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      Il grande freddo dei “riformisti”di Pierluigi Mennitti
 [04 feb 05]
 
 Non si sentiva volare una mosca in quei secondi interminabili, dopo che 
      Fassino aveva pronunciato la frase madre di tutte le giravolte, quella 
      sull’Iraq, sulla resistenza e sugli otto milioni di votanti che grazie 
      alla guerra di Bush e dei suoi alleati s’erano gettati alle spalle gli 
      anni della dittatura saddamita intingendo le dita nell’inchiostro 
      elettorale. Non si sentiva volare una mosca, che se una mosca avesse 
      volato sarebbe stramazzata a terra stecchita per il grande freddo che 
      aveva avvolto l’immenso androne del Palalottomatica di Roma, da dove è 
      partita la lunga marcia della Gad e di Romano Prodi verso le Regionali di 
      aprile e le Politiche dell’anno prossimo. Gelo e silenzio, mentre il 
      segretario lì sul palco, fermo e ritto sulla schiena, e orgoglioso di 
      quella frase tanto impegnativa che mandava in soffitta mesi di cortei, 
      girotondi, happening, sfilate, eskimi, spry, slogan, stoffe arcobaleno, 
      attendeva un applauso, se non scrosciante almeno convinto da parte della 
      platea. Invece, non si sentiva volare una mosca.
 
 Se le svolte congressuali segnano lo spartiacque tra una politica e 
      un’altra, e quella di Fassino voleva evidenziare il passaggio dalla 
      sinistra di piazza alla sinistra di governo attraverso una responsabile 
      ammissione di pentimento sulla politica estera, bene questa svolta non ha 
      ricevuto il consenso della base. Non della base congressuale, i delegati, 
      figuriamoci della base elettorale, ancora ferma su posizioni più 
      oltranziste che nulla concedono alla tornata elettorale di Baghdad.
 
 Quello sull’Iraq è stato il passaggio più interessante dell’intervento di 
      Fassino, ed è stato ripreso il giorno successivo dal presidente D’Alema. 
      Lì c’è l’unica novità che può tingere di riformismo il programma politico 
      dei Ds, il partito guida dell’Alleanza progressista. Per il resto una 
      lunga, appassionata riproposizione dei temi cari al partito 
      post-comunista, che ha scoperto le virtù della socialdemocrazia proprio 
      quando questa entrava in crisi un po’ in tutta Europa. Al declino italiano 
      – ben inscritto in un declino continentale tanto asfissiante quanto dolce 
      – i Ds propongono le soluzioni difensive tipiche delle sinistre europee, 
      assai distanti però dal labourismo blairiano che è stata l’unica ricetta 
      capace di determinare rilancio e crescita economica. Su scuola, 
      formazione, giovani, stato sociale, Europa, rilancio dell'industria e 
      ripresa della crescita, Fassino non accende fantasie riformiste. Rinfaccia 
      le colpe al governo ma ribadisce ricette già sperimentate con poca 
      efficacia, riassunte dallo slogan pubblicitario che D’Alema lancia al 
      culmine del suo intervento: “Il nostro meno tasse per tutti deve essere 
      più salario per tutti”. E su questo l’applauso lo riceve.
 
 Tra tutti il più deludente è stato Prodi, che dall’assise diessina ha 
      ricevuto pubblicamente l’investitura della leadership. Sul versante della 
      politica estera non ha avuto il coraggio di Fassino e neppure quello 
      (assai minore, perché arrivato per secondo) di D’Alema. Ha riproposto la 
      versione europea della pace a tutti i costi, ignorando le novità irachene 
      e gli ultimi sviluppi interni all’Amministrazione americana, sui quali 
      sono destinati a misurarsi da oggi tutti i governi europei con le visite 
      del Segretario di Stato Condoleezza Rice e, nei prossimi giorni, del 
      presidente George W. Bush. Prodi ha invece ricalcato i grigi toni che 
      hanno caratterizzato la sua presidenza della Commissione europea, un 
      sostanziale anti-americanismo di fondo che maschera l’incapacità di aprire 
      un dialogo, fosse anche conflittuale. Ruolo dell’Onu, processo 
      israelo-palestinese, democrazia in Medio Oriente, questione iraniana: 
      nulla smuove le granitiche certezze del Professore. Sul versante 
      economico, invece, ha seguito il solco tracciato da Fassino, riproponendo 
      in buona sostanza la politica di gestione del declino proposta all’Italia 
      nel 1996. I caldi applausi dei delegati testimoniano la stima del popolo 
      dei Ds per l’unico personaggio che ha saputo battere Berlusconi negli 
      ultimi dieci anni. La sostanza dell’intervento prodiano, invece, evidenzia 
      come una vera e propria svolta riformista verso una sinistra moderna e 
      liberale sia ancora al di là da venire.
 
 Quanto al centrodestra, sarà bene che rimetta in moto la macchina politica 
      e offra agli elettori qualcosa di più del furbo tentativo di oscurare 
      mediaticamente l’assise dell’opposizione con una ristretta riunione di 
      partito. C’è una sensazione di grande vuoto politico che comincia a 
      preoccupare anche i candidati forti alle prossime Regionali. Formigoni, 
      Ghigo, Storace, Fitto hanno molte carte da giocare, ma le coalizioni che 
      li sostengono appaiono deboli e alcuni sondaggi non sono del tutto 
      rassicuranti. Come avviene ormai da tre legislature, la tornata regionale, 
      oltre ad assegnare una bella fetta di potere sul territorio, è un 
      trampolino per le Politiche dell’anno successivo. Esserselo ricordati con 
      tanto ritardo è un peccato che può essere pagato caro..
 
      
      4 febbraio 2005 
      
      pmennitti@ideazione.com 
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