| 
      
      Bioetica e nuovi steccatidi Lucetta Scaraffia
 da Ideazione gennaio-febbraio 2004
 
 Il dibattito sui limiti o sulle libertà da stabilirsi nei confronti delle 
      pratiche di fecondazione assistita non è certo esaurito, ma la votazione 
      dell’ultima legge ha costituito un momento importante della discussione, 
      per molti aspetti addirittura una svolta. Infatti, anche se i toni sono 
      stati molto accesi – come sempre quando si tratta di vita e di morte – 
      sono andate in pezzi molte tradizionali contrapposizioni: fra uomini e 
      donne, fra laici e cattolici, fra destra e sinistra. Grazie soprattutto al 
      direttore de Il Foglio Giuliano Ferrara – che ha aperto sul suo quotidiano 
      un dibattito coraggioso e senza preconcetti – non si può più ricorrere 
      allo schema che vede “intellettuali e scienziati” contrapposti a 
      “clericali e conservatori”. La questione infatti è stata posta da Ferrara 
      come centrale, che tutti devono discutere, perché riguarda l’umanità di 
      oggi e ne definisce il rapporto, teorico e concreto, con il futuro. E su 
      questo tema intellettuali, anche di sinistra, hanno osato pronunciarsi a 
      favore di una legge che pone alcuni limiti. Opponendosi all’idea che 
      queste scelte appartengano all’individuo e alla sua sfera morale privata, 
      e che quindi lo Stato non possa esercitare un ruolo di guida nelle scelte 
      etiche.
 
 E’ venuto così in luce come al centro del dibattito, più che il desiderio 
      di concepire un figlio per coppie sterili, ci sia l’idea di esaudire ogni 
      desiderio, a qualsiasi costo. La nuova utopia è infatti quella 
      scientifica, cioè la speranza che la scienza non soltanto permetta di 
      eliminare – se non la morte – ogni tipo di dolore e di frustrazione, ma 
      consenta anche di esaudire i nostri desideri. Non solo si vuole sopprimere 
      il dolore della malattia, ma anche quello che deriva dal mancato 
      esaudimento di un’aspirazione come la maternità e la paternità, nonché il 
      dolore di avere un figlio non perfetto, da accudire e assistere invece che 
      da esibire come un “bel prodotto”. Per realizzare questa utopia alcuni 
      sembrano disposti a tutto, anche a un cortocircuito fra l’irrazionalismo 
      più totale, cioè l’assolutizzazione di un desiderio, e la tecnologia più 
      avanzata. Cosa sarà di questi bambini disperatamente desiderati e poi 
      gelidamente costruiti da un medico, che sceglie gli embrioni migliori, 
      magari conservati per anni nel gelo? Come possono gli aspiranti genitori 
      far coesistere il desiderio primitivo e antichissimo di avere un figlio 
      del proprio sangue nel quale ravvisare somiglianze (ma non debolezze) 
      ataviche e la più avanzata tecnologia?
 
 La questione è molto complessa e non facilmente definibile in base alla 
      dialettica tra “progressisti” e “oscurantisti”. Da parte di chi non vuole 
      porre limiti alla sperimentazione scientifica molte sono infatti le 
      contraddizioni non risolte e gli equivoci non chiariti. Per esempio, la 
      posizione dei Verdi e degli ecologisti, da anni impegnati nella critica a 
      una modernità solo acquisitiva, dove la dimensione tecnologica sembra 
      divorare quella umana. Questi, mentre vegliano sulle manipolazioni 
      genetiche di cavolfiori e fragole, davanti a quelle umane si aprono a ogni 
      tipo di “progresso”. L’utopia scientifica dell’uomo che si mette al posto 
      di Dio e che promette di assicurare, se non la felicità, almeno la 
      rimozione del dolore, è troppo forte anche per loro, che si dipingono 
      votati a resistere alle lusinghe della modernità. La procreazione 
      assistita promette infatti di esaudire un desiderio, ed esaudire i 
      desideri è considerata la formula sicura per la felicità su questa terra. 
      E davanti al mito della felicità individuale anche i Verdi, severi 
      difensori di cavoli e zanzare, perdono la testa.
 
 Ma non sono gli unici disposti a travolgere i loro principi per difendere 
      a oltranza la libertà individuale: ci sono anche le femministe, dimentiche 
      di avere manifestato per anni al grido “giù le mani dal corpo delle 
      donne”, che non sanno vedere come la procreazione assistita costituisca 
      proprio un momento essenziale di questa espropriazione. A differenza di 
      quanto hanno detto molte femministe nell’ultimo dibattito, infatti, è 
      proprio l’ingegneria genetica a togliere alle donne l’esclusiva della 
      maternità e a tramutarle in uteri consenzienti, in cui degli scienziati 
      inseriscono come un prodotto l’embrione, scelto e manipolato da loro. La 
      lotta contro la legge che regola la fecondazione assistita non è quindi il 
      prolungamento di quelle fatte per reclamare l’ultima parola alle donne a 
      proposito di natalità e aborto, ma tutto il contrario. La fecondazione 
      assistita toglie infatti alle donne la centralità nella procreazione, 
      restituendola – rivestita scientificamente – all’uomo. Ma anche per le 
      femministe queste contraddizioni svaniscono davanti all’unica utopia di 
      felicità dell’uomo moderno: quella di controllare il più possibile il 
      destino ed esaudire tutti i propri desideri.
 
 Così come una evidente contraddizione è stata rilevata da Antonio Socci 
      nel corso del dibattito tenutosi a Excalibur su questo tema, quando 
      Giovanna Melandri non ha voluto rispondere alla domanda: “Perché gli 
      embrioni non si possono vendere, ma si possono eliminare, cioè uccidere?”. 
      Tutte le pratiche della procreazione assistita eterologa, nonché l’affitto 
      dell’utero, sono infatti palesemente contradditorie: da una parte è 
      vietato vendere ovuli e spermatozoi (come ogni pezzo del proprio corpo) e 
      farsi pagare per ospitare una gravidanza estranea nel proprio utero, 
      dall’altra queste pratiche avvengono continuamente in cambio di un 
      cospicuo “rimborso spese”. Anzi, negli Stati Uniti affittare l’utero è 
      diventata una professione ben remunerata, come prova il caso di una donna 
      che ha già affrontato dieci gravidanze in affitto, e per l’undicesima ha 
      alzato le tariffe. Non ha tutti i torti: ha un buon curriculum, è una 
      seria professionista e siamo sicuri che non avanzerà mai diritti sui 
      bambini portati in grembo. Individuare queste contraddizioni e discuterne 
      con onestà ci può far capire meglio in che direzione la nostra società si 
      sta avviando.
 
 13 febbraio 2004
 |