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      Anche i francesi bocciano Prodidi Stefano Caliciuri
 
 “Crede di essere un genio incompreso, ma fa ridere tutto il mondo”, 
      soprattutto ora che “dimentica l’Europa e pensa di nuovo all’Italia”. Sono 
      alcune delle definizioni con cui quarantuno giornalisti francesi hanno 
      sintetizzato il loro giudizio nei confronti di Romano Prodi. Il risultato 
      pubblicato sulla testata transalpina L’Expansion rivela come il professore 
      bolognese non venga più considerato attendibile, celando la veste di 
      presidente della commissione europea sotto quella di leader 
      dell’opposizione italiana di governo. Non aver svolto seriamente fino in 
      fondo l’impegno in Commissione ha spinto i giornalisti francesi a 
      stroncare l’immagine di Prodi, soprattutto dopo aver ufficializzato un 
      chiaro coinvolgimento elettorale, non risparmiandolo da critiche, così 
      come neppure da pesante sarcasmo. Se sul fronte europeo essi sono convinti 
      che “lascerà il ricordo di un bravo funzionario ma non certamente di uno 
      statista”, si chiedono anche “come abbia potuto essere Primo ministro per 
      così tanto tempo” e per quale motivo in Italia “possa vantare una così 
      buona reputazione”. Tra le maggiori accuse rivoltegli, spicca la scarsa 
      propensione alla comunicazione e l’aria flemmatica, caratteristiche che, 
      secondo i giornalisti francesi, scalfiscono la credibilità di un leader, o 
      presunto tale che si creda. Un ritratto che, a prescindere dalla persona, 
      non giova naturalmente all’Italia, caricaturizzata spesso proprio con 
      l’immagine di Romano Prodi.
 
 A salvare la patriottica gloria ci ha però pensato Mario Monti, 
      commissario alla concorrenza, che, grazie alla tenacia ed 
      all’inflessibilità dei suoi interventi, lo fanno apparire come un uomo 
      “tutto d’un pezzo” che “non cede di fronte a nulla”. L’unica pecca: non 
      riuscire “a vendere il suo lavoro così bene come il suo predecessore, il 
      belga Karel Van Miert”, gettandogli addosso un’aria “arrogante e noiosa”. 
      Caratteristiche diametralmente opposte a quelle che la giuria ha riservato 
      al commissario transalpino Michel Barnier (Politiche regionali e riforme), 
      definendolo un “uomo di Chirac” troppo “pomposo e comunicatore, adatto 
      alla Francia ma non all’Unione europea”. Difesa a spada tratta invece per 
      il secondo commissario transalpino, Pascal Lamy (Commercio), capace di 
      “tenere testa agli americani” e “difendere prima di tutto gli interessi 
      dell’Europa”. Riuscirà a portare a termine il mandato “in maniera solida, 
      nonostante il vertice di Cancun”. Tra i migliori anche il portoghese 
      Antonio Vitorino (Giustizia e affari interni) che riesce a dare sempre la 
      precedenza agli interessi comunitari generali. Cosa di cui non 
      sembrerebbero capaci la spagnola Loyola de Palacio (vice presidente 
      commissione europea con delega a trasporti ed energia) e la greca Anna 
      Diamantopoulou, forse per una malcelata voglia di tornare alla politica 
      attiva nei loro rispettivi paesi. Solidarietà viene invece espressa a 
      Pedro Solbes (politiche economiche) per “l’impegno con cui cerca di far 
      applicare il patto di stabilità”, nonostante “Francia, Germania e caso 
      Eurostat”. “Tiepidi” i commenti per l’austriaco Franz Frischler (pesca e 
      agricoltura) e l’anglosassone Chris Patten (relazioni esterne), “bravo 
      comunicatore” pur essendo intrappolato “tra l’essere anti-americano e la 
      guerra in Iraq”. Ma il vero vincitore morale dell’inchiesta transalpina è 
      certamente il teutonico Gunter Verheugen (allargamento), riuscito in un 
      intento che sino a qualche anno fa pareva pressoché impossibile: estendere 
      i confini europei al di là dei Balcani.
 
      
      7 maggio 2004
 stecaliciuri@hotmail.com
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