito collegarsi alla rete. La paura è la perdita della propia identità, minacciata dalla facilità di accesso alla pluralità delle informazioni e delle idee. E' una lotta disperata - perché alla lunga perdente - contro la scienza, l'innovazione, il mercato e la democrazia.
Le due torri erano il simbolo della globalizzazione, per questo sono state colpite. Ci si poteva limitare altrimenti a soli obbiettivi militari o politici. Dentro le due torri, come l'elenco dei morti ci ha ricordato, vi lavoravano e vi si ritrovavano ogni giorno persone provenienti da tutto il mondo. Al momento i paesi interessati sono ben 62. E solo così che si può spiegare anche la provenienza multinazionale dei kamikaze, a volte di cultura superiore alla media, vestiti all'occidentale e perfettamente integrati nel nostro mondo. Come da noi negli anni del terrorismo, a voler fare la rivoluzione non c'erano i proletari (oggi "i disperati della terra") ma giovani, spessissimo di famiglia borghese e alto-borghese, imbottiti di studi e d'ideologia e mimetizzati tra la gente comune.
Come sanno bene coloro che combattono la mafia questa colpisce in alto solo se il suo obiettivo è isolato, soprattutto a livello politico. Le manifestazioni anti-global in Occidente sono state nella sostanza manifestazioni antiamericane, con un attacco concentrico di dimensioni impressionanti verso tutto ciò che proveniva da oltreoceano. Non si sono salvati neppure i panini della McDonald's. I radicali hanno descritto molto bene questo clima: "Per mesi, dalle prime vicende del cosiddetto popolo di Seattle all'incredibile svolgimento della Conferenza di Durban, abbiamo assistito ad un vero e proprio film dell'orrore, in cui gli Usa erano inchiodati nel ruolo di imputati di tutti i mali del mondo dalle requisitorie di pubblici ministeri inattendibili, che avevano il volto di Fidel Castro, di Jiang Ze Min, e dei titolari pro tempore delle più infami dinastie dittatoriali arabe e mediorientali. Oggi, chiunque dovrebbe con onestà riconoscere che agli Stati Uniti spetta il ruolo e il rango della vittima: e di una vittima che va difesa, aiutata e ringraziata."
All'Occidente, ai paesi arabi e al resto del mondo spetta in primo luogo il compito di sradicare in ogni modo il terrorismo che sta dietro a quest'ultimo attentato teroristico. Ma a tutti coloro che condividono i valori che l'Occidente ha prodotto in particolare in questi ultimi 200 anni - e sono valori universali - spetterà il compito di impedire che l'isolamento dell'America, nelle forme in cui è avvenuto di recente, possa accadere di nuovo.
21
settembre 2001
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