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		Una sinistra senza idee. E con un chiodo fissodi Stefano Caliciuri
 [23 nov 04]
 
      
      Ormai si è allo scontro, ogni forma di dialogo bilaterale sembra 
		compromesso. E per questo il governo tira dritto per la sua strada, 
		incurante dei giudizi di una sinistra con i paraocchi. Con l’avvento 
		della Finanziaria, la discussione sulla permanenza delle truppe italiane 
		in Iraq è ormai passata in secondo piano. Ora all’ordine del giorno c’è 
		la revisione delle aliquote Irpef, a naturale realizzazione dello slogan 
		elettorale “Meno tasse per tutti”. Ma la sinistra non ci sta: critica 
		l’intervento del governo, lo accusa di favorire “pochi eletti”, contesta 
		cifre e percentuali, grida allo scandalo. Ma di ipotesi alternative 
		neanche l’ombra. In un confronto sincero il centrosinistra dovrebbe 
		affrontare l’argomento con numeri e proposte alternative, dimostrando 
		capacità e accuratezza contabile. Invece, tranne le solite frasi 
		utilizzate in qualunque occasione, a prescindere dall’argomento in 
		questione (“Berlusconi taglia ai poveri e regala ai ricchi”, “E’ una 
		riforma fatta per i poteri forti”), dai leader ulivisti non accenna ad 
		arrivare il benché minimo segnale di confronto. L’unico argomento su cui 
		si accapigliano e dimostrano di esser capaci di lavorare cavillosamente 
		riguarda il nome della coalizione: in otto anni il loro percorso, 
		partendo da Progressisti, ha raggiunto (forse) l’Alleanza, dopo una 
		lunga sosta sotto l’Ulivo. Questione di forma. Perché la sostanza non è 
		assolutamente mutata. 
 “Il primo dovere politico di tutti è dunque quello di contribuire ad 
		organizzare e unire le forze - politiche, sociali, culturali – per 
		battere il centrodestra e realizzare una alternativa”, cita testualmente 
		la mozione sottoscritta da Fabio Mussi e presentata al congresso Ds. Una 
		frase che meglio non poteva esprimere il concetto di “assembramento 
		esclusivamente anti-Berlusconi”. In guerra questo significherebbe 
		assumere chiunque fosse disposto a combattere pur di uccidere il nemico: 
		in sostanza la stessa tipologia di combattente che essi stessi 
		disprezzano ed a cui attribuiscono la definizione di mercenari. In 
		questo caso non importano gli ideali e le comuni ideologie, la 
		precedenza sta unicamente nel vincere, aggrapparsi al motto che giudica 
		lecito ogni mezzo pur di raggiungere l’obiettivo. In ogni confronto alla 
		pari è la strategia a far la differenza, progettata in tempi precedenti 
		e realizzata sul campo. La vittoria dovrebbe rappresentarne il 
		coronamento, non la base su cui costruirla. Sempre dalla mozione si 
		apprende che “la filosofia della destra (“meno tasse, meno regole, meno 
		Stato”) ha prodotto una politica che ha drammaticamente aggravato le 
		condizioni del Paese”. Se è vero che oggi l’Italia versa in uno stato di 
		crisi, esso non può assolutamente associarsi all’opera del governo 
		Berlusconi. Principalmente per due motivi. Da un lato basterebbe contare 
		gli anni in cui Berlusconi ha potuto “metter mano” ai bilanci statali. 
		Dal 2001 ad oggi è alla stesura della sua quarta legge finanziaria, 
		inserendo nel conteggio anche quella di transizione redatta nell’ultimo 
		anno di governo del centrosinistra.
 
 D’altro canto, l’insediamento di Berlusconi è coinciso con il dramma 
		terroristico che ha sconvolto le economie di tutto il mondo per un 
		biennio completo. Gli interventi veri e propri quindi sono stati 
		possibili soltanto a partire dal 2003, anno in cui l’attenzione 
		riformatrice è stata incentrata sul mondo dell’istruzione. Quando si 
		prende a modello l’incredibile accelerazione dei mercati asiatici, ad 
		esempio, si omette di ricordare la posizione di arretratezza da cui 
		partono. Aumentare la produzione in un paese al limite della 
		sopravvivenza è sicuramente più semplice, e percentualmente più 
		incisivo, rispetto ad una analoga operazione all’interno di una delle 
		potenze occidentali. Dire che il settore automobilistico in Cina è 
		cresciuto a ritmi impressionanti, mentre in Italia il trend segna un 
		indice negativo (in una situazione dove la seconda auto è oramai una 
		costante dalla famiglia media) non significa che lì si sta meglio che da 
		noi. Significa soltanto che se fino a ieri un cinese su mille poteva 
		viaggiare motorizzato, oggi lo possono fare in cinque.
 
 Francia e Germania, solo per fare due esempi cari al centrosinistra, 
		hanno indici settoriali praticamente simili ai nostri. Le borse di 
		Francoforte e di Parigi non “tirano” più come un tempo, mentre il caro e 
		vecchio Mib30 è stato sostituito proprio nell’ultimo anno dal S&P Mib, 
		che ha portato a quaranta i titoli contrattati, comprensivi anche di 
		alcuni estratti dal Nuovo Mercato. A sette mesi dalla tornata 
		elettorale, la campagna elettorale può considerarsi ufficiosamente 
		cominciata. Bisogna andare avanti così, proseguendo per quanto è 
		possibile con le riforme tributarie e rilanciando un’immagine forte 
		della nazione sul fronte estero. Con il nuovo anno poi bisognerà 
		concentrarsi sulla revisione della par condicio, ultimo sinistro 
		catenaccio verso la vera libertà d’espressione, soprattutto in un 
		momento come la campagna elettorale in cui la comunicazione rappresenta 
		l’unico strumento caratterizzante una democrazia. E ben venga se i 
		partiti del centrosinistra saranno ancora impegnati a disegnare simboli 
		o cercare acronimi che li mettano d’accordo tutti ed undici.
 
 27 novembre 2004
 
 stecaliciuri@hotmail.com
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