Il West Village dei liberali italiani
di Vittorio Macioce*
[28 mar 05]
Per i vecchi newyorchesi è il distretto, ma qualcuno lo chiama anche
West Village. Sembra un bel nome. E’ sulle rive dell’Hudson, una vecchia
piaga tra Chelsea e il Village, quello sdoganato 40 anni fa dalla
cultura beat. Solo che qui le anime liberal fino a qualche tempo fa non
mettevano piede. Era zona di macelli, marciapiedi, proletari gonfi di
birra, travestiti e puttane. Ora dicono che il distretto, il Village
occidentale sta cambiando pelle. Vent’anni fa – ricorda Jay McIrerney –
vivevo a pochi isolati di distanza dal district: vedevo omoni con
l’accento della periferia che si aggiravano con carcasse di bovini,
mentre al calare del sole c’erano lavoratori di un altro tipo che
passeggiavano sui marciapiedi. Ci misi un anno per capire perché quelle
amazzoni con i tacchi a spillo erano così alte e parlavano con voce
baritonale”. Ora non è più così. Il West Village sta imparando, a modo
suo, a fare cultura. Ci sono ancora i macellai e le puttane. E la
speranza è che ci restino ancora. Fanno parte della storia del West
Side, e non avrebbe senso nasconderli nei loft delle nuove utopie.
Il sapore del
West Village mi piace, perché le metamorfosi ti fanno sentire vivo.
Credo che ciò che a Ideazione e dintorni chiamano Right Nation abbia lo
stesso sapore. C’è una metamorfosi, che quelli come Macchianera
faticheranno a capire. La spinta che arriva da questa parte della
blogosfera viene da lontano. E’ un’onda culturale che la stessa
leadership politica e intellettuale della destra non ha visto e neppure
immaginato. Forse pensano tuttora di poterne fare a meno, convinti di
poter giocare la loro partita con i notabili di provincia, con le masse
televisive, con il popolo degli ex, quell’esercito di vecchi
democristiani, orfani socialisti, rimasugli di partito liberale, post
fascisti, post missini, tardi leghisti. Hanno pensato di poter cooptare
nel vecchio qualcosa di nuovo, ma sempre con le stesse cravatte, con un
curriculum da consulenti d’azienda, con la speranza di stare vicini al
potere e di assomigliargli.
Il West Village o la Right Nation italiana, chiamateli come volete, sono
un’altra cosa. Sono figli di quella tradizione che per decenni ha
combattuto a gruppi sparsi e minoritari, che non aveva utopie, e si
trovava fuori sincrono con i demoni del Novecento. E’ una tradizione che
pesca nei crocicchi, sulle linee di confine, nei buchi lasciati tra le
reti dei regimi, allargati di notte come facevano i fuggiaschi dell’ex
Ddr quando cercavano un varco di libertà oltre il Muro. E’ la tradizione
che ha gettato i suoi semi nell’America di Thomas Jefferson, nell’ansia
libertaria di Tocqueville, nella rivolta individualista e anarchica di
Stirner contro l’idealismo romantico. E’ il mercato etico di Adam Smith,
quel signore scozzese che prima di gettare le basi della scienza
economica era, non dimenticatelo mai, un professore di filosofia morale.
E’ il fascino con cui Werner Sombart raccontava la forza creatrice del
capitalismo, l’ansia di libertà del mercante, che cerca nel profitto,
più che l’egoismo personale, l’affrancamento delle servitù feudali. E’
la tradizione di chi non crede che la storia abbia una trama e un finale
già scritto, quindi non insegue il sole dell’avvenire e soprattutto non
ha la verità in tasca, perché solo i cattivi profeti spacciano per
scienza l’oroscopo delle stelle. E se in nome di quell’oroscopo fanno le
rivoluzioni non sono più astrologi ma assassini. E’ la tradizione di chi
ha detto no al totalitarismo, sia esso giustificato in nome della razza,
della classe, della nazione, della fede. E se volete anche del mercato
(o del dio denaro, come dicono a Est), ma quest’ultimo totalitarismo,
per quanto mi risulta, non c’è mai stato. E se per paradosso storico
dovesse materializzarsi una società di plutocrati che sacrifica tutte le
libertà in nome del benessere economico, noi saremmo anche contro di
loro. Tanto senza libertà economica non può esserci neppure benessere
economico. E’ ciò che in fondo ci ha sempre salvato. La cupidigia del
dio denaro non può essere assoluta, perché se cancella la libertà
cancella anche se stesso. Non c’è mercato senza libertà, e viceversa.
Anche la Cina dovrà scegliere. Non potrà a lungo continuare a servire
Pechino e Shangay. Ma questa è una parentesi.
Il West Village è cresciuto con le lezioni inutili di Einaudi, con la
società aperta e la scuola viennese, con gli economisti di Chicago e con
il liberalismo cattolico, con il federalismo anti-statalista (e non
anti-unitario) del risorgimento italiano, con la solitudine di un Bruno
Leoni, con tutti quelli che nel secondo dopoguerra non volevano morire
né comunisti né democristiani (ed avevano già combattuto il fascismo).
E’ la tradizione di chi ha visto uomini evocare tutti gli ideali del
Novecento per poi bruciarli nelle piazze, lasciando ai posteri ceneri e
macerie. E non si è mai sognato di propagandare le proprie idee con
Molotov e P38. E’ la tradizione di chi da bambino ha visto il mondo
diviso in due sfere d’influenza e quando per la prima volta ha guardato
ad Oriente del Muro ha visto uomini in divisa prendere a calci in bocca
un ragazzo solo perché cambiava i soldi in nero (Budapest, febbraio
1986). E la tradizione di chi non riesce a capire, ma deve essere colpa
sua, come si può eliminare lo Stato dando tutto la proprietà, quindi il
potere, allo Stato. E’ più di un secolo che questa storia non torna,
eppure ogni tanto qualcuno ti dice: sei tu che non capisci. E’ la
tradizione di chi, bene o male, ha riconosciuto anche a chi non la
pensava come lui la dignità di parola, senza demonizzarlo, senza
cacciarlo dalle assemblee, senza ignorarlo, senza chiuderlo nel ghetto,
senza appiccicargli addosso quella parola che nel tempo ha perso ogni
valenza storica, per diventare solo insulto, marchio, disprezzo:
fascista.
Pensavo che
fosse un malcostume archiviato, ma qualche giorno fa mi è capitato di
leggerlo dall’altra parte del blog. Mi dispiace, per loro. Rischiano di
restare come statue di lava in quella Pompei del Novecento a cui
assomiglia sempre di più buona parte della sinistra italiana. Negli
ultimi dieci anni la loro cultura ha prodotto un solo fenomeno nuovo:
l’antiberlusconismo viscerale. L’altro, l’antiamericanismo, è roba
vecchia. Complimenti. Avete messo Berlusconi al centro della storia
politica di questo paese, facendolo diventare un elemento cruciale: o di
qua o di là. Nel nome dell’anti-berlusconismo avete abdicato a tutto:
oggi non c’è nessuno più reazionario di voi. Per difendere i sindacati
avete sacrificato i precari (e un’intera generazione). Per difendere i
giudici avete buttato a mare il garantismo. Per ottenere il potere avete
sbeffeggiato il voto popolare (in Italia c’è una maggioranza di idioti).
Per paura della televisione avete accettato quella forma di censura
chiamata par condicio, il risultato è che in Italia non si parla più di
politica. L’antiamericanismo ha fatto il resto, ma come detto questo è
un vecchio vizio. Avete simpatizzato con il terrore, potete anche
simpatizzare con l’integralismo teocratico di Bin Laden o con la
dittatura etnica di Saddam Hussein. Ma la religione non era l’oppio dei
popoli? Mah. Qualcuno vi ha detto che l’Islam radicale guarda il mondo
con gli stessi occhi di Torquemada? E che l’America di Bush, per quanto
vi possa fare schifo, è più tollerabile di quella dei probiviri di
Salem? Scusate lo sfogo. Ma forse questo è il motivo più sincero per cui
nella blogosfera, a un certo punto, è nata una Right Nation. Non il
solo, ma quello più epidermico, quello che ti prende il ventre, quello
che ti fa superare la noia o la fatica di scrivere. Di scrivere di
queste cose, intendo.
Il West Village, il lato occidentale del web, viene da qui, da queste
ragioni, da questa tradizione. Nei blog di questa federazione di culture
c’è un patrimonio di letture, di teorie, di visioni del mondo, di
pensieri, di scelte di vita che hanno radici più profonde di questa
Italia e di questi anni. La difficoltà era farle vivere insieme, non
perché incompatibili, ma per una vocazione al nomadismo, alle grandi
folle, alle frasi spacciate come verità assoluta, al conformismo. Il
West Village nasce, come accadde alle città del Medioevo, come una fuga
dal feudalesimo, in modo spontaneo, come una aggregazione di spiriti
liberi. E’ la forza dello stato (con la s minuscola) nascente. L’alba di
un fenomeno nuovo. Nessuno di noi può dire come andrà a finire. Alcune
città muoiono in fretta, altre crescono. L’unica cosa certa è che il
destino delle città dipende dalle scelte di chi ci vive.
Non so se questo luogo può diventare un laboratorio di idee e se sarà
mai in grado di influenzare qualcuno. Quello che so è che questo tempo
esige nuove mappe, e cartografi in grado di disegnarle. Serve un
“Tuttocittà” per orientarci nelle strade del post-Novecento. Quello che
so è che questo spazio, il West Village, la Right Nation, o come diavolo
volete chiamarla, è una buona occasione. E le buone occasioni, come le
buone idee, sono veramente rare.
28 marzo 2005
*
Vittorio Macioce è il titolare del blog
Mab, ovvero il sogno di Mercuzio |