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      La coalizione senza desideridi Vittorio Mathieu
 
 Nessuno ha pretese e tutti prendono decisioni sagge. Follini rinuncia 
      all’appoggio esterno (senza garantire l’interno) e Cicchitto promuove una 
      gestione collegiale. Casini presiede nel gruppo misto e Montezemolo loda 
      la verifica “se rafforza il governo”. Fini rifiuta di scambiare un tesoro 
      con un ministero del tesoro, e Storace non pretende di cambiare 
      in una “a” la “o” del suo cognome. Bossi si ritira sotto la tenda. Lunardi accompagna Buttiglione a Bruxelles per ottenere che, in 
      favore dell’Alitalia, un Tesoro dissipato riceva il permesso di garantire 
      banche in dissesto. Dunque, non si vede di che cosa dovremmo preoccuparci. 
      Eppure siamo inquieti, abbiamo l’impressione che qualcosa non marci per il 
      verso giusto. Se avessimo un cuore, parleremmo di fibrillazione.
 
 Forse sarebbe meglio se ciascuno dicesse che desidera qualcosa, perché 
      così direbbe forse qualcosa di ragionevole, e forse lo si potrebbe perfino 
      soddisfare. Gianni Letta avrebbe modo di mettere a frutto le sue doti di 
      mediatore. Per contro, con questo vezzo di proclamare che non si pretende 
      niente, è difficile accontentare tutti. Berlusconi si trova spiazzato, 
      perché ha il difetto di essere tenero di cuore e di voler venire incontro, 
      se possibile, ai desideri. Ma venire incontro a desideri che non ci sono è 
      impossibile.
 
 Quando si sa di qualcuno che fa politica si presume che desideri qualcosa. 
      Magari non di rifare il Reich come Bismark – non sono più i tempi - ma 
      almeno di scavarsi una piccola nicchia, di crearsi una modesta rendita, di 
      farsi degli amici o almeno dei nemici. Si direbbe che non sia più così. Si 
      direbbe che i politici scendano in campo solo per difendere solo i grandi 
      princìpi, gli ideali, il destino dell’umanità tra molte generazioni. Ma 
      c’è un ma: c’è ancora uno sterminato numero di persone che non fanno 
      politica ma che, un anno sì e l’altro anche, sono chiamate a votare. Se 
      anche costoro cessassero di volere qualcosa la situazione sarebbe davvero 
      brutta.
 
      
      18 luglio 2004
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