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		Il sistema di potere post-comunistadi Paolo della Sala*
 [10 mag 05]
 
 Il controllo del territorio, realizzato dalle sinistre a partire dal 
		secondo dopoguerra, è certamente una delle cause della sconfitta 
		elettorale subita dalla Casa delle Libertà alle ultime elezioni 
		regionali. Gli elettori che vogliono trovare lavoro, cercare un alloggio 
		popolare o ristrutturare una proprietà hanno, infatti, a sinistra 
		l’unico referente. La macchina organizzativa dei partiti di sinistra è 
		amplissima e si avvale delle associazioni, dei sindacati, delle 
		cooperative, di aziende collegate (come la Lega delle cooperative, una 
		parte del sistema bancario, dell’informazione, della grande 
		distribuzione). A ciò occorre aggiungere la gran parte delle 
		amministrazioni locali, e il placet delle corporazioni, dai magistrati 
		ai geometri, dai medici agli insegnanti e agli ospedalieri.
 
 Per verificare la consistenza e la presenza sul territorio dei diversi 
		partiti politici abbiamo consultato attraverso internet le Pagine Gialle 
		telefoniche. A Milano il quadro è il seguente:
 AN 4 sedi; Radicali 1; Ds 21 (ma occorre agiungere l’Arci con 25 
		utenze); Verdi 1; Destra sociale 1; Psi 2; Sdi 1; Fi 1 (!); Italia dei 
		Valori 2; Lega Nord 2; Comunisti italiani 2; Rifondazione comunista 7; 
		Repubblicani 1; UDC 1. Ricapitolando per schieramento: l’Unione più 
		l’estrema sinistra hanno circa 59 sedi a Milano. La Cdl può contare su 
		10 sedi. Ma se aggiungiamo a questi dati la presenza di sindacati e 
		associazioni di categoria, dobbiamo aggiungere alle 59 altre 200 
		sedi/utenze. Tra queste, sempre nella sola Milano, vi sono 40 utenze 
		telefoniche per la Cgil. Per dare un’idea del livello di presenza nel 
		territorio, basta ricordare che nella stessa città lombarda vi sono solo 
		50 utenze telefoniche dedicate a commissariati di Polizia, Questura, 
		Carabinieri: una ogni 26.000 abitanti.
 
 A Bologna le sedi diessine e Arci sono più di 100, mentre la CdL può 
		contare su 4 sedi in totale. Nel capoluogo emiliano le forze di polizia 
		e i carabinieri sono rintracciabili su 34 numeri di telefono dai 380.000 
		abitanti. A Napoli (1 milione di abitanti) i Ds hanno 15 sedi circa, più 
		30 utenze per le sedi Cgil, più 10 sedi Arci: in totale 60 per lo 
		schieramento prodiano e meno di 10 per quanto riguarda la Cdl. Il 
		controllo politico del territorio da parte delle sinistre non è 
		massiccio come altrove: una sede ogni 17.000 napoletani. Le forze di 
		polizie (di conseguenza?) sono più diffuse: circa 119 voci, più 15 
		Comandi dei Carabinieri.
 
 Si tratta di numeri che dovrebbero fare riflettere i costituendi (si 
		spera) “unionisti” della Cdl. Non si tratta, infatti, di aumentare il 
		numero di sedi, ma di pensare che le sedi di partito, le associazioni e 
		i sindacati collegati fanno parte di un tutto che gestisce il mercato 
		del lavoro e lo stesso territorio. È lì che bisognerebbe intervenire. 
		Chi gestisce i miliardi di euro della Regione Emilia Romagna? Chi 
		stabilisce come e quanti fondi erogare? Il Governo in parte, ma il 
		cittadino ormai percepisce soltanto la presenza rassicurante della 
		catena di comando prodiana. Ma non si deve dimenticare che, al di là 
		delle sempre più importanti amministrazioni locali, anche la 
		Amministrazione generale dello Stato ha i suoi dipendenti. Anche costoro 
		votano per lo più per Prodi, a parte la concorrenza di An, e si tratta 
		di più di 3 milioni di dipendenti pubblici (esattamente 3.377.918 
		secondo quanto rilevato dall’Eurispes nel 2001), senza contare i 
		dipendenti privati, che hanno bisogno di sindacati e associazioni, e 
		senza contare disoccupati e lavoratori autonomi ai quali un favore non 
		si nega mai.
 
 Qui c’è un altro errore di impostazione strategica: invece di aumentare 
		il potere di controllo del welfare e delle amministrazioni, la Cdl 
		avrebbe dovuto aumentare l’outsourcing. La Lega ha sbagliato nel 
		disegnare il federalismo in salsa di compromesso, perché in questo modo 
		le possibilità di gestire e controllare i flussi di cassa e il controllo 
		del territorio e del personale, invece di diminuire, sono aumentate. Il 
		che è un bene per le Regioni e gli Enti bene amministrati, o per quelli 
		amministrati da propri militanti, ma nelle altre zone? La parola 
		d’ordine doveva essere ridurre le amministrazioni, non moltiplicarle in 
		periferia. Delocalizzare il potere, in una società di potentati come 
		quelle europee - e quella italiana in particolare - significa 
		rifeudalizzare il tessuto nazionale, aumentare la catena di comando e il 
		numero di valvassori, valvassini, cacasenno e approfittatori. Le 
		amministrazioni comunali inglesi che stanno privatizzando in toto tutti 
		gli aspetti amministrativi e dei servizi, viste da qui, sembrano 
		fantascienza. Ma qualcosa bisogna sapere, qualcosa bisogna cambiare.
 
 I numeri del pubblico impiego parlano chiaro: lo Stato finanzia la 
		sopravvivenza di un italiano ogni 20 (inclusi neonati e moribondi), 
		compresi i dipendenti delle sole Regioni e delle altre autonomie locali 
		che sono 600mila. Scuola e Sanità impiegano circa 2 milioni di persone. 
		Eppure i tutori di questo immenso mercato di anime e votanti, qualunque 
		sia il governo, sono sempre i prodiani. I feudi esclusi dalla capacità 
		delle sinistre di gestire, se non offrire- il lavoro, sono molto pochi: 
		i ministeri sono bipartisan da sempre, e comunque impiegano “solo” 
		262mila dipendenti. Polizia e Forze Armate hanno 450mila stipendiati. 
		Prefetti e diplomatici sono poche migliaia: come bacino di utenza, la 
		Cdl è messa male.
 
 Un’ultima annotazione: ogni mese, calcolando una media di duemila euro 
		tra stipendio e contributi per ogni singolo dipendente del pubblico 
		impiego, lo Stato deve pagare sei miliardi e ottocento milioni di euro. 
		Il totale del costo del personale dello Stato nell’anno 2003 è stato di 
		72.819 milioni di euro. Altri dati si possono ottenere consultando il 
		budget dello Stato per il 2004, presso
		
		Ragioneria Generale dello Stato. 
		Consiglio infine di leggere il budget 2004 del
		
		Comune di Bologna. Sembra - anzi è - un 
		documento pensato e realizzato da una società pubblicitaria, tanto è 
		convincente, bengodiano, buonista, prodiano nell’anima. Magari è solo 
		buon governo, ma c’è da dire che a Bologna sanno comunicare molto bene. 
		Ad esempio, nel mare di belle cose, è complicato capire quanto la città 
		spenda per i dipendenti comunali, il cui numero, del resto, è 
		invisibile. Nessuno di noi poi sa quanto ogni mese viene prelevato per 
		pagare la sanità o i documenti del Comun. La voce “trattenute” è 
		un’entità metafisica che andrebbe dettagliata per avere un ritorno di 
		idee liberali nel contribuente inconsapevole.
 
      Il paese, 
		così, continua ad eludere i dati essenziali, che non sono chi controlla 
		cosa, ma sono costituiti dalla necessità di riformare profondamente –e 
		thatcherianamente- lo Stato e il tessuto nazionale. La qual cosa 
		andrebbe fatta con un governo provvisorio di garanzia, in chiave 
		bipartisan. Purtroppo c’è chi non è d’accordo: i cittadini, 
		innanzitutto, avvezzi a una politica di diritti senza doveri, vogliono 
		la pensione e la vogliono tutta e subito. I gestori del traffico non 
		hanno il minimo interesse a bloccarlo e a tagliare fondi e risorse. La 
		patata bollente passa di mano, ma i problemi non si risolvono così. 
		Ditelo agli elettori. 
		
		10 maggio 2005 
		
		
		*Paolo della Sala è il titolare del blog
		
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