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      L'inutile litigio post-elettoraledi Pierluigi Mennitti
 
 E’ bastato scendere dal cielo del voto europeo alla terra di quello 
      amministrativo per misurare la crisi politica della Casa delle Libertà. Se 
      nel voto “generale” la coalizione di governo aveva sorprendentemente 
      tenuto, registrando solo un travaso di voti da Forza Italia agli alleati, 
      in quello “particolare” la sconfitta è stata a cascata e una dopo l’altra 
      sono cadute città e province, dal primo turno ai ballottaggi, fin dentro 
      le vecchie roccaforti del Polo. Poche, isolate eccezioni hanno avuto il 
      sapore di una vittoria personale, legata all’affidabilità di qualche 
      candidatura eccellente. Per il resto un’ondata rossa che ha trasformato il 
      panorama politico locale dell’Italia.
 
 La disfatta amministrativa coinvolge l’intera coalizione ma, sulla base 
      del risultato europeo, agli alleati è sembrato normale scaricare tutte le 
      colpe sul partito principale e sul suo leader. Berlusconi, per la prima 
      volta dalla sua discesa in campo, è sotto pressione non da parte dei suoi 
      avversari ma dei suoi alleati. Neo-democristiani e post-missini 
      soprattutto. I primi forti del successo proporzionale ottenuto alle 
      europee, dove il partito di Follini ha triplicato i voti delle precedenti 
      elezioni, i secondi di un piccolo punto percentuale in più ottenuto 
      contenendo l’emorragia a destra provocata da Alessandra Mussolini. Anche 
      la Lega scalpita da par suo. Gli alleati contestano al Carroccio - ancora 
      senza Bossi - la perdita del valore aggiunto al Nord, come dimostrerebbe 
      il fallimento di Milano. Ma i leghisti ribattono evidenziando la buona 
      performance europea, dove sono risaliti oltre la soglia del 5 per cento.
 
 Le conseguenze della sconfitta amministrativa hanno dunque cancellato la 
      sostanziale soddisfazione per il risultato europeo e, all’interno della 
      maggioranza, s’è aperta una furiosa guerra interna che al momento ha preso 
      il posto della necessaria riflessione. Tra gli alleati, An sembra puntare diritta alla poltrona del super-ministro dell’Economia, 
      quel Giulio Tremonti consolidatosi come puntello indispensabile dell’asse 
      Forza Italia-Lega. Ad An interesserebbe lo scorporo del dicastero per 
      acquisire competenze dirette sul Mezzogiorno. Piccole schermaglie 
      tattiche, mentre più politica appare l’offensiva dei neo-democristiani, 
      intenzionati a riproporre il sistema elettorale proporzionale per puntare 
      a un riequilibrio al centro del quadro politico italiano. Una sorta di de 
      profundis per una Seconda Repubblica mai nata con rimescolamento delle 
      carte e chiusura del ciclo berlusconiano.
 
 Non siamo più in una monarchia assoluta, ha detto qualche giorno fa Marco 
      Follini in un’intervista a Repubblica, rafforzando la richiesta di 
      maggiore collegialità all’interno della coalizione di governo. Al momento, 
      tuttavia, sembra che ogni partito reagisca per conto proprio alla 
      sconfitta elettorale, addossando agli altri il fardello del voto e 
      alimentando quella sensazione di scombussolamento generale che non giova 
      all’immagine del governo. E ancor meno alla sua sostanza. In questo 
      scontro continuo, in questa affannosa ricerca di mediazione, Berlusconi 
      rischia di logorare ancor più se stesso e la propria capacità di 
      leadership. Sarebbe il momento di azzerare le parole e di riflettere sulle 
      sfide che attendono il governo nei prossimi due anni e su come affrontarle 
      e vincerle. Bisogna averne la forza.
 
 1 luglio 2004
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