L'inquietante islamismo dei convertiti italiani
di Dimitri Buffa
[01 set 05]
C’è un
aspetto della 55esima relazione del Cesis (organismo che coordina i due
servizi di sicurezza italiani, il Sisde e il Sismi) al presidente del
Consiglio e al Parlamento che il politically correct di molti organi di
informazione ha impedito che venisse evidenziato a dovere: riguarda il
ruolo dei convertiti dell’ estremismo politico italiano
nell’arruolamento alla jihad. Si tratta di estremisti di destra, per la
maggior parte, ma anche di sinistra, che stranamente furono i primi ad
abbracciare l’Islam nella seconda metà degli anni Ottanta, dopo la fine
della stagione della lotta armata.
A pagina 31 si può leggere ad esempio che “attenzione è stata dedicata
al fervore propagandistico di ambienti dell’oltranzismo che mostrano
sintonie e contiguità ideologiche con personaggi iracheni, in nome di un
orientamento marcatamente antistatunitense. L’attivismo propagandistico
anti Usa ed antisionista ha qualificato le iniziative della destra
radicale di impronta antimondialista, impegnata a ricercare collegamenti
con ambienti sciiti in Italia e all’estero, nonché con componenti
impegnate sul fronte revisionista e negazionista dell’Olocausto. Da
sottolineare, in proposito, gli episodi di antisemitismo in occasione
della Giornata della Memoria, tradottisi in gesti intimidatori e scritte
inneggianti al nazismo.”
Gli ambienti sciiti a cui si fa riferimento in realtà sono quelli
iraniani e iracheni, abbondantemente infiltrati dagli emissari della
polizia politica di Teheran. In Italia dispongono di soldi e solide basi
e hanno anche una mailing-list in cui distribuiscono materiale
propagandistico anti americano e anti israeliano. Ad avviso del Sismi,
inoltre, “sono elevati i rischi che attraverso i canali
dell’immigrazione clandestina possa lievitare la presenza nei paesi
europei di militanti dell’estremismo islamico. Ipotesi, questa, alla
costante attenzione anche in sede di interscambio con i Servizi esteri,
per gli evidenti profili d’interesse sul piano dell’antiterrorismo”.
Spesso le anime no global, di destra e di sinistra, e quelle islamiste,
si incontrano in pseudo Ong o strane sette. Ad esempio viene citato il
“movimento missionario internazionale Tabligh Eddawa”.
E su di esso si sostiene che “il movimento mostra caratteri di
compartimentazione e segretezza affini a quelli delle sette e figura
spesso quale prima affiliazione di diversi estremisti individuati a
livello internazionale. Secondo quanto segnalato dal Sisde, nel corso di
recenti incontri, “sarebbero stati costituiti, a livello regionale e
nazionale, nuovi gruppi di predicatori itineranti, all’interno dei quali
verrebbero selezionati elementi da inviare nelle madrasse del
sub-continente indiano. In ragione del citato raccordo con contesti e
strutture a forte connotazione radicale, il gruppo resta alla
particolare attenzione quale possibile veicolo per la cooptazione di
militanti ed in quanto impiegabile come copertura per gli spostamenti e
le attività di finanziamento e supporto logistico.”
“In un’ottica intesa a coprire tutti i possibili focolai di attività
controindicate di matrice confessionale – proseguono le note congiunte
di Sismi e Sisde a pagina 55 – non si è mancato di seguire anche
l’associazionismo sciita. In questo ambito, è di interesse quanto
rilevato in ordine all’ascesa di una nuova leadership di convertiti
italiani, per lo più accomunati da una trascorsa militanza nella destra
estrema.” A quasi venti anni dalle prime conversioni di italiani
all’Islam anche i servizi segreti italiani si chiedono come mai i primi
di loro venissero tutti dall’estremismo neo nazista italiano, alcuni
anche con un passato nel terrorismo di destra. Stranamente i servizi
glissano sul fatto che un analogo discorso si può fare per i convertiti
italiani provenienti dall’estrema sinistra. Due esempi per tutti ben
noti alla Digos: Massimo Zucchi il factotum di Adel Smith e Roberto
Hamza Piccardo, attuale segretario dell’Ucoii.
Nel rapporto del Cesis c’è anche una lacuna che sarà colmata nel
prossimo rapporto: la quasi totale assenza di analisi sul terrorismo
jihadista in Somalia. Si capisce che l’informativa generale era già
pronta prima degli attacchi del 7 e del 21 luglio a Londra. Perché se
infatti si fa cenno agli stessi nella fase introduttiva, facile a
modificarsi anche all’ultimo momento, nel merito, nel capitolo che
riguarda il Corno d’Africa, non c’è una parola sull’attività di Hamzi
Isaac e dei suoi fratelli, né sulla colonia somalo-eritrea della
capitale o su quella di Londra. La Somalia in genere è liquidata in
poche righe alla pagina 93 della relazione. Si parla genericamente delle
notorie difficoltà del governo transitorio a farsi accettare dalla
popolazione e del conseguente rischio di violenze interne, ma il
capitolo terrorismo non viene neppure menzionato. Eppure su “Repubblica”
sono stati di recente pubblicati stralci di un’informativa di 53 pagine
sul terrorismo in Somalia, principale imputato il movimento jihadista Al
Ittihad al Islamiyya.
Lo stesso che il 14 febbraio 2002, davanti alla commissione esteri del
Senato presieduta da Fiorello Provera, fu addirittura difeso dal
sottosegretario di An alla Farnesina Alfredo Mantica, che ha la delega
al Corno d’Africa. Ecco le parole di Mantica, come prese dallo
stenografico in aula e giudicate all’epoca “incredibili” dal presidente
leghista della Commissione esteri di palazzo Madama: “Al-Ittihad al
Islamiah, su indicazione della presidenza degli Stati Uniti del 23
settembre 2001, è stata identificata come uno dei movimenti della rete
internazionale di Al Qaeda. Dopo la sconfitta militare del 1991 è
presente sul territorio in misura massiccia, ma – dobbiamo riconoscere –
rivolta più che altro verso il sociale: l’educazione, il commercio, gli
affari e verso i servizi sanitari. In altre parole, è una delle
organizzazioni che hanno coperto i vuoti dovuti all’inesistenza dello
Stato. Essa fa sicuramente riferimento a forme di estremismo islamico,
ma al momento non risulta che sia un’organizzazione militare
terroristica. E’ stata inclusa nell’ordine esecutivo della presidenza
degli Stati Uniti soprattutto per bloccarne i movimenti finanziari.
Vi è in Somalia un’altra realtà, la compagnia finanziaria Al Barakat,
una sorta di banca di carattere popolare per fare un paragone a noi più
familiare, fondata sulla fiducia assoluta tra i suoi operatori. Non so
se i Senatori qui presenti sanno che per fare versamenti o per operare
con Al Barakat non si sono mai fatte trascrizioni o scritture contabili:
tutto è basato sulla fiducia. Questa struttura muove quasi 500 milioni
di dollari l’anno, perché gestisce sostanzialmente le rimesse degli
emigrati della diaspora somala e, proprio per l’impossibilità
costitutiva di poterne controllare i movimenti e le allocazioni, è
considerata dagli Stati Uniti come una potenziale rete di finanziamento
delle strutture di Al Qaeda. Peraltro, Al Barakat ha cercato di
dimostrare come questa accusa non sia basata su alcuna prova
documentale. Devo anche aggiungere che la chiusura Al Barakat, che
gestiva negozi e la distribuzione sul territorio di prodotti e beni di
largo consumo, è stato uno dei fatti che ha causato le maggiori
turbative nella Somalia dopo l’11 settembre”. Per Mantica le turbative
in Somalia erano quindi provocate dai fondatissimi sospetti statunitensi
non dall’operato dei jihadisti e dei terroristi.
01 settembre 2005
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