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		La riforma del Patto di stabilità e le politiche del govenodi Alessandro Marrone
 [25 mar 05]
 
 Pochi giorni fa il Patto di Stabilità è stato modificato al fine di 
		lasciare maggiore margine ai governi europei per le loro politiche 
		economiche. Non cambia il limite al rapporto deficit/Pil ma sono ammesse 
		alcune deroghe: un paese può superare in modo “temporaneo e di lieve 
		entità” il tetto del 3% ed ha diversi anni a disposizione per rientrare 
		nel parametro, non vi sono sanzioni automatiche per lo sforamento ma una 
		decisione politica dell’Ecofin in merito. In cosa consista la “lieve 
		entità” non è specificato, ma sembra che un accordo informale tra i 
		governi fissi al 3,5 % il nuovo tetto da rispettare. Inoltre un paese 
		può ottenere tempi “rivisti e allungati” per ritornare sotto la soglia 
		del 3% se sta attuando riforme strutturali, e specificatamente una 
		riforma delle pensioni che introduca la previdenza integrativa.
 
 In tal modo diminuisce il ruolo deterrente svolto dai parametri del 
		Trattato di Maastricht contro la spesa pubblica nell’ultimo decennio, 
		specie in Italia dove per l’opinione pubblica il limite del 3% era 
		diventato una specie di totem inviolabile. Tale parametro era previsto 
		nel Trattato di Maastricht per forzare i governi a ridurre la spesa 
		pubblica fino al pareggio di bilancio, al fine di mantenere lo stock del 
		debito pubblico sotto la soglia del 60% del Pil. Il Patto è figlio 
		dell’interesse tedesco, spalleggiato dai francesi, a garantire all’Euro 
		una forza e una stabilità pari a quella del Marco, seguendo la decennale 
		politica anti-inflazionistica tedesca: perciò esso blocca con tali 
		parametri la “finanza allegra” italiana che ne minerebbe le basi, e 
		conferisce ad una Banca Centrale Europea indipendente la competenza 
		esclusiva su tasso di interesse e tasso di cambio.
 
 L’Italia aveva al momento dell’ingresso nell’Euro un debito pubblico 
		quasi doppio rispetto al limite consentito del 60%, ed è stata fatta 
		entrare con una decisione politica di Francia e Germania solo a patto di 
		rimanere sotto osservazione speciale quanto a deficit. I maliziosi 
		aggiungono anche a patto di acconsentire a priori ad ogni decisione 
		presa dall’asse franco-tedesco, come è di fatto avvenuto durante i 
		governi di centro-sinistra. Tale condizione di perenne “esaminanda” si è 
		accentuata durante gli anni del governo Berlusconi, grazie al clima 
		ostile che si respirava nei governi Schroeder e Chirac, nel circuito 
		mediatico vicino alla sinistra europea che cercava di aiutare 
		l’opposizione italiana, e non ultimo nella Commissione di Prodi. Ogni 
		anno dal 2001 al 2004 si rincorrevano voci da Bruxelles su sforamenti 
		italiani della soglia del 3%, su “early warning” in procinto di essere 
		emessi dalla Commissione, voci puntualmente rilanciate dai quotidiani 
		italiani e dall’opposizione che pronosticava bancarotta statale, 
		disastri economici e isolamento internazionale. Ogni anno il governo ha 
		rispettato la soglia del 3%, smentendo i profeti di sventura e i 
		commentatori interessati. Ogni anno Francia e Germania hanno superato 
		abbondantemente il limite senza grande chiasso, ed anzi con decisione 
		squisitamente politica l’Ecofin nel 2003 ha bloccato la procedura di 
		sanzione avviata verso di loro dalla Commissione Europea, segnando la 
		sconfitta della linea Prodi di rigida applicazione del Patto. Quella 
		decisione è stata la palese disapplicazione e sconfessione sostanziale 
		del Patto di Stabilità e dei suoi vincoli, e nel giro di un anno metà 
		dei paesi Europei, ma non l’Italia, hanno superato il tetto del 3% al 
		deficit pubblico.
 
 Di fronte a tale situazione il governo Berlusconi ha iniziato 
		dall’estate del 2004 una battaglia politica per riformare il Patto, 
		ormai inservibile sia per la stabilità che per la crescita, e man mano i 
		governi europei si sono schierati su questa linea. In Italia tale 
		dibattito è stato però completamente distorto: l’opposizione sostenuta 
		da gran parte dei media ha dipinto il governo come un paria dell’Unione 
		Europea che chiedeva una cosa impossibile e osteggiata da tutti i 
		governi, Prodi e i leader del centrosinistra hanno fatto a gara nel 
		prevedere il discredito europeo del nostro paese e il fallimento della 
		proposta italiana. Le modifiche al Patto approvate pochi giorni fa li 
		hanno smentiti di nuovo. Inoltre il governo ha ottenuto che non si 
		inasprisse l’atteggiamento verso il debito pubblico che, sebbene in 
		costante riduzione negli ultimi quattro anni dal 110% al 105,6% del Pil, 
		resta molto al di sopra dei limiti formalmente consentiti. Infine 
		l’Italia ha ottenuto con una “nota a verbale” all’accordo che si aprisse 
		la discussione sulla esclusione delle spese per infrastrutture dal 
		conteggio del deficit, vecchia proposta del Premier.
 
 La nuova sfida per il governo è ora l’utilizzo del margine di spesa 
		ottenuto, e due sono le strade possibili. O si cede alle lobby 
		corporative e si aumenta la spesa corrente ripiombando nella “finanza 
		allegra”, o si riducono le tasse e si finanzia la spesa per le grandi 
		opere, rispettando così gli impegni con gli elettori e rafforzando 
		l’economia e la modernizzazione del paese.
 
 25 marzo 2005
 
      
		alessandromar82@yahoo.it |