La "svolta" di Prodi non incanta i consiglieri di
Bush
di Cristina Missiroli
[22 feb 05]
Avrà ragione Paolo Franchi che, sul “Corriere della Sera”, dà fiducia alla
“svolta” filo-americana di Romano Prodi? O coglierà nel segno Antonio
Polito che, dalle colonne del “Riformista”, mette in guardia dalla deriva
social-gollista del leader dell’Unione? L’ottimismo di Franchi si poggia
di certo su un legittimo auspicio, ma anche su basi tutt’altro che solide.
Un amichevole “welcome Mr. President”, in calce ad un articolo su
“Repubblica”, è troppo poco per arruolare il Professore tra gli amici di
Bush. Soprattutto dopo il voto contrario alla missione italiana in Irak,
fortemente voluto proprio da Prodi.
L’analisi del direttore del “Riformista” invece trova molti più riscontri
nella realtà. Secondo Polito sbagliano coloro che credono che l’Unione non
abbia una politica estera o che questa sia il tallone d’Achille della
coalizione. Prodi non solo ha in mente una strategia ben definita, ma
proprio la politica estera dovrà rappresentare nei suoi piani uno dei
cavalli di battaglia per la prossima campagna elettorale. Il prodiano
“riportiamo l’Italia in Europa”, non è uno slogan così per dire. E’
l’indice di una precisa volontà di riallineare Roma all’asse
Parigi-Berlino. Il dialogo con gli Usa, certo dovrà riprendere: ne è
convinto anche Prodi. Ma in una chiave decisamente antagonistica. Insomma
come scrive Polito, “niente è più alternativo al berlusconismo della
politica estera di Prodi”. Quel che teme però Polito è che le idee di
Prodi siano perfettamente chiare all’amministrazione americana.
Tanto chiare che, alla fine, Bush finirà per essere “il più forte alleato
di Berlusconi” alle prossime elezioni politiche. Il direttore del
“Riformista”, attento osservatore delle cose americane, sa bene che (per
la prima volta dopo tanti anni di disinteresse più o meno marcato) a
Washington si sono fatti un’idea molto precisa della situazione politica
in Italia. La teoria è semplice e rimbalza con inusuale frequenza in tutti
gli ambienti che in qualche modo influenzano la visione del presidente:
“Se a Roma ci fosse stato un governo diverso – dicono - l’Italia non si
sarebbe rivelata quell’alleato fedele che è stato”.
Lo ripetono nei colloqui informali molti tra i consiglieri al dipartimento
di Stato, lo spiegano nei corsi di relazioni internazionali all’università
professori come Shalini Venturelli dell’American University di Washington,
lo scrivono ripetutamente nelle loro note i ricercatori dei think-tank
conservatori più autorevoli come John Hulsman della Heritage Foundation.
Molti degli appunti che sono piovuti sulla scrivania del presidente Usa
alla vigilia del suo viaggio in Europa mettono in guardia Bush dal
rinascere della vecchia leadership franco-tedesca impostata su una
concezione dell’Europa come contropotere globale rispetto agli Stati
Uniti. E sottolineano il pericolo che, con un cambio di maggioranza, anche
l’Italia si riunisca a quell’asse. Particolare non del tutto gradito al
presidente.
22 febbraio 2005
missiroli@opinione.it
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L'opinione
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